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Storie di donne, letteratura di genere/ 481 – Di Luciana Grillo

Alessandra Necci, «La regina e l’imperatrice – Maria Antonietta e Maria Teresa. Due destini tra l’assolutismo e il dramma della Rivoluzione» – Libro magnifico

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Titolo: La regina e l'imperatrice. Maria Antonietta e Maria
            Teresa. Due destini tra l'assolutismo la Rivoluzione

 
Autrice: Alessandra Necci
Editore: Marsilio, 2022
 
Pagine: 528, Brossura
Prezzo di copertina: € 22
 
Di Maria Teresa e di Maria Antonietta si è scritto e detto tanto; della prima si ricordano di solito l’istituzione dell’istruzione obbligatoria nell’Impero e il gran numero di gravidanze, della seconda una frase infelice, forse mai pronunciata: «Se non c’è il pane, date al popolo che manifesta delle brioches!»
Alessandra Necci ce le presenta prima immaginando una loro testimonianza diretta, un racconto dei loro giorni, dei loro impegni, delle loro gioie e dei loro dolori; successivamente, lascia parlare la Storia, dopo una consultazione attenta di documenti e testimonianze.
 
Le due biografie sono parallele: la madre, arrivata impreparata al potere, sente forte il dovere di imparare, di studiare, di formarsi; la figlia, mandata in sposa giovanissima a Parigi, incline più al divertimento che allo studio, cresce abbandonata a se stessa, usata da amici e nemici, trascurata per i primi anni del matrimonio da uno sposo immaturo e impotente.
Per la madre fu naturale combinare matrimoni per esigenze dinastiche, non a caso l’impero aveva come motto: «Bella gerunt alii, tu felix Austria nube», (le guerre toccano agli altri, tu - Austria felice - prepara i matrimoni).
E a quei tempi, importava poco che il matrimonio fosse felice e che gli sposi fossero innamorati!
 
Ma torniamo a Maria Teresa, diventata imperatrice «a ventitré anni, senza avere alcuna contezza – o molto scarsa – dei miei paesi, del mio esercito, persino dei miei ministri…».
Il padre, infatti, «aveva posto le condizioni affinché divenissi la sua erede, ma si era guardato dal prepararmi al compito che mi aspettava… Ora continuo a insistere – quasi sempre invano – con i miei figli, in particolare con Maria Antonietta regina di Francia, perché si tappezzino la testa di buone letture».
In realtà, Maria Antonietta, proprio come sua madre, era assolutamente impreparata ai compiti che l’attendevano.
 
Maria Teresa, però, era diversa da sua figlia, era attenta e «fedele agli affetti, agli amici, ai servitori… io so riconoscere merito, lealtà e devozione e intendo premiarli».
Ha amato intensamente suo marito, ma «il potere l’ho esercitato da sola. Ho imparato che necessita appunto di solitudine, ferrea disciplina, dominio di sé e delle passioni, capacità di assumersi le proprie responsabilità».
Maria Antonietta forse solo negli ultimi anni della sua vita si rese conto di tutto questo.
 
Maria Teresa, Mater Austriae e Landesmutter, ha considerato doni preziosi l’amore, la passione fisica, i figli, la vita familiare e non ha mai espresso il rimpianto di non essere un uomo… noi donne «portiamo una creatura in grembo, partoriamo, diamo la vita. Abbiamo un potere, una forza agli uomini sconosciuta».
Per Maria Antonietta il rapporto coniugale è atteso per anni, poi sono arrivati i figli, che anche lei ha amato e vezzeggiato, chiamandoli con affettuosi nomignoli.
Maria Teresa è stata severa contro chi abusava della libertà di stampa, Maria Antonietta è stata vittima di scribacchini che diffondevano opuscoli offensivi e diffamatori.
 
Per l’imperatrice, la morte del marito è stato un dramma, un dolore profondo: «sono divenuta una sopravvissuta. A me stessa, a lui… Il dolore, la depressione mi hanno afferrato con le loro mani adunche… Pregare è stata quasi l’unica cosa che ho fatto. Oltre, naturalmente, a lavorare».
Il senso del dovere verso i sudditi non l’ha mai abbandonata.
Maria Antonietta non ha creato un legame con i sudditi, ha gioito quando veniva acclamata, si è disperata quando il popolo inferocito urlava conto di lei.
 
Maria Teresa, vissuta nel secolo detto «delle donne», avvicinata a Elisabetta di Russia, a Madame Pompadour, a Caterina I e a Caterina II di Russia, è stata una saggia riformatrice, ma non una coraggiosa innovatrice, spesso ha sostenuto che, in caso di guerra, «a volte è meglio una pace mediocre che una guerra vittoriosa» e si è sempre battuta «per la salvaguardia della nostra santa religione».
Era impulsiva – e lo ha riconosciuto anche la nuora Isabella – ma era anche «un’anima buona… la sua esitazione offre l’opportunità di imporsi a individui che ella crede saggi, e che invece sono solo egoisti».
 
I suoi ultimi anni la videro invecchiare velocemente, ingrassare tanto da non poter più camminare, da essere calata, nella Cripta dei Cappuccini, quando andava a pregare sulla tomba del suo sposo, «con un marchingegno, seduta su una specie di portantina».
Non aveva paura di morire, «anzi aspetto la fine come una liberazione. Mi ricongiungerò al mio sposo, nella luce divina… sono preoccupata, tuttavia, per le mie creature. Foschi presagi mi attraversano lo spirito… mi turba, in particolare, il destino di Maria Antonietta. Sono certa che sarà del tutto grandioso, o del tutto sventurato. E non posso fare più nulla».
 
Maria Antonietta trascorre i suoi ultimi tempi alla Conciergerie, «murata in una specie di tomba, senza notizie dall’esterno».
Sa che i sudditi la chiamano Madame Deficit, o la Lupa austriaca, e le rovesciano addosso fiumi di fango… Solo quando tutto è perduto la regina sente che deve esprimere forza e coraggio, che deve distinguere le persone fedeli da quelle infide.
E, comunque, continua a sperare che almeno i suoi figli possano avere una vita serena.
Nel buio della prigione, ricorda con tenerezza suo padre, «con lui potevo giocare, comportarmi da bambina: assai più presente di mia madre, era sempre disponibile, mi faceva sentire amata e protetta» e la sorella Carolina, quella a cui era più legata, andata sposa a Napoli.
 
Analizza il suo percorso, la sua vita spensierata da giovane regina e il presente amaro e desolato: «troppo profondo è stato il divario fra prima e dopo, fra carattere e destino, premesse e conclusioni; irreparabile la scivolata dal vertice agli abissi».
Soltanto sua madre volle darle consigli saggi, ma lei scelse la strada più facile, «credevo che essere regina significasse fare ciò che si vuole».
Cominciò ad apprezzare suo marito, buono, dignitoso, sincero, troppo tardi, «a lungo mi ero ritenuta più intelligente, più capace di lui», di quel re inesperto e fiducioso che, abbracciando i suoi figli per l’ultima volta, li esortò a perdonare i suoi carnefici e che andò verso la morte senza «dirci addio, per non farci troppo male». Era il 21 gennaio 1793.
 
Zweig le ha dedicato una biografia e riconosce che «Maria Antonietta, regina di Francia, senza le prove della sorte, mai avrebbe appreso e saputo la sua vera grandezza…il destino non ha altra sferza che la sventura».
Infatti Maria Antonietta, negli ultimi tempi del regno, diventa il fulcro della resistenza della corona, combatte come una leonessa per proteggere i figli e riguadagnare la fiducia dei sudditi…
È solo allora che apprende l’arte della calma, della riflessione, della pazienza.
Maria Antonietta, graziosa e frivola, un po’ ignorante, ma testarda e orgogliosa, è in sostanza un miscuglio di contraddizioni, ora dolce, ora superba, ora spontanea, ora impaziente, circondata da persone inadatte e nello stesso tempo sola, vivace e irrequieta, «enfant gatée, bambina viziata».
 
Tra i suoi piaceri, a un certo punto, fa capolino il gioco d’azzardo che «richiama cattive compagnie e mette in testa cattivi propositi».
Né il re, né altri riescono a fermarla, e intanto la regina perde somme di denaro sempre più alte, mentre a corte si tramano inganni e si affaccia Cagliostro.
Quanto è stato diverso il destino di queste donne, madre e figlia, imperatrice e regina!
Forse ha scritto bene, qualche tempo dopo, l’arciduchessa Leopoldina alla sorella Maria Luisa, data in moglie a Napoleone: «Povere principesse, noi somigliamo a dadi che si gettano e per i quali la felicità o la disgrazia dipende dal colpo che è stato giocato».
 
Maria Antonietta sarà poi riabilitata: l’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, le dedicò una mostra all’esposizione di Parigi del 1867, Ludwig II di Baviera la considerò una santa vittima, la zarina Alessandra di Russia sistemò un suo ritratto sul tavolo e appese in bella vista un arazzo che rappresentava la regina di Francia con i suoi bambini.
 
Questo magnifico libro si chiude con una frase di Eliot, che l’autrice immagina di attribuire a Maria Antonietta, finalmente capita e riabilitata: «Nella fine è il mio principio».
In appendice, alberi genealogici e una ricca bibliografia.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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