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Io e i miei oceani: I primi 40 anni da velista di Giovanni Soldini

«Il rapporto con la natura è primordiale e quello con la barca «quasi umano»

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Tutto è cominciato con una piccola barca, il flying del padre, usato sul lago per piccole fughe in solitaria dalla nonna: le prime potenti sensazioni di libertà.
Da allora ci sono stati quaranta transoceaniche, due giri del mondo in solitaria e innumerevoli avventure (e sventure), senza mai perdere l'amore profondo per il mare e le sue barche, con cui spesso chiacchiera.
Giovanni Soldini ripercorre i suoi «primi 40 anni» da velista dei record, fatti di trionfi, imprese leggendarie e imperdibili aneddoti, come quello sulle «ricette da pentola pressione» che l'hanno reso famoso tra i compagni di regata e non solo.
Il marinaio dalle mille avventure incanta il pubblico del Teatro sociale, tra cui ad un certo punto si scorge una fan d'eccezione: Francesca Schiavone, prima tennista italiana a vincere il Roland Garros.
Il Festival dello sport è anche questo: campioni in platea a seguire le storie di altri campioni.
 
Il racconto non poteva che cominciare dai record più recenti, quelli stabiliti con il trimarano super hi-tech Maserati, «la barca più tecnologica del mondo, capace di volare anche sul mare grosso».
Poi è un lungo viaggio a ritroso nel tempo, scandito dalle barche che hanno segnato la sua carriera. I ricordi più belli sono legati alla navigazione in solitaria e alle sensazioni che solo questa può dare, «una maniera di navigare diversa dalla regata pura in cui si è liberi di fare una rotta in sintonia con la natura senza preoccuparsi di controllare gli avversari».
Il rapporto con la natura è primordiale («quando si è soli si vivono sensazioni amplificate») e quello con la barca «quasi umano», perché diventa l'unico interlocutore (insieme al pilota automatico) con cui sfogare la tensione.
La paura? A volte si prova «perché di fronte a onde alte 20 metri e frangenti lunghi 500 sei davvero piccolo, ma poi ritrovi la lucidità per dare fondo a tutte le risorse possibili per cavartela.»
 
Da vero lupo di mare Soldini snocciola aneddoti che riempirebbero libri: una delle sue leggendarie barche (chiamata «Stupefacente») è stata costruita addirittura nella stalla di una comunità di recupero per tossicodipendenti: otto mesi di lavoro con dieci ragazzi che hanno imparato un mestiere con cui poi, forse, avranno potuto ricominciare una vita.
Tra i ricordi più belli non poteva mancare quello del salvataggio di Isabelle Autissier nel 1999 nel Pacifico del Sud: «una cosa normale» dice lui commentando un gesto per tutti noi eroico.
«Chi in mare ha bisogno di aiuto va salvato, questa è la regola numero uno per noi marinai fin dal tempo di romani. Perchè il salvataggio è sacro.»
 
40 anni di avventure non hanno fatto perdere a Soldini la voglia di navigare, anche se molte cose sono cambiate, a livello di tecnologie e comunicazione.
Ma non c'è troppa nostalgia per il passato: «ognuno deve vivere il suo tempo. Le cose avanzano e si rinnovano ma è giusto che sia così. La tecnologia aiuta e semplifica la navigazione per certi aspetti, però poi l'asticella si alza e i nuovi traguardi sono comunque difficili da raggiungere».
L'unico vero rammarico del tempo di oggi è legato all'inquinamento del mare, «sempre più invaso dalla plastica» e allo sfruttamento incondizionato delle risorse marine «durante le mie navigazioni ho incontrato flotte di pescherecci, industrie galleggianti che facevano letteralmente piazza pulita».

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