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Il 24 marzo di 80 anni fa la strage delle Fosse Ardeatine

Fu una vendetta contro l’Italia: i Tedeschi non si scatenarono contro gli antifascisti ma proprio contro la popolazione italiana in quanto tale

Il 24 marzo è l’anniversario di una delle stragi più feroci commesse in Italia dalle truppe tedesche di occupazione, l’eccidio delle «Fosse Ardeatine».
Abbiamo scritto «una delle stragi», perché in realtà poi ne avvennero tante altre. Peggiori. Ma certamente il popolo italiano ricorda le Fosse Ardeatine come la peggior ferita inferta al nostro Paese.
 
L'eccidio delle Fosse Ardeatine fu l'uccisione di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, ma anche semplici civili, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella (vedi nostro servizio di ieri), compiuto il giorno prima da membri dei GAP romani, in cui erano rimasti uccisi 33 soldati del reggimento Bozen appartenente alla Ordnungspolizei, la polizia tedesca di leva altoatesina.
Hitler aveva subito ordinato di uccidere per rappresaglia 30 italiani per ogni tedesco morto. Il comando delle SS di Roma aveva criticato tale decisione perché impraticabile. Non avevano neanche idea di dove trovare tante vittime da sacrificare, quasi mille.
Allora il Führer decise di ridurre la rappresaglia a soli 10 italiani per ogni tedesco ucciso.
 
La Convenzione dell'Aia del 1907 proibiva la rappresaglia, e la Convenzione di Ginevra del 1929, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, nell’Articolo 2 faceva esplicito divieto di atti di rappresaglia nei confronti dei prigionieri di guerra.
Dal punto di vista del diritto internazionale, però, l'argomento «rappresaglia» era contemplato nei codici di diritto bellico nazionali, in cui si faceva riferimento ai «criteri della proporzionalità» rispetto all'entità dell'offesa subita, della selezione degli ostaggi (non indiscriminata) e della salvaguardia delle popolazioni civili.
Nessuno di questi criteri, dunque, fu rispettato dai tedeschi: la rappresaglia fu del tutto sproporzionata; nessuno degli uccisi aveva alcunché a che fare con l'attentato; nella selezione degli ostaggi si procedette alla fucilazione anche di personale sanitario, infermi e malati, nonché di civili inermi del tutto estranei alla Resistenza, molti dei quali selezionati solo in quanto ebrei; inoltre non risulta che sia stata eseguita da parte tedesca alcuna seria indagine per appurare l'identità dei responsabili dell'attacco.
 
Il colonnello Kappler si era fatto consegnare tutti i condannati a morte al momento presenti in carcere a Roma, cominciando dai partigiani ma scartando le donne (nei mesi successivi però sarebbero state uccise anche donne).
Il numero risultò essere troppo basso e allora si fecero consegnare gli indiziati di reati che avrebbero potuto portare alla pena capitale.
Non avendo raggiunto la quota di 330 vittime, Kappler ordinò al questore di fornirgli una cinquantina di individui da mandare al macello.
Il questore, Pietro Caruso, si consultò con il Ministro dell’Interno, Guido Buffarini Guidi, il quale si limitò a dirgli che «era meglio assecondare i tedeschi».
Il questore consegnò a Kappler solo un medico condannato a morte per mercato nero. Ovviamente non era sufficiente e obbligò i funzionari a trovare a tutti i costi quelli che mancavano altrimenti li avrebbero presi loro a caso. Furono svuotale le carceri…
 
Più di un ufficiale tedesco si era rifiutato (e non fu punito per questo), ma la maggior parte obbedì.
Le vittime furono uccise con un colpo di arma da fuoco alla nuca.
Viste le dimensioni dell'eccidio, anche i tedeschi subirono uno stress emotivo spaventoso. Il comando delle SS aveva disposto la distribuzione di cognac ai carnefici. Lo ritennero necessario.

Nell'eccidio delle Fosse Ardeatine, compiuto il 24 marzo, furono uccisi quasi tutti i detenuti nelle carceri di via Tasso e Regina Coeli, tra cui il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo e Pilo Albertelli, comandanti rispettivamente della resistenza militare e delle Brigate Giustizia e Libertà del Partito d'Azione.
Aggiungiamo che ai soldati superstiti del battaglione Bozen era stato concesso l’«onore» di fucilare gli ostaggi. I soldati altoatesini si rifiutarono, affermando che loro non erano assassini.

Il giorno dopo, a mezzogiorno del 25 marzo, i tedeschi diedero (assieme alla notizia di avere già eseguito la rappresaglia) notizia ufficiale dell'attentato, mediante la pubblicazione sui giornali del seguente comunicato, che era stato emanato dal comando tedesco di Roma alle 22:55 del 24 marzo:
«Nel pomeriggio del 23 marzo 1944, elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bomba contro una colonna tedesca di Polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata, 32 uomini della Polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento anglo-americano.
«Il Comando tedesco è deciso a stroncare l'attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il Comando tedesco, perciò, ha ordinato che per ogni tedesco ammazzato dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest'ordine è già stato eseguito.»
 
Le vittime della strage furono in realtà 335: alla cifra di 320 stabilita dagli ordini superiori Kappler aggiunse di sua iniziativa altre quindici persone (dieci per il trentatreesimo soldato morto e cinque per errore), la cui uccisione non fu resa nota, cosicché tutti i comunicati e gli articoli pubblicati in quei giorni annunciarono l'uccisione di 320 prigionieri.
l 26 marzo L'Osservatore Romano pubblicò il comunicato tedesco che riportava la notizia dell'attentato e annunciava l'avvenuta rappresaglia, facendolo seguire da un commento non firmato che esprimeva pietà per le vittime dei due eventi, condannandoli entrambi:
«Trentadue vittime da una parte: trecentoventi persone sacrificate per i colpevoli sfuggiti all'arresto, dall'altra».
Il testo si concludeva con un appello: «non si può, non si deve spingere alla disperazione ch'è la più tremenda consigliera ma ancora la più tremenda delle forze, invochiamo dagli irresponsabili il rispetto per la vita umana che non hanno il diritto di sacrificare mai; il rispetto dell'innocenza che ne resta fatalmente vittima; dai responsabili la coscienza di questa loro responsabilità verso se stessi, verso le vite che vogliono salvaguardare, verso la storia e la civiltà».

Che fine fecero.
Non molto tempo dopo Roma fu liberata e per prima cosa venne fucilato il questore Caruso.
Il ministro Buffarini Guido fu fucilato un mese dopo la fine della guerra in seguito alla sentenza di un tribunale piuttosto sbrigativo.
Mussolini lamentò che in queta maniera i tedeschi avrebbero fatto crescere l’antipatia deli Italiani.

Kappler fu processato in Italia. Si era giustificato dicendo che aveva ricevuto ordini dal Führer, ma avendone uccisi 335 (cioè 5 di più) fu condannato all’ergastolo. Che scontò quasi completamente, riuscendo a evadere pochi mesi prima della sua morte.
Anche il braccio destro di Kappler, capitano Priebke, fu condannato all’ergastolo. Ma riuscì a passare la sua vita in tutta serenità, finché i nostri servizi segreti lo individuarono ormai vecchio e fu incarcerato. Gli ultimi mesi di vita li passò a piede libero - con la scorta - ma in stato di mentecatto.
 
Come abbiamo visto, le vittime non furono solo antifascisti. Sicuramente c’erano anche loro, ma la rappresaglia fu perpetrata ai danni di tutti Italiani, che Hitler considerava traditori.
Il massacro delle Fosse Ardeatine fu una strage perpetrata ai danni del popolo italiano. Punto.

Guido de Mozzi – g.demozzi@ladigetto.it

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