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La «mia» Via de la Plata (4ª puntata) – Di Elena Casagrande

Dopo la notte «movimentata» a Calzadilla ci perdiamo, ma incontriamo un pastore che ci indica il cammino: Zafra, Villafranca de los Barros, Mérida, Cáceres

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Pista de vuelo.
(Puntate precedenti)
 
Il mattino seguente, dopo la notte movimentata di Calzadilla de los Barros, parto con Carlos e Luigina, dato che Enrico vuole aspettare che apra il Comune, per informare il sindaco (el alcalde) di quanto successo
all’albergo. Il cammino sembra proseguire placidamente tra i campi ed io comincio a chiacchierare in spagnolo più fluentemente, visto che sono obbligata, camminando con Carlos a fianco.
 

Zafra - Candelaria.
 
 Quella pietra con la freccia gialla rimossa da qualche incosciente  
Tutto sembra proseguire bene, finché, incredibilmente, ci perdiamo. Non ci sono più frecce gialle e non abbiamo alcun riferimento.
Per fortuna o grazie alla Provvidenza (che ho imparato a sollecitare, proprio in momenti come questi) incontriamo un pastore, che ci indica il cammino: «Por aqui vais mal» (per di qua sbagliate), ci dice.
«Dovete proseguire di là, molti si perdono, perché qualche incosciente ha tolto una pietra, con la freccia gialla dipinta per voi pellegrini. Io l’avevo vista, quella pietra. Ma vi dico io dove andare, non preoccupatevi».
Così ritroviamo il cammino e arriviamo a Puebla de Sancho Pérez. Enrico ci raggiunge qui.
 

Mojón - Cippo della Plata a Los Santos de Maimona.
 
 Zafra: l'Alcázar, la Collegiata e le donne che lavorano al tombolo  
Si riparte tutti assieme per Zafra, nota per il suo Alcázar de los Duques de Feria (oggi adibito a Parador, quindi ad hotel di lusso) le sue piazze e la Collegiata della Candelaria. Le donne, sotto i portici, lavorano al tombolo e sono felici di mostrami i loro pizzi.
Dopo aver lasciato Zafra, passando davanti alla torre di San Francisco, una salitella dapprima leggera, poi più marcata, ci conduce in un piccolo bosco mediterraneo, dove, dall’alto, vediamo il paese di Los Santos de Maimona. Dopo un riposino all’ombra del portale della Chiesa, al bar, mi sparo un bel café con hielo (un caffè con ghiaccio), mentre Luigina un bel caffè corretto!
«Ma come fai, con queste temperature», – le domando e se lo domandano pure gli avventori del bar, quando ci vedono ripartire.
 

Riposo a Los Santos.
 
 Distese di vigneti e oliveti alla periferia di Villafranca de los Barros  
«Questa è l’ora della siesta… non è l’ora di camminare! – Ci gridano. – Parole sacrosante: ma Enry e Luigina hanno predisposto un calendario per essere a Salamanca a Ferragosto e, di lì, rientrare in Italia, per cui bisogna fare chilometri e non c’è tempo.
«Si cammina tra i campi, sino a raggiungere gli oliveti ed i vigneti della periferia di Villafranca de los Barros. Non finiscono più… ed il paese non si vede mai! L’Almazara (il frantoio, ristrutturato come albergue de peregrinos nel bel mezzo di un oliveto a 7 km dal paese), dove vogliamo dormire, purtroppo è chiuso.
 

Villafranca de los Barros.
 
 Un piatto di prosciutto, patatine e poi tutti a letto a Casa Perin  
Arriviamo in paese molto tardi…dopo una pausa su un vecchio tronco che Enrico ci sistema a mo’ di panchina. Sono le 10 di sera ed i chilometri macinati sono quasi 40.
Quello che il bar della piazza ci può offrire è solo un piatto di prosciutto con delle patatine in sacchetto, ma - almeno - abbiamo una bella stanza, a Casa Perin.
Facciamo il bucato delle nostre magliette e pantaloncini, anche se è molto tardi «tanto si asciugano, con il caldo che fa».
L’indomani si parte all’alba per Torremejía dopo aver dormito davvero poche ore.
 

Villafranca.
 
 Che meraviglia il portale contornato da conchiglie giacobee a Torremejía  
Arriviamo a Torremejía nel primo pomeriggio. Letto un numero di telefono sul portone dell’albergue, me lo faccio aprire.
È il vecchio palazzo nobiliare dei Lastra e dei Mexía. Ha un meraviglioso portale contornato da conchiglie giacobee di pietra ed ha vestigia romane inglobate nei muri.
È stato restaurato dalla Giunta di Extremadura nel 2003: fuori è quattrocentesco, dentro è moderno e funzionale. Io comincio a stare meglio e tutti ci riposiamo un po’.
Ceniamo in un ristorantino sulla vecchia nazionale. Io prendo un gazpacho, ma Enrico mi dà il suo riso.
 Mi dice, in dialetto trentino: «Magna questo che el te suga» (mangia questo che ti asciuga). L’indomani, camminando al buio sotto un cielo pieno di stelle, dopo esser stati presi in giro da un gruppo di ragazzi che sta ascoltando musica in un parcheggio adibito a discoteca «fai da te», in 15 km arriviamo a Mérida.
 

Torremejía - Palazzo Lastra.
 
 A Mérida, sotto il monumento alla Lupa di Roma, riabbraccio Paolo  
Sotto il monumento alla Lupa di Roma finalmente riabbraccio Paolo.
Lo ringrazio di quanto fatto per me a Calzadilla. D’ora in poi marcerà con noi.
Sono 300 chilometri che mi sogno una colazione dolce e non salata (ovverosia senza jamón - prosciutto - e senza migas del pastor - pane fritto nell’aglio).
Luigina vuole del prosciutto. Enrico la rassicura: «Mérida è una città, in pasticceria ci sarà modo di mangiare anche salato».
Io mi gusto una fantastica napolitana al cioccolato e una spremuta d’arancia e mi sembra di tornare a vivere.
Poi visitiamo la città: il teatro di Diana, il foro, i pavimenti musivi delle ville romane scoperte in città, ma niente museo e niente teatro ed anfiteatro romani (che, peraltro, avrei visitato in altre occasioni, più e più volte, lo meritano!).
La città convive con l’antica Roma. Ma noi dobbiamo ripartire per Aljucén.
 

Mérida  - Il ponte su Guadiana.
 
 Alla diga romana di Proserpina Paolo si prende un'insolazione: sta male  
Alla diga romana di Proserpina facciamo una pausa. Lì Paolo decide di prendere il sole.  Noi lo sconsigliamo, ma lui niente. Bene. Si arriva ad Aljucén - dopo aver visitato la chiesetta di El Carrascalejo che una vecchietta ci apre - e Paolo comincia a stare male: ha preso un’insolazione.
Non cena con noi al bar del paese dove la proprietaria, non prima di essersi lamentata per l’assenza di un «pellegrino», ci prepara insalata di pomodori e l’immancabile «francesa» (la frittata).
Le dico un po’ alterata: «Il pellegrino che non c’è sta male… mangeremo noi anche la sua razione».
Non dormo per vegliare Paolo.
Ad un certo punto, nel pieno della notte, comincia a tremare e a dire che ha freddo.  Gli mettiamo addosso tutto quello che abbiamo, compresi pile ed asciugamani tecnici. Poi si riaddormenta.
Quando si sveglia pare sia sfebbrato. Non c’ è tregua: si deve proseguire.
 

Mérida - Il teatro romano.
 
 Dopo aver attraversato delle bellissime sugherete arriviamo ad Alcuéscar  
Tutto è chiuso, in paese, alla partenza. Per fortuna, prima di entrare nel parco del Cornalvo, c’è un distributore di benzina, dove comperiamo dei biscotti per la colazione. Camminando con tranquillità, attraversando delle bellissime sugherete coi tronchi arancioni (segno di una recente scortecciatura), arriviamo ad Alcuéscar, dove dormiamo dai padri Schiavi di Maria e dei Poveri, alla Casa della Misericordia.
Ci danno una celletta ciascuno. Qui trovo Eric (che si fa chiamare Pepe), un avvocato, parigino, che qui fa il volontario per accogliere i pellegrini: mi porta lo zaino in camera perché insiste, anche se io vorrei arrangiarmi.
Un frate mi dice che, con queste temperature, per stare bene, devo bere almeno una coca cola o un’acquarius al giorno ed evitare l’acqua non imbottigliata.
 

Mérida - Il foro romano.
 
 Ceniamo con il frate alla Casa della Misericordia, poi tutti a nanna  
Si cena tutti assieme con Eric ed il frate, dopo la Messa: alette di pollo e patate al forno. Poi tutti a nanna.
Apro la finestra della mia celletta e respiro i profumi del cisto mediterraneo e della vegetazione che circonda il convento. Il cielo è color inchiostro, con tante lucine.
Dormo divinamente bene. Il mattino seguente mi sveglia un parlottare frenetico, proveniente dal corridoio. Vado a vedere cosa sta succedendo: Luigina ha il ginocchio gonfio, non riesce a mettere giù la gamba e, perciò, si fermerà qui qualche giorno, per poi raggiungerci in bus, più avanti.
 

Mérida  - L'acquedotto romano.
 
 Ripartiamo destinazione Cáceres, la splendida città medievale delle cicogne  
Noi si deve ripartire: destinazione Cáceres. Dopo aver attraversato i paesini di Casas de Don Antonio, Aldea
del Cano (di striscio) e Valdesalor (dove prendiamo un refresco in piscina), dopo aver ammirato i mitici miliari romani della Via de la Plata e dopo esserci persi nell’aeródromo (aeroclub) de la Cervera - che il
cammino ti fa attraversare comunque, non tenendo conto dei cartelli di divieto interni - arriviamo nella mitica cittadina medievale, piena di cicogne, che va vista, almeno una volta nella vita.
 

El Carrascalejo.
 
 Dormiano in un hostal della mitica Plaza Mayor e visitiamo la città  
L’atmosfera è davvero magica. Si dorme in un hostal (pensione) nella mitica Plaza Mayor e c’è tempo per visitare tutte le chiese (in primis quella di Santiago, col suo peregrinillo - il piccolo pellegrino) e tutti i palazzi più belli di questo centro storico, patrimonio Unesco.
Enrico preferisce andare a dormire in un convento lì vicino ed i padri gli fanno leggere le letture alla S. Messa.
È soddisfatto. Dopo la doccia, che mi fa sentire leggera, facciamo un giro alla Torre del Bujaco, all’Arco de la Estrella ed al Palazzo del Sol.
Poi proseguiamo con la Casa de Ovando ed il Palazzo de los Golfines de Abajo.
È tutto un rincorrersi di pietre color giallo-oro sullo sfondo blu del cielo, nitido ed abbagliante.
 

Parco del Cornalvo.
 
 In chiesa tocco il «bordòn» della statua di San Giacomo che cade a terra  
Finalmente arriviamo alla Concattedrale di Santa Maria. Lì c’è una statua di San Giacomo. Mi viene in mente di toccargli il bastone, perché sono certa che, così, mi darà la forza per continuare: io, in quel momento, ne ho bisogno.
Ecco che sfioro il bastone, chiedendo a Santiago quanto necessario per proseguire... ma ecco che subito il «bordón» (bastone) cade a terra, facendo un rumore pazzesco e cominciando a rotolare per tutta la navata laterale, senza alcuna intenzione di fermarsi!
Per fortuna c’è poca gente e nessuno mi dice nulla. Cerco di rimetterlo a posto, ma è difficile, perché la mano del Santo è molto in alto. Ce la faccio a fatica, stirando la schiena.
 

Segnale della via.
 
 I ricordi della Settimana Santa con i «Nazarenos» che portano le statue  
Proseguiamo la visita a Càceres. Andiamo alla Chiesa di San Francisco Javier (che è insolitamente intonacata di bianco) ed attraversiamo le piazzette del casco (centro).
In quella di San Juan c’è una statua a ricordo della Settimana Santa, con due incappucciati.
Sono «los nazarenos, cofrades» (i nazareni, confratelli) che accompagnano i passi con le statue della Vergine o del Cristo nelle processioni pasquali: un segno di devozione e ringraziamento verso Dio che si cementa nell’Hermandad (confraternita) di appartenenza, che dura per tutta la via e che si tramanda di generazione in generazione.
 

Caceres - Chiesa di Santiago e Peregrinillo.
 
 Ritroviamo Carlos che in autobus si era recato a Trujillo, la città di Pizarro  
Alla fine del giretto incontriamo anche Carlos, che è andato a visitare Trujillo in autobus (la città natale del conquistador Pizarro) e che sta cercando un ristorante con la tv per vedere la partita di calcio della sua squadra, il Valencia.
Ceniamo assieme in Plaza Mayor.
Il menù, in uno stentato italiano, propone «mammelle di gallina». Vado sullo spagnolo. Ah, ok!
Pechuga de pollo (petto di pollo) e sia… C’è una bella atmosfera, si ride e si scherza. I momenti duri sembrano (ripeto: sembrano), finalmente, passati.

Elena Casagrande
(La quinta puntata de «La Via de la Plata» sarà pubblicata mercoledì 27 aprile)

Caceres - Monumento ai Nazareni.

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Stefano 20/04/2022
Cara, Elena, molto bello leggere i tuoi racconti del cammino.
Ma ti ricordo una cosa che ti ho sempre detto “no sta toccar che se fa danni”
Un beso.
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