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Storie di donne, letteratura di genere/ 383 – Di Luciana Grillo

Natalie Haynes, «Il canto di Calliope» – Iliade. Si esalta il coraggio delle donne, non ci sono solo lamenti, ma anche forza, energia e... resilienza»

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Titolo: Arabpop. Arte e letteratura in rivolta dai Paesi arabi
Curatrici: Chiara Comito, Silvia Moresi
 
Editore: Mimesis 2020
Collana: Eterotopie
 
Pagine: 224, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
 
Comunemente, consideriamo Paesi arabi tutti quelli che si affacciano sul mar Rosso e sul Mediterraneo meridionale, in qualche modo mettendo insieme Emirati arabi, Marocco, Egitto, Tunisia, Arabia Saudita, Algeria, Siria, Libano, Iran, Afghanistan, eccetera.
In realtà, ciascuno di questi Paesi ha la sua identità e la sua storia, e le Primavere arabe che noi occidentali abbiamo seguito a partire dalla fine del 2010 sono diverse da un Paese all’altro, anche se l’aspirazione comune che guidava i giovani era la stessa, tesa alla conquista di libertà e democrazia, al ribaltamento del passato opprimente.
Gli strumenti che hanno caratterizzato queste Primavere sono il segno di un cambiamento profondo nella popolazione che si è affidata all’arte, alla musica, alla street art, al fumetto, al cinema per manifestare il disagio e per affermare la necessità di nuovi linguaggi.
 
Il primo Paese al quale si rivolge l’attenzione è l’Egitto, che «verrà preso a esempio principale come teatro delle rivolte fra le più importanti del 2011, ma anche in virtù della sua storia di campione dell’arabismo per tutta la regione».
E si parte dalla letteratura: «nel panorama editoriale arabo, a un primo momento di entusiasmo caratterizzato dalla pubblicazione di una considerevole mole di saggi e instant book con focus sulle rivoluzioni (in particolare in Egitto e Tunisia) è seguito un momento di riflessione intellettuale fra gli autori… la letteratura necessita di un lasso di tempo maggiore per elaborare gli avvenimenti del presente in maniera convincente».
 
Però gli eserciti velocemente riprendono il sopravvento, ci sono Paesi che sono dilaniati da guerre civili (Siria, Libia, Yemen) mentre altri continuano a denunziare corruzione e incapacità dei governanti.
È a questo punto che la letteratura diventa testimonianza, come scrive il siriano Khaled Khalifa: «Abbiamo bisogno di verità in tempo di guerra, perché la vita e la morte dell’uomo non sono cose da prendere alla leggera».
Quanto all’arte, fin dall’inizio del terzo millennio «i Paesi del Golfo sono entrati prepotentemente a far parte della scena artistica araba»: Dubai ha organizzato nel 2006 la Fiera d’Arte contemporanea, Abu Dhabi nel 2009, seguiti da Doha nel Qatar dove nel 2010 è stato inaugurato il Museo Arabo d’Arte Moderna e da Abu Dhabi dove nel 2017 è arrivato persino il Louvre.
 
In pratica, gli Emirati sono subentrati al Cairo, a Beirut, a Damasco, a Baghdad nella diffusione dell’arte contemporanea che rielabora gli stilei classici, il dio egiziano Anubi diventa un supereroe come Batman e il Gesù michelangiolesco della Pietà diventa un ribelle palestinese, mentre Marilyn Monroe indossa una kufiyya.
Nei tempi della Primavera rivoluzionaria, il controllo poliziesco dei luoghi pubblici diventa meno asfissiante e nello stesso tempo aumenta la visibilità internazionale: nascono festival musicali, si organizzano concerti gratuiti, i generi si moltiplicano e diversificano, i musicisti si muovono da Paese a Paese: «Il Libano ha dato asili a diversi musicisti siriani…la Giordania ha avuto una stagione pop particolarmente vivace dal 2011… la penosa condizione del cittadino egiziano viene lamentata… il rap merita un discorso a sé stante…se nei Paesi del Maghreb l’asceca del rap è un fenomeno piuttosto consolidato,… nel  Mashreq si tratta di un fatto decisamente più recente».
 
In particolare, la guerra in Siria smuove le coscienze e invita alla sensibilizzazione attraverso musica e parole: «Questo è un messaggio da Tahir, dalle vallate del Kashmir/… a Tunisi, la culla della rivoluzione… dal sangue del martire che irriga il Nilo… dalle periferie di Parigi e da chi è oppresso dal loro marciume/dai labirinti dell’esilio e da chi annega nelle sue barche», «e a proposito di Lampedusa, El Rass ha dedicato all’isola siciliana un’intera canzone… in cui ancora una volta fa riferimento alla radice coloniale e imperialistica dei problemi che affliggono a tutt’oggi il rapporto tra mondo arabo e Occidente».
Le rivoluzioni del 2011 hanno dato spazio anche al fumetto; alcune opere sono state censurate ma nel complesso si sono diffusi romanzi, riviste cartacee specializzate e siti on line.
 
Il maggior numero di fumetti lo troviamo in Libano, dove vive uno degli autori più conosciuti, Mazen Kerbaj, «artista a tutto tondo: musicista, suona la tromba e produce musica contemporanea conosciuta a livello internazionale, e in alcune sue performance disegna durante i concerti e proietta i disegni sulla parete».
E c’è anche una donna che si dedica al fumetto, è Nadia Khiari, insegnante di arte a Tunisia, il cui gatto antropomorfo debutta su facebook nel 2010: parla francese, gesticola con le zampe anteriori, commenta i fatti del giorno e diventa un personaggio familiare.
Anche la street art trova ospitalità nei Paesi arabi: si comincia con semplici scritte sui muri e si arriva poi a stilemi internazionali «che instaurano un dialogo con culture, lingue e tradizioni artistiche locali».
 
I risultati più interessanti si colgono in Tunisia e in Egitto, ma in Palestina e in Libano esisteva già la scrittura sui muri a scopi politici.
Si disegnavano bandiere, slogan, testi religiosi eccetera, erano muri che indicavano guerra, sopraffazione, separazione.
Oggi sono testimonianze contro l’oblio, spesso sui muri spiccano i volti dei martiri; al Cairo c’è «una strada che viene progressivamente consacrata a tutto il periodo 2011-2013».
Ma ciò che ha meglio accompagnato ogni cambiamento politico e culturale nel mondo arabo è la poesia, che è l’espressione letteraria più popolare.
Un giovane venditore ambulante tunisino a cui la polizia ha sequestrato carretto e merce, prima di darsi fuoco ha scritto parole di straordinaria intensità poetica: Me ne vado, mamma, perdonami… mi sono smarrito su questa strada che non mi appartiene più. Perdonami, madre…, incolpa quest’epoca crudele, non me. Me ne vado, e il viaggio è senza ritorno…».
 
Altra espressione di libertà creativa, è l’utilizzo dello spazio pubblico: a Tunisi dal 2007 si organizza il Dream City Festival, una sorta di Biennale d’arte pubblica di grande risonanza, che invita gli abitanti della Medina a creare una coreografia spontanea, «alla riscoperta dei luoghi e della condivisione resa possibile grazie alla fruizione artistica».
Sono protagoniste tutte le varie espressioni artistiche, dalla danza – «La danza è politica, … parla della gioventù e si ispira alla realtà del vissuto quotidiano» – alle installazioni video, dai concerti alle mostre di sculture.
Infine, il cinema, che «può ricostruire un bagaglio immediato di visioni, immaginari e immagini… e contribuire alla narrazione degli eventi: incidere cioè la Storia con la luce, ma anche generare tracce di memoria culturale» e può contribuire a far conoscere mondi in continua evoluzione, uscendo dal confinamento in cui è stato per anni relegato.

Comito e Moresi hanno squadernato sotto i nostri occhi Paesi più o meno lontani e diversi dal nostro, dimostrando che la spinta verso la libertà può essere lievito di evoluzione e maturazione dei popoli.

Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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