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Trentino Rock, dagli anni '60 a oggi/ 22 – Le Termiti

«Un buon musicista deve essere rigoroso, organizzato e molto empatico»

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Un sabato sera dell’estate 1964, a Sover, paese dell’alta Val Di Cembra, tutto il paese si raduna davanti all’unica officina meccanica del paese.
Non è successo un incidente, non viene presentata nessuna nuova macchina, non è in programma alcuna particolare inaugurazione o sagra del paese.
All’interno della piccola officina c’è un piccolo concerto ma con una grande novità, suona il gruppo delle «Termiti».
 
Franco Gasperi al basso, Andrea Sartori alla chitarra e Tullio Bazzanella alla batteria, 3 ragazzotti poco più che quindicenni tengono il loro primo concerto.
Per quell’epoca in Val Di Cembra è un grande evento, il divertimento e lo stupore dei partecipanti ne decreta il grande successo!
Il loro repertorio è dapprima legato ai successi della musica leggera Italiana ma poi comincia a legarsi quasi interamente ai nuovi successi mondiali dei Cream e Jimi Hendrix, nelle loro vene scorre la grande voglia della musica dei capelloni.
 

 
«Eravamo entusiasti della nuova musica Rhythm 'n Blues, – ricorda Andrea Sartori. – Ci tenevamo molto aggiornati pur con molte difficoltà dovute alla mancanza di reperibilità di spartiti dischi e partiture varie.»
I tre giovanotti seguono con entusiasmo anche i Beatles e i Rolling Stones, ma sentono anche i primi venti del pop Rock americano.
«In Realtà – racconta Franco Gasperi – cominciammo proprio col pop Americano, infatti ricordo bene la prima canzone che provammo in sala prove: era la mitica Barbara Ann dei grandi The Beach Boys
 
Fra un concerto e l’altro la Band registra anche alcune puntate per la Rai, vince per 3 anni di fila il concorso musicale di Bosentino e fa anche dei provini per la Fonit Cetra, la casa discografica di Mina.
«Fu un periodo d’oro, – continua Andrea Sartori. – Suonavamo spesso e un po’ dappertutto e in alcuni locali ci alternavamo con la Pietra Filosofale, band allora molto conosciuta e apprezzata.»
 

 
Dopo la partenza per il servizio militare di Tullio Bazzanella, alla batteria si susseguono dapprima il grande Alessio Weber e poi Carlo Sevegnani, detto Orso.
L’avventura dura fino alla fine del 1972, a questo riguardo Carlo Sevegnani precisa così.
«Dovevamo decidere se continuare e fare la professione oppure continuare gli studi universitari. Alla luce di quanto successo è stato meglio così».
Infatti Andrea Sartori diventerà medico, professione che esercita tutt’ora presso l’ambulatorio di Levico Terme, Carlo Sevegnani diventerà architetto, mentre Franco Gasperi lavorerà come tecnico della Telecom.
Uno solo di loro però continuerà la carriera musicale in parallelo alla sua professione. Andrea Sartori infatti è ancora oggi un apprezzato chitarrista ed è il più importante esponente trentino del genere Jazz Manouche inventato dallo straordinario e versatile chitarrista degli anni 50 Django Reinhardt.
 
Questo genere musicale di nicchia ha reso possibile l'unione tra l'antica tradizione musicale zingara del ceppo dei Manouches e il jazz americano.
Il frutto di questa unione è un genere che coniuga la sonorità e la creatività espressiva dello swing degli anni trenta con il filone musicale del valse musette francese ed il virtuosismo eclettico tzigano.
Oggi nostri ospiti per la prima volta in un’intervista abbiamo l’intera formazione delle Termiti.
 

 
Quali erano i vostri musicisti di riferimento quando avete iniziato a suonare?
«Per un chitarrista – risponde Andrea Sartori – Jimi Hendrix allora era il punto di arrivo. Ma ho apprezzato anche Clapton, Stochelo e Rosemberg.»
«Per un batterista invece, – aggiunge Carlo Sevegnani, – l’idolo era Charlie Watts dei Rolling Stones, che grazie a quel tocco jazzato, quasi swingante, era il più raffinato, in un ambiente di picchiatori del ritmo.»
«Per quanto mi riguarda – conclude Franco Gasperi – io seguivo molto il bassista dei Grand Funk Railroad, Mel Schacher.»
 
Come è cambiata la musica da allora?
«A parer mio – comincia Carlo Sevegnani, – oggi la musica ha un valore diverso, non è più una musica di massa ma di nicchia, tutti tendono alla sperimentazione che però grazie a un bombardamento mediatico incredibile appare sempre più difficile.»
«La musica – continua Andrea Sartori – è stata un crescendo evoluzionistico fino agli inizi del 1980, poi è cominciato un appiattimento musicale preoccupante dovuto alla tecnologia dei suoni che molte volte incide più della tecnica nell’esecuzione di un brano.» 

Quali sono stati i gruppi Trentini che apprezzavate di più in quegli anni?
«Credo di parlare a nome di tutti – ci dice Franco Gasperi – nell’individuare come nostri preferiti i Britanni, La Pietra Filosofale e i Federal Sound che allora a parer mio erano i più preparati tecnicamente.
 
E oggi che musica ascoltate?
«Ascoltiamo di tutto – precisa Andrea Sartori, – dal jazz alla musica classica, dal Rhythm & Blues al pop.»
 
Vi sentite di dare dei consigli ai giovani musicisti che stanno per iniziare?
«Intanto, – comincia Carlo Sevegnani – prendere contatto con lo strumento scelto e cercare più informazioni possibili su di esso.»
«Poi – conclude Andrea Sartori – cercare un buon maestro che insegni bene i fondamentali della musica. La grande passione è importante, ma senza la conoscenza non serve a nulla.»
 
Che caratteristiche deve avere il grande musicista?
«Il batterista – commenta Carlo Sevegnani – deve avere una grande percezione delle sfumature, ma anche una grande creatività.»
«Un buon bassista – è la volta di Franco Gasperi – deve avere una grande esperienza e una grande energia fisica.»
Conclude Andrea Sartori. «Il buon chitarrista deve affiancare alla tecnica una straordinaria sensibilità che deve tramutare in sentimento mentre suona il pezzo.»
 
Avete qualche rimpianto?
«L’unico rimpianto – ammette Franco Gasperi – è non aver avuto un maestro all’inizio, ma purtroppo le possibilità allora non erano quelle di adesso.»
 
Ma era così difficile suonare negli anni 60?
«Ci sarebbe tanto da dire – ci racconta Andrea Sartori – e tanto da raccontare, a partire da com’era difficile imparare a suonare allora, in quanto bisognava solamente rubare qua e là ed ascoltare ed acquistare tantissimi dischi per tenersi aggiornati. Non c’erano scuole, non c’erano insegnanti, non c’era nulla. Anche suonare in pubblico era estremamente difficile perché la nostra musica era vista con sospetto, era la musica da capelloni, musica da drogati...»
«Era difficile costituire un gruppo – aggiunge Andrea – perché la voglia era tanta, ma i soldi erano pochi e le rare e costose apparecchiature avevano costi da capogiro.»
 
Vi sono rimasti dei sogni?
«Si, – sorride Carlo Sevegnani. – In questi anni, dopo la batteria ho imparato a suonare la chitarra e quindi mi piacerebbe ricostruire un repertorio di tutte le canzoni di protesta di quegli anni, dove le parole ed i testi diventavano le armi per emergere e lottare per la libertà.»
«Il mio unico sogno, – confessa Andrea Sartori – è il poter continuare a coniugare la mia professione con gli impegni musicali Live.»
 
La musica come vi ha aiutato nella vita?
«La musica ti aumenta l’autostima e ti insegna la precisione. – Risponde Andrea Sartori. – Ma non è tutto, infatti per diventare un buon musicista devi essere rigoroso, organizzato ed empatico. La sistematica applicazione quasi noiosa se porta a risultati ti rende consapevole e ti motiva ancora di più nell’apprendimento. Questo modello poi è trasferibile in tutti i settori della vita».
 
Ci potete spiegare l’origine del nome della band?
«Il nome Le Termiti, – precisa Andrea Sartori – è stato ricavato leggendo sul mensile Topolino una storiella dove Qui Quo e Qua suonavano in un complessino con quel nome, ci è piaciuto subito e l’abbiamo fatto nostro! Questo nome comunque si avvicinava molto anche alla moda del periodo, vedi i Beatles (scarafaggi), oppure i Byrds (uccelli)e così via.»
 
 
 
Altri tempi, storie incredibili per chi legge oggi.
Negli anni 60 dove il primo concerto veniva magari eseguito in un’ officina, oppure dove per acquistare un semplice spartito al negozio Del Marco di Trento da Sover erano necessarie oltre sei ore di viaggio, cioè più di un viaggio di andata e ritorno Trento Milano oggi, era tutto normale.
Ma allora queste riflessioni non sfioravano nessuno, in quel tempo tutto era possibile, nessuno si chiedeva il perché o come farle, si facevano e basta, allora c’era una soluzione per tutto.
«Ma la nostra fortuna – confida Carlo Sevegnani – era di avere all’interno della Band un musicista tecnicamente geniale, un esempio di rigore e impegno da seguire: Andrea Sartori.»
 
In quegli anni – continua Sevegnani – già l’acquisto di uno strumento era quasi impossibile. Ricordo la mia felicità quando mio padre mi regalò la mia prima batteria, una Hollywood di color azzurro perlato, era la cosa più bella che avessi mai visto al mondo.»
Allora il divertimento era una grande conquista, ma fatta di cose semplici e passando da valori imprescindibili.
Poi Andrea Sartori ci svela un piccolo ma importante aneddoto.
«Eravamo a suonare in un maso in val di Non insieme ad un altro gruppo. Il batterista di questo gruppo mi chiese curiosamente in prestito la mia chitarra. Vedendolo suonare così bene mi chiesi subito il perché suonasse la batteria anziché la chitarra.
«A questa mia precisa domanda mi rispose che era la prima volta che prendeva in mano la chitarra, io pensai mi prendesse in giro, ma mi dovetti ricredere anni più tardi.
«Quel ragazzo che per la prima volta prese in mano la chitarra dimostrando si saperla già suonare si chiamava Andrea Braido…!» 

Ma erano anche anni di piccole trasgressioni istituzionali. E a questo proposito Carlo Sevegnani conclude l’intervista.
«Alla scuola Arcivescovile, forse la più conservatrice della città, al posto del campanello della ricreazione sparavano dagli altoparlanti del campo di calcio a volume altissimo la canzone Satisfaction dei Rolling Stones.»
In quegli anni era davvero tutto possibile…
 
Roberto Conci
r.conci@ladigetto.it 
Il prossimo Giovedì sarà la volta di Massimo Andreatta che ci parlerà di uno dei più grandi gruppi Trentini di sempre, i Varycella Naphtaline.

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