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Carni lavorate «allarmismi e crescita» – Di Maurizio Bornancin

Scenari economici di un importante comparto, con una logica popolare da tenere sempre in considerazione: «Il troppo storpia»

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Le notizie dell’International Agency for Research on Cancer dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) attraverso un gruppo di lavoro di ventidue esperti di dieci nazioni, indicano le carni lavorate (insaccati ecc.) tra le probabili cancerogene, rispetto alle carni non lavorate che sono meno a rischio, hanno destato allarmi ed anche revisioni degli stessi comunicati informativi.

Gli esperti hanno concluso che la porzione di 50 grammi di carne lavorata mangiata ogni giorno, cotta o cruda, aumenta il rischio di cancro colorettale del 18%, un rischio che aumenta con l’aumento della quantità consumata.
Certamente importante è considerare la frequenza con cui il cibo è assunto e la durata dell’assunzione, perché un conto è mangiare una porzione d’insaccati o carne poche volte la settimana, diverso è mangiarli a colazione, a pranzo e a cena (caratteristica americana).
 
Per carni lavorate sono intese le carni trasformate attraverso salatura, stagionatura, fermentazione e altri processi per migliorare il sapore e la conservazione.
Notizie queste che in poco tempo hanno destato pareri da parte di oncologi, dietisti e nutrizionisti, informazioni e trasmissioni televisive, frettolosi allarmismi fonte di panico per gli increduli consumatori, comprensibili sdrammatizzazioni e precisazioni da parte dei venditori, dei produttori e delle associazioni dell’industria alimentare italiana .
La stessa OMS ha immediatamente fatto retromarcia rispetto a tali annunci, specificando che il rapporto in questione indica la carne rossa e lavorata quale cibo cui sono stati identificati dei rischi, non equivalenti a malattia.
Il Report finale di questo studio sarà comunque disponibile a metà 2016, e solo in tale tempo si conosceranno, con precisione, i dati statistici, i risultati, i fattori proteici dei cibi e le raccomandazioni comportamentali e dietologiche per una sana alimentazione, considerato tuttavia che le notizie presentate di recente riguardano una sintesi di un rapporto dell’Agenzia di ricerca sopra richiamata, pubblicata da una rivista scientifica cui è stata data una rilevanza mondiale e che fanno maggior riferimento a quei Paesi dove la somministrazione di carni rosse è notevolmente aumentata, con un uso giornaliero.
 
Notizie queste note da qualche tempo, ma il tema vero che forse anche queste ricerche pongono è quello di una giusta dieta, di un equilibrio tra quantità e qualità e composizione nutrizionale degli alimenti e delle vitamine.
Tra i fattori cancerogeni delle 115 sostanze che possono causare il cancro a pericolosità più alta, figurano anche il fumo, l’alcol, l’amianto che è più pericoloso delle carni e dei salumi.
L’Associazione italiana per la ricerca sul cancro già nel 2007 lanciava l’allarme sulla cancerogenicità delle carni rosse nelle parti «bruciacchiate», più gustose, ma contenenti idrocarburi e, tra i vari fattori a rischio di sviluppare neoplasie, sono indicati: il forte consumo di carni rosse soprattutto se cotte alla brace, i cibi lavorati con conservanti.
 
Le popolazioni che maggiormente usano il «barbecue» sono quella americana con il 70%, l’australiana con il 60%, la francese con il 55%, la tedesca con il 50%, l’italiana con il 38% e quella inglese con il 32%.
La CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) ha stimato in ventiquattro milioni di grigliate fatte in casa, in particolare di carne suina il 42% e di manzo il 38%.
Secondo uno studio dell’Associazione Italiana di Oncologia medica, il 9% degli italiani mangia carne rossa e insaccati tutti i giorni, il 56% tre volte la settimana.
La Coldiretti suggerisce l’uso di carni made in Italy, perché più sane, meno grasse non trattate con ormoni e ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione DOCche assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali.
La diversità tra l’Italia e gli altri Paesi si misura anche nel consumo annuale di carne, che per gli italiani è di 85 chili a persona e per gli Stati Uniti è di 125 chili a persona, o degli Australiani che è di 120 chili e dei Francesi che è di 87 chili a testa.
Assocarni e l’Associazione industriali delle carni e dei salumi, evidenziano che gli italiani mangiano in media due volte la settimana circa 100 grammi di carne rossa e non tutti i giorni e 25 grammi di carne trasformata.
Quantitativo che è meno della metà delle quantità individuati come potenzialmente a rischio cancerogeno indicato dallo studio oramai divenuto di dominio pubblico.
 
Dopo tale annuncio in Italia i consumi di carni e salumi sono notevolmente diminuiti con possibili ripercussioni future anche sul fronte dell’export.
Secondo gli ultimi dati elaborati da IRI per conto di ASSICA, nella settimana dell’annuncio, ossia tra il 26 ottobre e il 1° novembre, nella grande distribuzione le vendite di carni fresche e trasformate sono diminuite di circa l’8,7% e i salumi del 9,8%, con una stima di contrazione delle vendite di circa 16 milioni di euro.
Forse il consumatore, davanti ad una certa confusione di notizie, ha preferito usare un atteggiamento di prudenza, che ha segnato un forte e generalizzato rallentamento dei consumi del comparto, in un momento che faceva intravedere i primi segnali di ripresa del mercato del settore.
Il settore, infatti, rispetto al 2014, nell’ambito di una situazione economica ancora molto complesso, ha rappresentato per il primo semestre 2015 una moderata crescita.
 
Il fatturato dell’industria alimentare italiana dopo un guado di cinque anni, seppur con passo lento, ha posto le premesse per un processo di recupero del sistema ed ha raggiunto la soglia di 132 miliardi di euro.
La crescita delle produzioni e dei consumi in questo periodo riguarda, per i salumi: il prosciutto crudo con 285.200 ton e cotto con 281.500 ton, riconosciuti come prodotti leader del comparto, inoltre indicativa è la crescita per la produzione dello speck che sale a 31.600 ton, con un + 9%, per un valore di 318,4 milioni di euro e quella del salame pari a 108.100 ton, per un valore di 911 milioni di euro.
Nel 2014 le esportazioni di salumi, secondo i dati ASSICA, hanno raggiunto la quota di 148.830 ton per un fatturato di 1.260 miliardi di euro (+ 6,3 %).
Positive le esportazioni di salumi nei     Paesi europei, con un + 1,3% in Germania, + 8,6% nel Regno Unito e + 7,5% in Croazia + 7,8%, in Slovenia +11%, in Spagna.
Periodo molto dinamico per gli scambi con i Paesi extra UE, con un aumento del + 16,4 % negli Stati Uniti, +27,4% in Giappone, +12,9% in Norvegia, + 1,8% in Svizzera e + 13,2% in Sudafrica.
 
I progetti e le iniziative che sono in corso, hanno portato qualche preoccupazione nelle abitudini alimentari, ma che riguardano più gli stili di vita degli americani e nordeuropei, si basano su una maggior sensibilizzazione dei consumatori sulle peculiarità della filiera italiana, sulle diete equilibrate che comprendano anche in giuste quantità i salumi e le carni e sulla concretizzazione del previsto progetto nazionale delle carni sostenibili.
E come si è sempre detto, in ogni caso il troppo storpia…
 
Maurizio Bornancin

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