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Non morire di pesca – Di Mauro Finotti

Dopo la morte dei due pescatori di domenica scorsa, il presidente della Federazione dei Pescatori Trentini ricorda i pericoli di questo sport

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La tragica morte di due pescatori sportivi nelle acque del Trentino nei giro di pochi giorni è un avvenimento che, per quanto raro, si verifica e desta profonda commozione.
Morire della propria passione accade, certo, ma associare la pesca sportiva con il rischio della morte non è certo usuale. La pesca la si associa per lo più ad una attività tranquilla, calma, rilassante, spesso solitaria, frequentemente la si idealizza con l’immagine di un vecchietto seduto su uno sgabello in riva ad un lago.
Ma che rischi può correre uno che pratica uno sport così tranquillo? Al massimo potrà pungersi o piantarsi un amo in un dito, se va proprio male in un orecchio…
 
La realtà è ben diversa e i rischi insiti anche in questo divertimento sono non pochi e di varia natura.
A parte i più o meno lievi incidenti causati dagli accennati ami che normalmente si risolvono senza interventi particolari (ma qualche volta il ricorso al Pronto Soccorso è d’obbligo, specialmente in caso di utilizzo di ami piuttosto grossi e provvisti di ardiglione), i maggiori pericoli che il pescatore moderno deve affrontare sono essenzialmente legati all’ambiente.
Un ambiente che l’uomo moderno conosce sempre meno, o che perlomeno è sempre meno abituato a frequentare. Basti pensare a quante ore della nostra settimana utilizziamo per stare in un ambiente selvatico rispetto ad una ambiente moderno e civile.
Siamo abituati a camminare su terreni perfettamente piatti, con scarpe comode, frequentiamo raramente terreni diversi. Non conosciamo o non sappiamo raffrontarci con animali e insetti che fino a poche decine d’anni fa conoscevamo bene. Paghiamo e soffriamo un po’ per la nostra civilizzazione.
 
Ma ci sono anche comportamenti personali che dovrebbero essere opportunamente ben valutati, a maggior ragione se siamo consapevoli che il nostro rapporto con l’ambiente è molto cambiato.
Noi associamo spesso la pesca alla figura di un pescatore che se ne va da solo ad esercitare il suo passatempo. È un po’ l’immagine anche del grande fungaiolo, che va da solo perché i suoi posti segreti devono rimanere tali, quei posti ricchi di soddisfazione che solo lui conosce. Meglio sarebbe dire che lui crede di conoscere da solo.
Spesso anche il pescatore, a pesca ci va da solo. Forse crede di conoscere solo lui quel tal posto, quella tal buca, quella tal parte di lago. Ma mentre per la pesca al lago esistono minori rischi, le frequentazioni di fiumi e torrenti nascondono insidie e pericoli spesso sottovalutati.
Andare da soli a pesca non è una buona abitudine, non lo è mai stata e non lo è nemmeno ora che quasi tutto il territorio è coperto dalle comunicazioni telefoniche.
Una caduta, una slogatura, una frattura, una ferita, se si verificano durante una battuta di pesca solitaria sono comunque un problema grave: un territorio selvaggio mal si presta a una ricerca anche se guidata da una persona cosciente.
E il fattore tempo talvolta è fondamentale.
 
E farsi male, durante l’esercizio della pesca, è facile, fin troppo facile: è successo a me e a parecchi dei miei amici.
Ci ho rimesso un menisco con una caduta sui massi dell’Avisio, ho fatto anche qualche bel gelido bagno, ma per fortuna (e per scelta) non ero mai solo.
Certo l’avanzare dell’età e la diminuzione dell’agilità hanno contribuito a modificare e rafforzare la scelta di non andare a pesca da solo, ma quando avevo trent’anni qualche imprudenza l’ho commessa anch’io…
Ma non sono mai andato a pesca senza che qualcuno sapesse esattamente dove mi sarei recato: mia moglie ha sempre avuto il compito di dare un allarme se non mi fossi fatto vivo entro una certa ora.
 
Anche l’attrezzatura ha la sua grande importanza, a cominciare dal vestiario e dalle calzature in particolare.
Stivali, stivaloni, scarponi per waders devono essere assolutamente adatti all’ambiente che si va a frequentare.
Gli addetti ai lavori mi capiranno certamente quanto dico che suole in wibram, con feltro o chiodate non vanno bene ovunque: devono essere adatte al luogo di pesca, non possono genericamente andar bene dappertutto.
L’acqua è l’elemento che frequentiamo. E all’acqua dobbiamo associare umidità, fango, corrente, scivolosità. L’acqua bisogna saperla affrontare, saper nuotare è indispensabile: nei nostri torrenti le buche profonde o perlomeno sufficienti a metterci in difficoltà sono ovunque.
Affrontare da soli e senza saper nuotare l’attraversamento di un torrente è una imprudenza che può trasformarsi in tragedia.
Stivaloni e waders in caso di caduta in acqua possono rappresentare trappole mortali perché si riempiono immediatamente di acqua.
Incomprensibile l’atteggiamento di chi va a pescare in natante, se non sa nuotare e non ha a bordo alcun elemento di soccorso.
 
I materiali con cui sono fatte alcune canne da pesca sono causa di numerosi decessi: il carbonio con il quale sono costruite soprattutto le canne più lunghe, anche ben oltre i 10 metri, è un formidabile conduttore di elettricità e, proprio la lunghezza di queste canne, se manovrate in vicinanza di linee elettriche aeree sono un pericolo mortale: una scarica elettrica su una persona con i piedi in acqua o comunque bagnati ha quasi sempre effetti letali.
Non è un fatto isolato, nel passato è successo anche nella nostra provincia.
In caso di temporali inoltre è opportuno smettere immediatamente l’azione di pesca e riporre la canna: il carbonio e la canna alta attirano i fulmini.
La prudenza è quindi d’obbligo anche per questo passatempo che ad una prima superficiale analisi sembrerebbe privo di possibili pericoli.
 
Mauro Finotti
Presidente della Federazione dei Pescatori Trentini

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