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Storie di donne, letteratura di genere/ 75 – Di Luciana Grillo

Mirta Yanez, Ostinata ferita – «E com’era L’Avana di allora, signori miei! Una pentola in ebollizione, un vortice, una perenne confusione…!»

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Titolo: Ostinata ferita
Autrice: Yañez Mirta
 
Rditore: Oédipus, 2014
Pagine: 168, brossura
 
Traduttore: Cirillo T.
Prezzo di copertina: € 12,50
 
«E com’era L’Avana di allora, signori miei! Una pentola in ebollizione, un vortice, una perenne confusione.
«Poteva capitare di essere in trincea in attesa che ci cadesse un missile nucleare sulla testa o di stare su uno sgabello al bar dell’Hotel Flamingo ad ascoltare Meme Solis che suonava il piano.
«Confondevamo il giorno con la notte: le lezioni, il gelato da Coppelia, la Cinemateca, il club Coctel, studiare fino all’alba, esami, riunioni politiche, concerti, Chez Bola, il Cine Club Varona, balli, biblioteca, i fagioli della Mensa Universitaria o la pizza di Vita Nova, la spiaggia di Santa Maria del Mar, le riunioni della FEU, la federazione studentesca universitaria, la piscina dell’Hotel Riviera, le letture di poesia nel “Parque de los Cabezones”, il lavoro volontario, il bar La Torre, le manifestazioni in Piazza della Rivoluzione, la ginnastica, il teatro nella saletta Tespis, i recital alla Talìa, le feste del sabato sera, i turni di guardia notturni, il lavoro con il gruppo di studio, le mostre al Museo delle Belle Arti, le esercitazioni di tiro, le assemblee di Facoltà, conferenze, riunioni, incontri, chiacchiere, su e giù per la Rampa senza fermarsi mai, ve lo ricordate?
«Di notte, soprattutto di notte, il tempo non passava. Come se il tempo non stesse per finire mai.»
 
Questa appassionata descrizione di una Avana lontana nel tempo la dobbiamo a Mirta Yanez, notissima scrittrice e poetessa cubana nata nel 1947.
Ha insegnato Letteratura latinoamericana all’Università de L’Avana, ha pubblicato un gran numero di opere di narrativa e di poesia, ha curato anche importanti antologie.
“Ostinata ferita”, pubblicato a L’Avana nel 2010, è un insieme di storie che si intrecciano e si sovrappongono: i protagonisti, più o meno coetanei, appartengono alla generazione che si affacciava alla vita negli anni ’60.
Poi, arrivarono delusioni e frustrazioni che colpirono tutti e che la Yanez ci presenta attraverso alcuni sessantenni che rivedono la loro vita e che toccano con mano il loro fallimento: c’è chi sta per morire, chi se ne va in Europa – Estela – e viene perciò in un certo senso considerata fortunata, ecc.
Il legame fra questi individui delusi e stanchi di lottare e di vivere è il ricordo di un sogno comune negli anni dorati della rivoluzione, di un entusiasmo condiviso, di avventure individuali e collettive, ma tutto ormai sbiadito e offuscato da una quotidianità difficile; quello che invece è ossessivamente presente è il ricordo di una tragedia, anch’essa  lontana nel tempo: il suicidio di una studentessa, una di loro, alle cui inquietudini nessuno dei protagonisti aveva dedicato la giusta attenzione.
 
Mentre ciascuno rivive i suoi ricordi, ritrova luoghi, colori e profumi di un tempo passato, noi penetriamo nei vicoli e nelle piazze de L’Avana, così che ci sembra di aver camminato con Martìn che, davanti alla casa della nonna incontrava «due venditori ambulanti col loro carrettino da cui traboccavano banane di ogni tipo, cespi di lattuga, arance, cipolle, mameyes, i dolcissimi manghi bizcochuelos…»; di aver conosciuto Estela che «non voleva ricordare niente» e Tristàn, Hermi, il loro amico Tomàs «portato a Ciego de Avila in un campo di lavoro circondato dal filo spinato, a tagliare per tutto il giorno la canna da zucchero sotto la sorveglianza di militari armati. La brigata di Tomàs era di un centinaio di prigionieri, quasi tutti giovani capelloni…». E così via…
A condurre il “gioco” – ma si potrebbe dire anche “a tessere la ragnatela” – è la «donna che parla da sola nel parco». Interviene con regolarità, tre o quattro righe, per descrivere, come potrebbe fare un pittore, il «cielo arancione,… vento dal nordest,… melma nera che inondò tutto,…un’onda gigantesca,…un tremendo frastuono…»
Ogni intervento di questa donna misteriosa e se vogliamo inquietante (ispirata, come si legge nella bella prefazione di Irina Bajini, a un componimento della famosa poetessa Lina de Feria) si conclude con un laconico «E L’Avana muore…»
 
Se la recensione finisse qui non darebbe l’idea di cosa sia questo romanzo: in realtà non è il piangersi addosso di sessantenni stanchi e delusi, ma è invece l’invito a non abbattersi, a cercare di ricostruire, a sforzarsi di affrontare con convinzione le difficoltà e di risolvere i problemi, sempre e comunque, nonostante si sia passati attraverso tanto dolore... nonostante tutto.
 
Luciana Grillo
(Precedenti)

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