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La nostra amata Rovereto/ 27 – Di Paolo Farinati

Antonio Zadra, alias «Kandaru». Un top driver roveretano delle corse automobilistiche

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Antonio Zadra, classe 1935, un top driver roveretano doc delle corse automobilistiche, fra i piloti più veloci in Italia e in Europa tra la metà degli Anni ’60 e quella degli Anni ’70.
Ben oltre 160 corse, di cui 120 su pista e circa 40 in salita.
Nella sua lunga carriera ha conosciuto alcuni tra i più forti piloti di quegli anni: da Niki Lauda a Ludovico Scarfiotti, da Arturo Merzario a Ronnie Peterson, da Carlo Facetti a Peter Schetty, da Andrea De Adamich a Rudy Lint, da Johannes Ortner a Guy Richard Edwards, da Helmuth Marko a Vittorio Brambilla, da Mario Casoni a molti altri.
Ha corso su circuiti famosissimi e difficilissimi quali Monza, Hockenheim, Le Castellet, Imola, Nurburgring, Silverstone, Mugello, Zeltweg e tanti altri.
A cui aggiungiamo ben quattro partecipazioni alla mitica Targa Florio, prima su Alfa Romeo e poi su Lola motorizzata Cosworth, con cui ottiene un 4° posto assoluto nel 1972, ma 1° nella categoria 2000 cc.

Su pista corre nel Campionato Europeo e nel 1972 è 6° assoluto. Sono ben dieci i Gran Premi nel Campionato Mondiale prototipi a cui partecipa, vince due volte la 1.000 km di Monza nel 1969 e nel 1971. Nel 1972 è 2° assoluto nel Campionato austriaco prototipi 2000 cc.
È un pilota molto veloce e molto temuto, ma sempre altrettanto corretto in pista. Corre prima per la Scuderia Trentina e poi sempre per la Scuderia Brescia Corse. E si avvale, tra gli altri, di due ottimi meccanici quali Jacopo Trivellato e Luciano Ambrosini entrambi di Vicenza.
Ma come non ricordare la sua abilità anche nelle corse in salita del Campionato Europeo?
Nel 1970 vince dominando la per noi amatissima Trento – Bondone, su un Osella con motore Abarth 2000.
Potrebbe vincere la stessa gara pure nel 1971, ma un improvviso quanto imprevisto problema tecnico lo costringe a ricorrere ai meccanici, arrivando tardi alla linea di partenza e quindi venendo squalificato.

Partecipa pure a varie edizioni dell’altrettanto impegnativa Appiano-Mendola, con anche qui ottimi piazzamenti.
Antonio Zadra, uno sportivo purosangue a tutto tondo: da giovanissimo pratica lo sci e poi il ciclismo con egregi riscontri, ma il lavoro presso l’azienda del padre gli impedisce di dedicarvisi con costanza.

A poco più di vent’anni scopre le gare di kart, dove ottiene parecchie vittorie sui circuiti del nord Italia.
È qui che scatta in lui la passione irrefrenabile per i motori. Un amore che non lo lascerà per parecchi anni a venire.
Le sue doti emergono ben presto: inizia l’epopea di Kandaru(!), il suo notissimo pseudonimo.

Incontro Antonio in un bar nel cuore storico della nostra Rovereto.
Porta i suoi 86 anni con egregia sportiva disinvoltura.
Inizia la nostra chiacchierata, mentre lui apre libri e mi mostra con evidente emozione foto e articoli della sua straordinaria carriera.
 

 
Caro Antonio, come è nata in te la passione per le corse automobilistiche?
«Beh, in verità è nata in me ben oltre i vent’anni, quando ho conosciuto i kart. Una vera scuola per moltissimi piloti di tutto il mondo. Lì impari molto, conosci i motori, inizi a collaborare con i meccanici, prendi il gusto della pista, sempre con umiltà e rispetto verso tutto e tutti.
«Essendo un pilota assai veloce, fui ben presto avvicinato da alcuni tecnici italiani, in particolare della Brescia Corse, con cui ho sempre corso con mia grande soddisfazione.
«Il salto verso le automobili da corsa fu quasi naturale.»
 
E da dove deriva il tuo famoso soprannome di «Kandaru»?
«In parte fu casuale. Non volevo usare il mio nome e cognome, soprattutto perché la mia famiglia era nettamente contraria al fatto che io corressi in automobile.
«Così m’inventai questo Kandaru, il cui significato onestamente non sapevo e non so tuttora. So solo che mi ha portato molta fortuna.»
 

 
Raccontaci in breve la tua carriera, cosa non semplice!
«Eh sì, hai ragione. 160 corse in totale, di cui 120 in pista e circa 40 in salita. Personalmente ho sempre preferito di più correre in pista. Sono corse in cui la sicurezza per i piloti è certamente maggiore.
«Inoltre, ho sempre amato il confronto diretto e visivo con gli avversari, la vicinanza con gli altri piloti è uno stimolo in più e difficile da spiegare, l’adrenalina sale molto di più. Certamente devi essere prudente e abile nel cogliere le opportunità che la pista ti offre ad ogni curva e lungo ogni rettilineo.
«Quando si superano i 300 km all’ora è una sensazione unica, sei solo con la tua macchina, un tutt’uno col rombo del tuo motore(!).
«Correre al fianco di Lauda, Peterson, Scarfiotti, Brambilla, Merzario, Edwards, De Adamich, uomini che poi conobbero la Formula 1, sono momenti che ti rimangono in testa e nel cuore per sempre.
«La vittoria alla Trento-Bondone, le due vittorie alla 1.000 km di Monza, quella alla 500 km di Imola e il 4° posto assoluto alla Targa Florio sono per me momenti indimenticabili!»
 
Con quali vetture correvi e chi erano i tuoi fidatissimi meccanici?
«Io sono sempre stato con la Scuderia Brescia Corse. Ho avuto a disposizione parecchi modelli prototipo di assoluta affidabilità: dall’Alfa Romeo alla Osella Abarth, per chiudere con la Lola Cosworth. Una macchina quest’ultima, molto potente, per me ideale e che mi è rimasta nel cuore di pilota.
«Ho avuto la grandissima fortuna di avere in ogni occasione ottimi meccanici, come Jacopo Trivellato e Luciano Ambrosini, entrambi di Vicenza, con cui ho sempre avuto un rapporto franco, sincero, determinante per la mia felice carriera.»
 

 
Quali doti richiede in particolare la guida nelle corse automobilistiche in salita?
«La corsa in salita richiede molta concentrazione e ottima preparazione fisica. In pochi ma impegnativi minuti ti giochi tutto, tornante dopo tornante, c’è maggior imprevedibilità, basta un po’ acqua o l’asfalto un po’ rovinato e voli fuori strada.
«Sei tu da solo contro il cronometro, quello che ho sempre definito l’avversario più onesto. Non hai altri piloti al tuo fianco, devi trovare tu dentro di te la velocità e l’abilità per vincere o quantomeno per arrivare al traguardo senza problemi.
«Aggiungo preparazione fisica, assetto ottimale della vettura, motore a posto, pazienza e tanta umiltà.»
 
Quale è stata per te la corsa più faticosa?
«Le corse, se le affronti con diligenza e consapevolezza, sono tutte faticose. Lo stress è fisico e soprattutto psicologico.
«Concentrazione massima, sul tracciato e sul rendimento del tuo motore. Questo è l’imperativo categorico, che logora non poco.»
 

 
Raccontaci un significativo episodio che non dimenticherai mai.
«Ne ho molti chiaramente. Te ne racconto uno triste e uno bello.
«Parto dal primo. È certamente la morte in una gara in salita di Ludovico Scarfiotti, eravamo in Germania. Tra di noi c’era un bel rapporto, di stima reciproca e una certa confidenza. C’eravamo visti e salutati pochi minuti prima della sua partenza. Era tra i favoriti, pilota fantastico, veloce e preciso nella guida. Uscì di strada e non lo rividi più. Fu un dolore enorme per tutti noi piloti, i meccanici, i collaboratori e tutti gli sportivi.
«Un episodio indimenticabile e molto simpatico, mi porta a ricordare invece una gara in salita ad Asiago nel 1970. Vinsi con una media pazzesca: oltre i 130 km all’ora(!). Rientrato in albergo, il titolare, che non mi conosceva, mi disse entusiasta che la gara era stata la più bella di sempre e che il vincitore aveva battuto il record della stessa.
«Pochi secondi dopo entrò in hotel un mio meccanico con la coppa che avevo vinto. L’albergatore gli fece i complimenti. Ma fu subito corretto: Guardi che l’ha vinta lui!. E in tre ci bevemmo sorridendo una bottiglia di fresco prosecco!»
 


Quest’anno la Trento-Bondone è tornata con la sua 70ª edizione, seppur senza pubblico. Quali emozioni Ti provoca?
«È una gara straordinariamente impegnativa, lunga, faticosa, ma allo stesso tempo molto entusiasmante. Le emozioni sono sempre tante, anche da spettatore non sono mai mancato.
«Il momento più eccitante rimane per me quando nel 1970, dopo il traguardo, scesi dalla macchina e mi vidi venire incontro centinaia e centinaia di persone festanti! Lì capì che avevo vinto!»
 
Quanto è importante per voi piloti vedere, se la vedete, la molta gente sulle tribune e lungo i tornanti?
«È molto importante la presenza degli sportivi. Anche se quando guidi, sia in pista che nelle gare in salita, sei talmente concentrato che non vedi e non senti alcunché, se non il rumore del tuo motore.
«Ma a fine gara l’abbraccio del pubblico, dei tuoi meccanici e dei tuoi collaboratori tutti è una gioia immensa, che ti ripaga abbondantemente della fatica e dei sacrifici fatti.»
 

 
Ti chiedo, infine, un consiglio da dare ai giovani che si avvicinano alle corse automobilistiche.
«Dico loro di assecondare la loro bella passione con tanta umiltà. Inoltre, di avere tanta pazienza, tanta costanza, di saper affrontare tanti sacrifici, di costruire un rapporto schietto, sincero e fiduciario con i meccanici e tutto lo staff della scuderia.
«Per emergere ci vogliono bravura, rispetto e attenzione verso tutto e tutti. Solo così avranno tante gratificazioni, non solo vittorie, ma anche molte conoscenze e amicizie, tante delle quali rimarranno tali per tutta la loro vita.
«I motori saranno sempre amati, in tutto il mondo, e i piloti ancor di più.»

Caro Antonio, avrei parlato con Te per ore. Grazie di cuore e sinceri auguri.   

Paolo Farinati – p.farinati@ladigetto.it


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