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Storie di donne, letteratura di genere/ 522 – Di Luciana Grillo

Annie Ernoux, «Perdersi» – Dopo una lettura che incuriosisce, coinvolge, ipnotizza, anche chi legge e non è uno scrittore o una scrittrice riprende a vivere

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Titolo: Perdersi. Edizione integrale
Autrice: Annie Ernaux
 
Traduttore: Lorenzo Flabbi
Editore: L'orma, 2023
 
Pagine: 252, Brossura
Prezzo di copertina: € 21
 
Annie Ernoux, premio Nobel per la Letteratura nel 2022, in genere racconta di sé con semplicità, mettendo a nudo pensieri, passioni, debolezze, amori, infelicità e tanto altro quasi senza filtri.
Perdersi è più di un romanzo, è una sorta di diario in cui i giorni sono indicati con precisione, per seguire e far seguire da chi legge la storia di una passione che la travolge, le regala momenti esaltanti e lunghe ore di attesa, di angoscia, di paura che tutto possa finire improvvisamente.
 
È il 1988, Annie va in Unione Sovietica con altri autori, tutti accompagnati da un diplomatico russo: visitano Mosca, Tbilisi e Leningrado, tutto sembra scorrere quietamente, anche se il periodo storico che si viveva era scosso da inquietudini che solo un anno dopo avrebbero portato alla caduta del muro di Berlino.
Durante l’ultima sera, fra Annie e l’accompagnatore scoppiò una passione che si trascinò per un intero anno, fra incontri clandestini e appuntamenti ufficiali.
Fin dall’inizio, l’autrice non si pone alcun problema, si lascia andare «senza nessuna prudenza da parte mia, nessun pudore, e anche, finalmente, nessun dubbio…nient’altro che bellezza, passione, desiderio».
 
Lui, che ha trentasei anni ma ne dimostra meno, parla poco, non racconta di sé, beve vodka, le telefona per darle un appuntamento… e lei, che ha qualche anno di più ma è una scrittrice famosa e sa che lui ha una moglie, aspetta il suo richiamo: «Quante volte ho aspettato, mi sono preparata, bella, accogliente, e poi nulla, ciò che speravo non è accaduto… Questa attesa di una telefonata. E poi la sua impenetrabilità totale: che cosa lo tiene legato a me?».
 
Non sempre lei condivide il suo modo di pensare «sovietico», il suo condannare la libertà sessuale, la morale dissoluta dei georgiani, il suo apprezzare i beni di lusso, il suo esibire abiti firmati, «la camicia di Yves Saint Laurent, la cravatta Cerruti, i pantaloni Ted Lapidus».
Eppure evita di contrariarlo, dice «solo quello che sarà di suo gradimento… L’obbligo della verità può esserci solo nella scrittura, non nella vita… Non so niente di lui, quel mondo russo mi resterà sempre estraneo, il mondo della diplomazia, dell’apparato di partito».
 
Lei teme che lui possa avere un’altra donna, forse più giovane. I giorni si susseguono, lei ripensa ad altri amori, a un aborto lontano e ancora doloroso, e intanto attende che lui si faccia vivo, «sono sull’orlo delle lacrime, della nausea», piange e sogna l’ex marito, rivede i suoi anni di bulimia, compra per lui regali costosi, si dispera, «sono come Anna Karenina».
Il 1° gennaio 1989 è sola, come non le capitava da tanti anni, e lui la chiama solo il 5 gennaio e le annuncia il suo arrivo. Poi, ancora giorni, impegni di lavoro per lei che è una persona nota, viene invitata a tenete conferenze, deve andare a Londra, potrebbe partecipare a un cocktail, ma «non andrò, potrebbe telefonare lui mentre sono fuori…».
 
Attende e sogna, immagina che suo figlio muoia, rivive tanto dolore e intanto «è più di una settimana che non ci vediamo. Il mio unico futuro è la data del nostro prossimo incontro. E poiché non è fissata, assenza assoluta di futuro».
Così passano giorni, settimane e mesi, attesa continua, angosciosa. Non la distraggono il pensiero dei figli, né i viaggi e gli appuntamenti di lavoro o gli incontri mondani, andrebbe però all’ambasciata russa per il ricevimento di Gorbacev, ma lui non la invita.
E quando va a trovarla, sempre senza sigarette, le chiede se può portare via un intero pacchetto, «gigolò fino alla fine».
 
Quando non va, lei pensa di aver sbagliato a fargli regali importanti, «oppure non viene perché si vergogna del nostro modo torrido di fare l’amore… oppure gli si è rotta la macchina… o ancora…», oppure ha incontrato un’altra donna. Poi, arriva il momento della sua partenza da Parigi: «Tornerò». «Sarò vecchia». «Non sarai mai vecchia per me». «Mi sforzerò di non invecchiare».
È novembre, cade il muro di Berlino, «la Storia si fa di nuovo imprevedibile… Sensazione di un caos in arrivo…».
 
Lui se n’è andato, lei sogna in modo compulsivo la madre in ospedale, un gatto nero, una classe di studenti che dichiarano superato il passato prossimo, il padre molto giovane, un viaggio in Turchia, un altro a Madrid, con lui a Mosca.
Conta quanti giorni sono passati dalla loro ultima volta, «ma non c’è più nulla da aspettare, tenere il conto non ha senso».
Il tempo passa, finalmente lunedì 9 aprile lei si sveglia «con un’inspiegabile sensazione di felicità. Malgrado tutto, il fatto che si tratti di una felicità senza motivo mi fa uscire dall’incanto, ma giusto un po’. Dovrei comunque decidermi una buona volta a scrivere di questo invece che di quello, a smettere di esitare… Io non sono una scrittrice, io scrivo, poi vivo».

E anche chi legge e non è uno scrittore o una scrittrice riprende a vivere, dopo una lettura che incuriosisce, coinvolge, ipnotizza.

Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
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