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Storie di donne, letteratura di genere/ 536 – Di Luciana Grillo

Carmen Pellegrino, «Dove la luce» – Le parole dell’autrice, trasparenti e profonde, evidenziano «una traccia del passato che fa brillare le possibilità del futuro»

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Titolo: Dove la luce
Autrice: Carmen Pellegrino
 
Editore: La nave di Teseo, 2024
Genere: Letteratura femminile contemporanea
 
Pagine: 208, Brossura
Prezzo di copertina: € 19
 
Carmen Pellegrino ha una scrittura lieve, intima, ti fa entrare fra le pagine con la leggerezza dell’armonia e ti inoltra in luoghi diversi, ti fa conoscere persone vere o verosimili, ti accompagna nei luoghi della sua infanzia, ti fa inoltrare nel mistero dell’animo umano. Ho avuto qualche anno fa il privilegio di presentare un suo romanzo al Trentino Book Festival; ne apprezzai la profondità e la delicatezza… il titolo era un verso di Alfonso Gatto.
 
Questo romanzo, il cui titolo è un luminoso verso di Ungaretti, si snoda in un arco temporale che va dal 1983 (Giubileo straordinario) al 2023. Il 1987 è l’anno della scomparsa misteriosa del Professore – Federico Caffè – che aveva confidato a Milo «il proposito di volersene andare via per sempre».
Infatti, il 15 aprile 1987 scompare.
Milo «gli mostrò una nicchia di pietra abbastanza profonda in cui avrebbe potuto mettersi a dormire. Nessuno lo avrebbe mai cercato lì e nessuno comunque avrebbe potuto vederlo».
 
36 anni dopo, Carmen è nella sua stanza a Postiglione, paese dell’infanzia, seduta alla scrivania, e appunta «questi pensieri come confidando, ancora, nella parola che non sia vinta, una parola che trovi, ancora, il modo per dire quanto può dire».
Dunque, gli anni si sovrappongono, ora il Professore - adolescente o poco più - sa che deve rinunciare allo studio del violino per difficoltà economiche, ora può invece riacquistare «la terra di cui i suoi si erano privati… in segno di gratitudine per i sacrifici che avevano fatto per lui».
 
Il tempo passa, il Professore sente avanzare la vecchiaia, teme di perdere la memoria, d’altra parte «l’insegnamento era stato la ragione della sua vita, l’impegno assoluto a cui aveva sacrificato anche la vita sentimentale… messo a riposo per limiti anagrafici… si era via via sentito fuori posto».
Avanza la depressione, il senso della vecchiaia che lo fa sentire inutile, mentre le Brigate Rosse manifestano la loro inaudita violenza.
E dunque decide di scomparire, lasciando anche gli occhiali a casa.
 
L’autrice rivede quel decennio drammatico, pensa al terremoto del 1980, alla strage di Ustica e all’attentato alla stazione di Bologna e confessa: «Piangevo senza capire niente, piangevo i morti sconosciuti, mettendomi sotto al televisore, piangevo per le macerie…».
Ma si avvicina anche a fatti più recenti, come il disastro di Chernobyl, l’invasione del Kuwait, l’aggressione russa all’Ucraina…
 
Era una bambina che più tardi comprende quanto suo padre avrebbe desiderato un figlio maschio!
Lei prende la patente solo per accontentarlo, ma non guiderà mai e neanche lo renderà nonno… e di pagina in pagina, in questo romanzo in cui entrano più vite, immette citazioni di Vittorio Tondelli ed Ermanno Rea, di Robert Walser e di Virginia Woolf, di Abbas Kiarostami, di Gérard de Nerval e di Giuseppe Ungaretti, suggerendo, per effetto domino, a lettori e lettrici nuove e interessanti letture.
 
Ricorda Seneca che, in una lettera a Lucilio «scriveva che non il denaro, non la toga pretesta, non la fama e neppure la bellezza e la forza possono rendere felici, ma lo spirito – retto, onesto, grande…» e ritorna al Professore, alla sua feroce «denuncia delle speculazioni finanziarie e dei traffici degli incappucciati della finanza. Etichettato come economista eterodosso… stilò un elenco di misure di politica economica…» e sostenne che «allo stato attuale delle cose, rifugiarsi nella più eburnea delle torri d’avorio appare preferibile all’occuparsi dei problemi correnti della politica economica del nostro paese».
 
Insieme al Professore e al suo povero amico Milo, troviamo anche Otto, nato in una famiglia semplice che aveva voluto farlo studiare, fino a mandarlo a Roma, all’Università dove, con un coinquilino, parlava il suo dialetto e mangiava il cibo preparato dalla mamma e mandato dal paesello in città.
Otto è l’unico a conoscere il segreto del Professore, «il solo tra i miei ex allievi (in realtà, dovrei definirlo allievo in pectore, allievo d’anima, dato che quando arrivò in facoltà io ero già un vecchio pensionato che dispensava consigli e pacche sulla spalla) a sapere dove mi trovo… sono consapevole di averlo costretto a una responsabilità bella grossa, affidandogli un segreto che non dovrà mai rivelare».
 
Pellegrino cita spesso suo padre, che forse ha deluso, ma per il quale prova infinita tenerezza: è nato nell’immediato secondo dopoguerra, quando l’Italia «passa dalla miseria al benessere in meno di due decenni, dalle macerie della guerra alla ricostruzione accresciuta, dai tratturi per somari ai ponti autostradali», e non può a questo punto non pensare al Ponte Morandi di Genova che «il 14 agosto 2018 si è accartocciato su sé stesso».
 
Insomma, l’autrice costruisce un ponte – che non crolla – tra passato e presente, tra cultura universitaria e semplicità contadina, tra presenza e assenza.
Le sue parole, trasparenti e profonde, evidenziano «una traccia del passato che fa brillare le possibilità del futuro».

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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