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Il futuro dei distretti industriali – Di Daniele Bornancin

Questo l'argomento trattato alla conclusione del festival dell'economia del 2016

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Il Festival dell'economia si è concluso, molti gli argomenti trattati, tante le persone che hanno seguito nelle diverse sedi della città i vari relatori, una nutrita folla di giovani, stipati con il librettino arancio del programma, per ascoltare docenti, ministri, premi nobel, consulenti, esperti, imprenditori, giornalisti.

Diciamo per «ascoltare» i protagonisti della crescita, della crisi e del futuro che oramai è lì vicino, dietro l'angolo per far sentire la propria voce, il proprio essere.
Un'edizione, questa undicesima, che spinge a dire che anche questo è, che si voglia o non si voglia, un turismo, magari diverso, più incline al mondo scientifico e dell'alta cultura, ma che comunque crea un'immagine della città di Trento e del Trentino esclusiva, moderna, innovativa.
Sicuramente farà rimanere nelle menti dei partecipanti italiani e/o stranieri, un momento straordinario e un'occasione vissuta per nutrire il proprio sapere con una «economia popolare alla portata di tutti» un quattro giorni da ripetersi. Una festa popolare, un incontro di tutti e per tutti.
 
Nel programma, sulla base di queste considerazioni e per certi aspetti per la tradizione industriale trentina nella sua attuale evoluzione, non poteva mancare un ragionamento, una riflessione sul tema del «futuro dei distretti industriali», che è stato inserito alla fine degli incontri del festival.
Un confronto moderato sapientemente da Luca Paolazzi, Direttore del Centro Studi di Confindustria al quale sono intervenuti Stefano Barrese, Responsabile della Banca dei Territori Intesa San Paolo, l'editore Alessandro Laterza, ed inoltre, Susanna Camusso, Segretario Generale CGIL e Claudio De Vincenti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Non poteva mancare il docente dell'università di Padova Daniele Marini, noto in Trentino anche per i suoi pregressi nella Fondazione Nord Est, esperto della trasformazione industriale dei nostri territori.
Gli interventi di questi esperti sono iniziati con una visione fotografica della situazione dei distretti italiani nel periodo 2008 -2014, sulla base di uno studio dell'Istat del 2011, che indica l'esistenza di 141 distretti con circa 5 milioni di addetti, dislocati in 2,121 comuni, con una esportazione di 98 miliardi, pari a circa il 25% del totale dell'export nazionale.
 
Questi agglomerati di varie imprese specializzate, che vivono nello stesso territorio, hanno saputo risollevarsi dalla crisi, facendo registrare un avvio di ripresa della produzione, dell'occupazione spesso tecnico - professionale, ma anche dell'esportazione divenendo negli ultimi tempi anche centro di attrattività per imprese multinazionali ed estere.
Pensiamo alla trasformazione del distretto delle maglierie di Carpi, oppure dei tessuti di Biella.
In alcuni casi, grazie ai distretti, sono rientrate in Italia produzioni che erano andate all'estero non solo per il costo del personale, ma anche per il contesto complessivo del sistema italiano.
Un quadro positivo, quello dei distretti attuali che hanno trovato la forza di resistere, di superare le difficoltà legate sia all'evento dell'euro, sia dalla globalizzazione.
Dal 2000 al 2014 gran parte dei distretti italiani si sono trasformati, hanno seguito i criteri della qualità produttiva, organizzativa, di certificazione aziendale, di brevettazione, ma anche la riscoperta del fattore umano che unisce l'impegno dell'imprenditore con quello di chi lavora in azienda e con la realtà dei fornitori locali.
 
Una sorta di compartecipazione nella vita e nell'affiorarsi della crescita dell'azienda.
Distretti come strumento per competere, con dinamiche diverse. Una realtà viva che apre gli spazi sia a piccole e micro imprese, ma anche a medie imprese nell'ottica di un sviluppo complessivo.
Il Veneto in particolare, e il Nord Italia, sono le punte dove avviene la trasformazione moderna e dove i distretti sono più radicati .
Non è che i distretti devono essere dimenticati, semmai deve essere studiata una nuova polita dei distretti, che valorizzi il sistema produttivo locale, che favorisca la formazione professionale regionale e l'alternanza scuola-lavoro.
Questo perché più si è lontani dal territorio, più non si comprendono le caratteristiche locali, ecco perché è necessario uno sviluppo locale dei distretti dove oggi operano o dove saranno prossimamente insediati.
Se solo sei anni fa questi distretti italiani erano in declino e destinati a scomparire, ora da più parti si parla del rilancio e di una nuova evoluzione dei distretti.
Nati come unica impresa composta da vari reparti, per fare particolari produzioni, ora sono delle eccellenze produttive che hanno avuto una metamorfosi, basata sull'innovazione, sulla esportazione e sulla attenzione al personale altamente qualificato.
 
Hanno quindi modificato il proprio assetto, il proprio modo di agire, chiamandosi come sostiene Marini «dislarghi» anziché distretti, proprio per la loro visione a largo raggio, con l'uso di strumentazioni e macchinari ad alta tecnologia, con l'uso del sistema digitale e dell'informatizzazione, spesso collegati in rete con piccole imprese di fornitori del territorio.
Una tipologia di confronto questa, dei nuovi distretti che si basa su patti di compartecipazione, con i sindacati, con gli enti, con le banche ed anche con i fornitori di prodotti e di servizi.
Delle micro società produttive nello stesso territorio, nello stesso ambiente, nella stesso contesto.
Tutto racchiuso in uno e unico punto, la consapevolezza che se cresce l'economia, cresce la comunità, si riduce la povertà, perché è doveroso alla luce delle attuali e presenti trasformazioni strutturali dell'economia, vedere solo gli aspetti negativi, ma percorrere quella preziosa occasione per realizzare un nuovo modello di sviluppo.
 
Daniele Maurizio Bornancin

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