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Storie di donne, letteratura di genere/ 62 – Di Luciana Grillo

Jennifer Weiner, «Letto a tre piazze» – Ben diverso da quello che può far pensare il titolo: niente situazioni scabrose, né… «sfumature di vari colori»

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Titolo: Letto a tre piazze
Autrice: Weiner Jennifer
 
Traduttrice: Roberta Corradin
Editore: Piemme 2009 (collana Bestseller)
 
Pagine: 475 brossura con alette
Prezzo di copertina: € 11

Il titolo di questo romanzo può trarre in inganno, quello originale è «Little Earthquakes» (Piccoli terremoti), ben diverso dall’ammiccante Letto a tre piazze che può far pensare a situazioni scabrose, o a «sfumature di vari colori»…
In queste pagine l’autrice, che ha studiato all’Università di Princeton e ha avuto come colleghe scrittrici importanti quali Toni Morrison e Joyce Carol Oates, prendendo spunto dall’esperienza personale e da quella delle sue amiche, racconta la storia di quattro giovani donne, assai diverse fra loro per provenienza sociale, cultura, formazione, aspetto fisico. Sono Kelly, Becky e Ayinde, tutte impegnate nel lavoro, sposate e prossime a diventare mamme; la quarta è Lia, anche lei giovane, ma già provata da un immenso dolore.
Le prime tre casualmente diventano amiche affrontando l’esperienza della maternità, Lia si unisce al gruppetto e ne diventa parte integrante.
 
Kelly è un’organizzatrice di eventi, «l’auricolare collegato al telefono, il volto illuminato dalla luce del portatile, il computer palmare e l’agenda pronti a portata di mano… non si era mai sentita così efficiente, così felice come si sentiva in quell’istante, con una mano posata sul pancione»…
Becky è la proprietaria di un ristorante alla moda, ma da sempre non accetta il suo essere sovrappeso: «Obesa… Avrebbe voluto morire. Aveva chiuso gli occhi forte forte; l’orgoglio e l’entusiasmo di essere incinta erano crollati in un momento, subito rimpiazzati dalla vergogna»…
Ayinde è la giovane sposa di un campione del basket. Chi la incontra, spera di avere una foto e l’autografo del marito; lei riesce a vederlo spesso solo in tv e, al momento del parto, è sola, teme di dover partorire «sotto gli occhi del cuoco, della cameriera e dell’autista. Rimarrebbe sola, se non ci fossero le sue nuove amiche… era dalla seconda elementare che non aveva un’amica. Una vera amica. Per tutta la vita, si era sempre sentita fuori posto: mezza bianca, mezza nera, né una cosa né l’altra, non era mai appartenuta a un gruppo»…
 
Lia a diciotto anni era andata via di casa per fare l’attrice, aveva avuto il successo e l’amore, dopo aver tagliato definitivamente i ponti con la madre, ma la morte improvvisa e inspiegabile del suo bambino ed il terribile senso di colpa che la opprime la costringono ad abbandonare tutto e a rifugiarsi nei luoghi della sua giovinezza, presso quella mamma che «tornava sempre a casa alla stessa ora e che, dopo undici anni di silenzio, mi guardò due volte, senza cambiare minimamente espressione, come se fosse una cosa normale che io passassi di lì tutte le settimane»…
L’autrice le segue, giorno per giorno, mese per mese, per un intero anno, da aprile al marzo successivo: ci presenta i loro mariti, le famiglie d’origine, le suocere, i colleghi di lavoro.
E poi i loro bambini che, aldilà di ogni facile retorica, non le lasciano dormire, le fanno preoccupare, rendono problematico il loro ritorno al lavoro e, soprattutto, modificano e qualche volta alterano il rapporto con il marito.
Il parto e i primi mesi di vita dei bambini, condivisi in amicizia, rendono le tre donne più forti, veramente amiche, pronte ad aiutarsi nei momenti difficili.
 
Le famiglie d’origine sono lontane, o comunque assenti; tra loro scatta una solidarietà prima impensabile e la capacità di parlare a cuore aperto, confessando le proprie difficoltà senza remore di alcun tipo.
Intorno a loro ruotano i mariti, uno «mammone» succube di una madre invadente, un altro troppo preso dalla sua attività (e un po’ trascurato dalla moglie), il terzo, infine, che perde il lavoro e, ciondolando per casa, non riesce a dimostrare né il desiderio di aiutare sua moglie ad allevare il figlio, né l’esigenza di trovare finalmente un lavoro in cui si senta realizzato.
In questo microcosmo, tra pappe, pannolini da cambiare, manuali «per essere buoni genitori», si inserisce la figura drammatica di Lia, attrice di successo, incapace di elaborare il suo lutto.
Solo l’amicizia delle tre neomamme, la loro affettuosa disponibilità, la comprensione e l’affetto che le dimostrano saranno capaci di dare a Lia la forza di ricominciare, riallacciando il rapporto con il marito Sam e scoprendo finalmente il vero ruolo della mamma, dalla quale si era allontanata, perché il loro rapporto era stato frainteso.
 
Il romanzo si conclude, le quattro giovani donne sono profondamente cambiate.
La vita le ha messe alla prova, le ha costrette a maturare, ad accettare qualche sconfitta, a rivedere i propri comportamenti, a non giudicare senza una seria riflessione, a comprendere gli altri, anche quelli che hanno sbagliato e ci hanno fatto soffrire.
Ma c’è anche un aspetto sociale da considerare: la società dei nostri giorni ci concede molto, ma spesso ci priva di quella rete di rapporti umani che possono rendere meno difficile la vita di tutti i giorni.
Abbiamo sempre fretta, non possiamo coltivare nuove amicizie né consolidare le vecchie; nel mondo del lavoro c’è più spesso la competizione che la comprensione; mancano le zie e le nonne di una volta, pronte a sostituirci nei momenti di emergenza; ogni nucleo familiare è un atomo a sé stante che non comunica con gli altri.
Questo romanzo ci insegna che l’amicizia vera è un bene prezioso, che va coltivato con amore.
 
Luciana Grillo
(Precedenti)

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