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Massimiliano Rosolino protagonista a «Lo sport della vita»

Rosolino agli studenti: «Senza errori non si vince, senza cadute non ci si rialza»

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Il campione 45enne si è presentato con il fischietto sul palco del teatro sociale gremito di studenti e cappellini rosa. Non un modo per «tenerli a bada»: «Il suono del fischietto dà il via, l’attesa. Mette pressione, quella buona», ha spiegato.
Domande ed aneddoti hanno caratterizzato l’incontro, che lo ha visto «in cattedra» nel ruolo di conduttore e moderatore, con la sua innata simpatia.
«Fino a qualche anno fa mi invitavano come atleta», ha scherzato. Napoletano con origini australiane (terra della mamma, dove ha vissuto dai tre ai sei anni), campione olimpico a Sydney nel 2000 e mondiale a Fukuoka nel 2001 nei 200 metri misti, Rosolino è stato uno dei nuotatori più forti del panorama italiano.
 
Nella sua carriera ha conquistato 35 titoli nazionali e, tra il 1995 ed il 2008 è stato 14 volte campione europeo ed è andato oltre 60 volte a medaglia in Giochi olimpici, campionati mondiali ed europei. Nel 2001 la vittoria del «Grande Slam».
Una carriera tra paure, vittorie e sconfitte. E quel «Non ce la farò mai» che tutti prima o poi si sono detti. «A dieci anni in un tema a scuola scrissi che il mio goal era partecipare ai giochi olimpici di Atlanta, che si sarebbero tenuti 8 anni dopo. Mi ero già fatto i calcoli e per otto anni ci ho creduto - ha raccontato – Bisogna dirsi “ce la farò” e non piangersi addosso. Ad Atlanta ci sono arrivato, c’erano 16mila atleti. Avevo le lacrime di gioia perché quando sei li non hai nulla da perdere, vuol dire che ci hai provato con tutte le tue forze e devi solo divertirti e giocare le tue carte».
 

 
Tante le domande rivolte ai ragazzi, accompagnate sul led da immagini di campioni dello sport: cos’è per voi lo sport? Cos’è la paura? Insegna più una sconfitta o una vittoria? «La paura non è negativa, serve a prescindere – ha proseguito - C’è la paura di provarci, di non riuscirci, di essere criticati, di non star dietro alle proprie aspettative. Mia figlia un giorno mi ha detto: l’ansia che provo mi fa andare più veloce».
L’ex nuotatore ha poi ricordato le emozioni di Sydney. «La vittoria è una cosa che ti fa volare. Quando Domenico Fioravanti vinse, mi sono detto che se ce l’aveva fatta lui dovevo farcela anch’io. E già mi immaginavo cosa avrei fatto sul blocchetto del podio». E, a proposito del suo gesto, a indicare l’occhio con il dito, «Gli australiani sono forti, lì il problema non è vincere o meno ma quante medaglie portare a casa. Con quel gesto volevo dirgli: occhio, ci sono anch’io».
 
Dalle vittorie alle sconfitte. «Dopo aver vinto bisogna resettare, tornare subito al lavoro. Dopo Sydney il mio allenatore mi disse: ora devi battere Ian Thorpe, alzare l’asticella. Ad Atene arrivai terzo nella 4x2 e il giorno dopo avevo la gara dei 200 metri dove mi presentavo da campione uscente. Non mi sono nemmeno qualificato per la finale. Ho pianto, una delle poche volte nella mia vita. Ma mi è servito per continuare: probabilmente se avessi vinto una medaglia avrei smesso, invece ho continuato fino a 34 anni».
Infine un ultimo consiglio ai ragazzi. «Cavalcate l’onda ed andate in apnea, così gli altri rimarranno senza fiato. Mai restare in stallo. E soprattutto provateci e non accontentatevi, ben venga l’errore e la caduta, senza non ci si rialza. C’è gente che ha vinto le Olimpiadi dopo 20 anni».

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