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Storie di donne, letteratura di genere/ 516 – Di Luciana Grillo

Margarita Drago, «Frammenti della memoria. La mia vita in due battaglie» – Pagine dense di dolore e di amore, ma tese alla conquista di una piena e giusta libertà

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Titolo: Frammenti della memoria.
            La mia vita in due battaglie Condividi

Autrice: Margarita Drago
Curatrice: Rosa Maria Grillo
Traduttrice: Rita Tartaglione
Editore: Officine Pindariche, 2023
Pagine: 280, Brossura
Prezzo di copertina: € 15
 
Altre volte ho letto e recensito storie di violenza, di desaparecidos, di vuelos de la muerte, ma «Frammenti della memoria» è un testo che, forse anche perché tradotto in un italiano impeccabile, ancora più degli altri, colpisce, addolora, sorprende chi legge.
È una vicenda dolorosa raccontata dalla stessa vittima, con lucidità e coraggio, di cui parlano sia la curatrice Rosa Maria Grillo nell’introduzione, citando direttamente Margarita Drago: «Scrivo per guarire me stessa, per trasformare la rabbia, l’impotenza e il dolore accumulati per anni.
«Scrivo anche perché sono ispirata da un profondo e sincero desiderio di rendere omaggio alle donne con cui ho condiviso il sogno di costruire un’Argentina libera, indipendente e giusta», sia Minerva Salado, giornalista e scrittrice cubana residente in Messico, nella Nota di presentazione che si conclude così: È bello sapere, Margarita, che le circostanze non hanno ucciso la tua vocazione di attivista per la giustizia sociale e i diritti delle donne. Che il tuo talento di scrittrice non ha ceduto. E tanto meno ha annientato la tua capacità di amare.»
 
La stessa Drago, nella nota introduttiva a questa edizione che completa «Fragmentos de la memoria. Recuerdos de una experencia carcelaria» (1975-1980) pubblicato a New York nel 2007, confessa: «Scrivere il primo Fragmentos… è stato un processo lungo e doloroso. Più intenso, doloroso e prolungato è stato raccontare la storia dell’amore nato nel carcere e le battaglie intime combattute nella prigione e fuori, con il peso di colpe, paure, giudizi e autocondanna.
«Più di 40 anni si è mantenuta questa memoria annidata nel mio inconscio. Più di 40 anni sono stati necessari per elaborarla e farla rivivere oggi nel testo, l’unica cosa capace di contenerla.»
 
Fluiscono i ricordi, Margarita racconta che qualche tempo prima dell’arresto già «i miei capelli cadevano a ciocche e la gastrite mi stava consumando le pareti dello stomaco… Mi sentivo in trappola e non potevo condividere con nessuno l’angoscia che la paura mi procurava… quando qualche passante camminava veloce per le strade e le auto civetta, le Ford Falcon verdi, si appostavano agli incroci, iniziavo a sentire la paura… Era il momento in cui calava la sera… Non potevo difendermi dalla paura… Non potevo tornare indietro… o sceglievo la strada della lotta o quella della rinuncia».
In famiglia, i suoi genitori – operaio il padre, casalinga la madre – apprezzavano l’operato di Peròn, senza fanatismo, ma poi diventarono critici, pensando che fosse circondato da «scagnozzi… che non gli permettevano di attuare il suo programma di aiuti sociali».
 
Margarita, bambina o poco più, subiva il fascino di Evita e pianse alla sua morte. Le suore dell’Immacolata Concezione, alla cui scuola era stata iscritta, pur con notevole sacrificio economico, «ci obbligavano a iniziare e terminare le lezioni con le preghiere… quello che non mi piaceva delle suore era il loro atteggiamento discriminatorio, sempre a favore di chi aveva i soldi».
Margarita confessa: «Scrivo per guarire me stessa, per trasformare la rabbia, l’impotenza e il dolore accumulati per anni. Scrivo anche perché sono ispirata da un profondo e sincero desiderio di rendere omaggio alle donne con cui ho condiviso il sogno di costruire un’Argentina libera, indipendente e giusta…».
 
E descrive le prigioni, la prima è la «Alcadìa», una prigione di transito che ospitava detenute politiche e altre che si erano macchiate di reati comuni, o prostitute. «Fummo vittime e testimoni di interrogatori, stupri, torture e trasferimenti di compagne nelle carceri clandestine… undici mesi in quel padiglione. Mesi di orrore, di paura e di amore intenso. In quel periodo non abbiamo mai visto la luce del sole... Come sospese nel tempo, vivevamo un incubo di terrore…».
La seconda prigione è a Buenos Aires, Villa Devoto, dove si potevano ricevere le visite dei parenti, e per una volta finalmente Margarita poté rivedere suo padre e abbracciarlo.
 
La nostalgia era sempre in agguato, «le scene della mia giovinezza si susseguivano una dopo l’altra nella mia mente, mescolando volti, luoghi e tempi come in un film muto… Man mano che il ricordo diventava più vivido e l’esperienza più piacevole, sentivo un desiderio folle di essere libera».
Nello spazio dedicato alle compagne, Margarita ricorda Rosa dagli occhi enormi e dilatati, Elvira, Rosalba, Marìa Julia, Doris che cantava nel silenzio della notte, Laura – madre di Plaza de Majo – che aveva perduto tutti i suoi cari e che per Margarita era soprattutto la mamma di Aìda, fucilata da guardie ubriache, capace di denunciare i colpevoli di tante morti facendo nomi e cognomi.
 
Dopo tanti anni, nel 2007, Margarita ritorna all’Alcadìa: «Devo togliermi il carcere dalla pelle, da tutto il corpo… Quando mi voltai per vedere cosa mi stavo lasciando alle spalle, una voce risuonò dal profondo: In questo luogo maledetto ho amato, ho amato intensamente e per la prima volta una donna». Ricorda Mariana, i suoi sensi di colpa, il disorientamento rispetto a ciò che aveva imparato «a casa, in Chiesa, nella scuola delle suore e, più tardi, nel Partito e in carcere… Senza volerlo, (Mariana) ha lentamente riempito il vuoto lasciato da tante perdite… Il dibattito interiore aveva a che fare con la morale rivoluzionaria, che vedeva nell’omosessualità una debolezza ideologica, un comportamento malsano e innaturale che metteva in pericolo la sicurezza del Partito, delle organizzazioni e di tutte le prigioniere politiche».

Il testo si chiude con le riflessioni di Drago sulle sue scelte, sulla sua diversità, e si riconosce «nel queer che agglutina e ingloba il diverso, il difforme».
280 pagine dense di dolore e di violenza, di amore e di politica, sempre tese alla conquista di una piena e giusta libertà.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)


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