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Rifare l'Italia si può? – Di Paolo Farinati

Non ripetiamo l'errore commesso 100 anni fa, cogliamo l'occasione irripetibile

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Il 26 giugno 1920, ben più di 100 anni fa, l'on. Filippo Turati pronunciò un discorso alla Camera dei Deputati che è rimasta certamente una delle pagine più nobili della storia del nostro Paese.
Il Primo Ministro era Giovanni Giolitti e l'Italia stava cercando faticosamente una strada affidabile e concreta per «ricostruirsi», a due soli anni dalla fine dell'immane tragedia della Prima Guerra Mondiale e nel pieno della crisi, finanziaria prima ed economia e sociale dopo, che colpì particolarmente l'Europa dal 1919 al 1922.
Il testo del discorso di Turati è lungo, un autentico trattato per una vera politica della ricostruzione, prima morale e poi necessariamente materiale.
L'Italia era una comunità debole, pur essendo tra le Nazioni vincitrici del conflitto. Gli italiani un popolo orfano del lavoro e povero di speranza, l'analfabetismo dilagava in molte regioni, la fiducia verso il futuro era sopraffatta dalla tangibile dilagante miseria.
In Parlamento i partiti maggiori erano i socialisti, i popolari, i liberali e i cosiddetti nazionalisti.
 
Ritengo che tra gli obiettivi che Turati si era posto con la sua ampia riflessione, vi era quello di mettere attorno a un tavolo i maggiori esponenti delle prime tre forze politiche, per offrire agli italiani una visione credibile e un concreto programma per un nuovo «Rinascimento».
Il discorso di Turati, che prese il titolo di «Rifare l'Italia», era pregno di valori democratici e di obiettivi egualitari certamente condivisibili dai più.
Ma, come ben ci ha illustrato la storia di quei primi decenni del Novecento italiano, le cose non andarono come lui aveva sperato. Prevalsero dannosi dogmi ideologici, infausti personalismi ed esiziali invidie.
I socialisti da lì a poco si divisero, i popolari non colsero del tutto la gravità del momento, a parte forse don Luigi Sturzo e Alcide Degasperi, i liberali più che essere allarmati dalla miseria imperante temevano ciò che stava succedendo in Russia e diffidavano più che mai dei socialisti radicali, fondatori nel 1921 del PCI.
 
Lo stesso premier Giovanni Giolitti non mostrò una leadership compiuta. Per non dire alcunché del timoroso agire del re Vittorio Emanuele III.
Ecco, quindi, che nel popolo smarrito si insinuò facilmente il verbo fascista e, da lì in poi, sappiamo molto bene cosa successe.
Tornando al discorso di Filippo Turati e leggendolo con la dovuta attenzione, lo si scopre in molte sue parti di un'attualità disarmante e parimenti illuminante.
Il «Rifare l'Italia» credo sia un desiderio che anche oggi ci unisce in molti. O quantomeno, motiva tanti di noi l'idea di un possibile nuovo «Rinascimento italiano».
Per fortuna degli italiani, rispetto al 1920, abbiamo una grande alleata, non da tutti capita ma indiscutibilmente generosa e lungimirante: l'Europa.
 
L'Italia, al di là delle urgenze posteci dal Covid19, soffre della mancanza di una visione rigeneratrice, che sappia dare risposte concrete al sistema sanitario, all'intero percorso dell'istruzione, alle infrastrutture della mobilità sostenibile, alle molte ferite ambientali, all'indispensabile innovazione tecnologica e ad altri primari capitoli, da cui dipenderà d'ora in avanti il nostro benessere.
Le enormi risorse messeci a disposizione dall'Europa con il Recovery Fund, ben 209 miliardi di Euro, sono un'opportunità unica, forse l'ultima a nostra disposizione.
Non possiamo permetterci di mancare, come Nazione, a questo appuntamento. Lo chiedono i 60 milioni di italiani, oggi feriti da una forbice sociale molto larga.
E tra questi sicuramente lo pretendono i nostri giovani, ancor più perché incolpevoli dei malefatti sin qui compiuti, a incominciare dai pesantissimi 2.500 miliardi del nostro debito pubblico.
 
Se pensiamo che i suddetti miliardi guardano soprattutto alla Next Generation, ben capiamo quanto i giovani attendano dalla politica un atteggiamento responsabile, determinato, coraggioso e visionario.
Quei denari, che sono molti, non dovranno perdersi in mille rivoli, bensì essere allocati in favore di precisi progetti che a medio - lungo termine riportino l'Italia ad essere un Paese moderno, efficiente, solidale, istruito, equamente benestante, libero e felice.
Nessuno di noi sa cosa sarebbe accaduto in quel lontano 1920 se Filippo Turati fosse stato assecondato. Ma quelle lontane vicende teniamole ben presenti, come pagine di una preziosa lezione di storia.
Oggi i molti e troppi partiti presenti sul proscenio della politica italiana sono, ahinoi, assai lontani dai cittadini.
Davanti a noi appare spesso uno show chiassoso, inconcludente, irritante, incompreso. Si è persa la credibilità della politica.
 
La nostra gente in gran parte non va più a votare, credo anche perché da troppi anni le è stato proibito di scegliere i propri delegati alle due Camere del Parlamento.
E qui una vera riforma elettorale, sin qui sempre prorogata o mal scritta, quantomeno negli ultimi 25 anni, è indispensabile.
Le regole elettorali sono le fondamenta su cui si costruisce uno Stato moderno, in cui tutte e tutti si riconoscono.
Nuove norme elettorali che sappiano meglio evidenziare l'onorabilità e le capacità dei candidati.
Il «Rifare l'Italia» di Filippo Turati di 100 anni fa, ci motiva oggi a contribuire tutti con intelligenza, disponibilità e generosità a declinare le priorità politiche, economiche e sociali di un nuovo «Rinascimento italiano».
Giovani e meno giovani uniti da uno sguardo libero e costruttivo verso il futuro. Sono fiducioso, ce la faremo.
 
Paolo Farinati – p.farinati@ladigetto.it

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