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Presentato il progetto di rilancio del sistema vitivinicolo trentino

Ma non è più un progetto, quello di Emilio Pedron, solo «un insieme di suggerimenti per la cooperazione vinicola»

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Stamattina è stato presentato agli operatori la bozza di progetto di riassetto della vitivinicoltura cooperativa trentina, messo a punto da un esperto italiano del settore, Emilio Pedron, in collaborazione con gli economisti Alessandro Berti e Cino Ripani e la Federazione.
Subito dopo è stata tenuta una conferenza stampa.

La prima impressione che ne abbiamo ricavato è che, rispetto a come avevamo conosciuto il piano in un primo momento, siamo già alla versione Beta.
Non a caso, del resto, l'incontro con la stampa è avvenuto dopo che Pedron si è confrontato con gli operatori della cooperazione.
Chi vuole dare un'occhiata alla versione Alfa del progetto (così come l'avevamo appresa noi), la può trovare nel nostro articolo reperibile a questo indirizzo web.

Al di là delle enunciazioni di principio, sulle quali non abbiamo nulla da obbiettare perché le conoscevamo già, Emilio Pedron ha spiegato le linee di quelle che lui preferisce definire «consigli da seguire» piuttosto che «progetto del vino in Trentino».
Esse in sostanza si articolano su alcune portanti.

Cantine sociali

La prima è che il vino trentino deve rimanere espressone del territorio che lo produce. Ci sono cantine sociali il cui nome da solo evoca mille argomenti capaci di nutrire il giusto livello emotivo presso la gente. La Cantina di Castel Toblino è un magnifico esempio di questo.
«Non va dimenticato che non è il territorio a essere figlio del vino - ha detto Pedron, - ha piuttosto, viceversa, il vino è generato dal territorio.»
In altre parole, le cantine sociali dovrebbero rimanere orientate alla produzione, qualificandola in quanto tale, lasciando ad altri (Cavit o altri soggetti) il compito di articolare la distribuzione del prodotto orientandosi al mercato.

E qui forse è meglio aprire una parentesi. Dal punto di vista commerciale è ormai assodato che le aziende debbano essere martek oriented, ovvero produrre ciò che il mercato richiede.
In agricoltura è difficile mantenere questo principio, se non altro perché i tempi per modificare le coltivazioni sono pluriennali. E per questo motivo Cavit deve spesso acquistare prodotto non trentino per non perdere i mercati.
Se ad esempio tira in pinot grigio, quando finisce quello trentino deve fare provvista altrove per non perdere il mercato che lo richiede.
Nel frattempo gli agricoltori possono sostituire le viti con quelle di pinot grigio, anche se fra tre anni magari sarà tutto cambiato.

Consorzi

I consorzi di secondo grado sono Cavit e Mezzocorona e vivono (o dovrebbero vivere) imbottigliando e vendendo il vino prodotto dalle cantine sociali, che ne sono proprietarie.
Non hanno il fine di lucro, ma neanche quello di perdere. Il ricavato va a pagare il vino delle proprie associate, sic et simpliciter. Se vendono bene, pagano bene il vino e quindi l'uva. Se vendono male, pagano meno.

Nel panorama trentino sarebbero tre i grandi soggetti, perché c'è anche la cantina La Vis, le cui dimensioni l'hanno portata a costruire una vita industriale tutta sua.
Colta però dalla crisi in piena fase di investimento, sta attraversando un momento di seria difficoltà. Si parla di una settantina di milioni di indebitamento consolitato a fronte di un fatturato di 100 milioni circa.

E la nostra impressione è che la seconda parte del piano si sia occupato di trovare una sistemazione vincente per la cantina La Vis (anche se gli avvoltoi, ovviamente, non mancano).
La Vis è stata messa in difficoltà dalla crisi, ma anche dall'aver acquisito il consorzio Cinque Comuni. Il quale, se l'anno precedente aveva venduto benissimo le proprie mele grazie alla scarsa produzione polacca, quest'anno che la Polonia è tornata a cavallo, le mele se le è dovute tenere.

Comunque sia, il suggerimento di Pedron è quello di far cedere dalla La Vis i propri gioielli (e le ciofeche). I gioielli sarebbero Casa Girelli e Cesarini Sforza, i pesi morti sarebbero le tenute in Toscana.
Francamente non ci sembra una grande trovata quella di vendere queste ultime, per due motivi. Il primo è che la tenuta di Poggio Morino (vedi articolo pubblicato da noi due anni fa) si trova in piena fase di sviluppo, cosa che lo rende difficile da vendere.
Il secondo è che, nei momenti di crisi, vendere un «investimento semilavorato» significa consolidare una perdita, che il più delle volte si presenterebbe ben superiore a quanto esposto nei cespiti di bilancio.

Vendere Casa Girelli e Cesarini Sforza potrebbe essere una strada, a patto che le due realtà aziendali vadano ad incrementare «il sistema vino trentino» in fieri.
E qui ci portiamo al terzo punto.

Cavit Spa

L'idea di Pedron è che Cavit, avendo raggiunto sul mercato nazionale e internazionale una posizione di assoluto rispetto, debba essere promossa a società per azioni abbandonando così il ruolo di secondo grado.
Condividiamo questa visione, giustificando così anche l'orientamento al mercato di abbiamo parlato sopra.
La Cavit non ci sembra però adatta a distribuire anche Cesarini Sforza. Come ha giustamente messo in evidenza Enzo Merz, presente alla conferenza stampa, Cavit produce uno dei migliori spumanti del mondo, che però non riesce a vendere come si deve.

Nella trasformazione di Cavit in Spa le cantine sociali ci guadagnerebbero in termini di patrimonio, ma perderebbero in identità.

Avendo a bilancio le quote di Cavit al valore simbolico di «Lire Zero», ognuna delle 11 cantine sociali potrebbe trovarsi proprietaria di una quota di capitale vicina ai 9 milioni, con la possibilità di conservare le quote, o di venderle per fare cassa, e così via.
Non comprendiamo come una cooperativa possa monetizzare una plusvalenza in termini di capitale della partecipata, ma Diego Schelfi (anche lui in conferenza stampa) ci ha detto che in termini di principio l'operazione è contabilizzabile.

Insomma, Cavit Spa potrebbe continuare ad acquistare il vino dalle cantine sociali, considerandole però come fornitrici e non più come membri effettivi del proprio oggetto sociale.
E per questo sarà dura convincere i soci delle cantine sociali ad assumere la nuova identità.

Il nuovo consorzio

Il consorzio, così come è stato pensato da Emilio Pedron (o quantomeno come lo abbiamo recepito noi), dovrebbe ricalcare le orme dello scomparso Istituto del Vino Trentino, il cui scopo sarebbe quello di difendere l'attività tecnica ed economica dei soci, avere potere di coordinamento nella gestione delle produzioni ed eccedenze, consolidare il rapporto con gli enti pubblici e orientare gli investimenti promo-pubblicitari, legati al territorio.

Nostre considerazioni

Francamente ci aspettavamo qualcosa di molto più incisivo.
L'idea, così come era giunta alle nostra orecchie, consisteva nella costituzione di una grande società per azioni che si occupasse della vendita del vino trentino fuori provincia e fuori dello stato evitando la concorrenza e accrescendo le sinergie.

La concorrenza, secondo il progetto, dovrebbero farsela solo in casa, grazie proprio alle differenti peculiarità territoriali trentine ci cui ha parlato Pedron.
Ma fuori dal territorio avrebbe dovuto esserci un solo un soggetto ad occuparsi di strategie proprie dell'impresa, un soggetto che raccordasse la produzione al mercato, mantenendo costanti le azioni all'estero.
A ben guardare, infatti, il Trentino produce vini non concorrenti tra loro per qualità e varietà. Potrebbe cioè essere ventuto tutto da un unico soggetto.

Da tutto questo, ovviamente, cantine come le Ferrari sarebbero state fuori. Per esteso, sarebbero rimaste fuori anche le cantine Mezzacorona.
Ma se il tutto si dovesse ridurre a una Cavit società per azioni (che magari acquista Cesarini Sforza e Casa Girelli) non vediamo nei suggerimenti offerti di Emilio Pedron un grande progetto: solo un progetto grande

I nostri contadini si trovano a fare i conti con una produzione agricola più costosa che nel resto del paese. Un ettaro che renda meno di 8.000 euro all'anno, va in perdita.
Ristrutturare il comparto vitivinicolo senza porsi l'obbiettivo di rendere più remunerative le produzioni agricole dei nostri «proprietari terrieri» (come li ha definiti Pedron), è fortemente riduttivo, se non fuori strada.

Come abbiamo detto all'inizio, l'impressione è che, dopo l'incontro di stamattina con la operazione vinicola, il consulente Pedron sia passato dalla versione Alfa alla versione Beta del suo progetto.
Che non è più un progetto ma un insieme di «consigli da seguire».

GdM

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