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Storie di donne, letteratura di genere/ 102 – Di Luciana Grillo

Sarit Yishai - Levi, Miss Jerusalem – Solo quattro parole: «È un romanzo potente!»

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Titolo: Miss Jerusalem
Autrice: Yishai-Levi Sarit
 
Traduttrici: Ofra Bannet e Raffasella Scardi
Editore: Sonzogno 2015
 
Pagine: 496, brossura
Prezzo di copertina: € 19,00
 
Le storie familiari mi affascinano, soprattutto quando raccontano di nonne, di madri, di figlie e rappresentano mondi in evoluzione e rapporti familiari spesso assai complessi.
È una grande saga familiare questo Miss Jerusalem, la storia di una famiglia di ebrei sefarditi raccontata da Gabriela, figlia di Luna – bellissima, dai capelli color fiamma, – a sua volta figlia di Rosa – nuora di Merkada.
Gli eventi storici che hanno caratterizzato drammaticamente il '900 e le terre di Israele e Palestina si intrecciano con le vite di queste donne, alle quali toccano in sorte mariti che non le amano.
Eppure sono donne sensibili, pronte a svolgere il loro ruolo di moglie-madre-nuora con serena razionalità e competenza, anche con l’umiltà che fa accettare sia i commenti malevoli di una suocera che l’indifferenza dello sposo.
 
Per un incredibile gioco del destino, i mariti di Merkada e Rosa, padre e figlio, a distanza di una generazione, si innamorano perdutamente di una ebrea ashkenazita con gli occhi azzurri, madre e figlia.
Le tradizioni sono ferree, un matrimonio è impossibile, ecco perché sono costretti a sposare donne che non amano. E tuttavia avranno vite abbastanza serene.
Le loro donne sanno tacere, come Rosa: «Dopo tanti anni di matrimonio con Gabriel, ancora non si è abituata all’idea che suo marito non la consideri. Di invitare lei a teatro non gli passa nemmeno per la testa.
«La porta giusto in visita ai parenti quando c’è da festeggiare. Al cinema, al teatro o all’opera, mai.
«Dio del cielo, cos’ha mai fatto per meritarsi un trattamento del genere da parte del marito… se… la tratta ancora come la sedia sulla quale ascolta la radio, una sedia confortevole a cui si è abituato, ma se si dovesse rompere non gli dispiacerebbe, si limiterebbe a sostituirla.»
 
Rosa, la nonna dolce che racconta a Gabriela tutta la lunga storia, non le nasconde di essersi sentita «come non appartenesse a quella casa, a quell’uomo, a quelle figlie, a quella famiglia. Non si è mai sentita così sola, la sensazione d’isolamento acuisce l’angoscia…».
Il titolo in realtà fa pensare che sia Luna, miss Jerusalem, la protagonista principale, invece Luna, che è la figlia tanto amata dal padre Gabriel e tanto poco capace di amare e di farsi amare dalla madre Rosa, non è sola: insieme a lei ci sono le sorelle buone Rachelika e Beki, tenaci, capaci di sacrifici e di amore, c’è la figlia Gabriela che, forse perché certi meccanismi si perpetuano, Luna non sa amare né sa farsi amare da lei. Troppo viziata, Luna, nonostante le guerre e le bombe, troppo superficiale, forse, troppo dedita a sé stessa, alla sua bellezza, al sogno di diventare un’attrice e di andare ad Hollywood, con il suo vitino di vespa e i tacchi a spillo.
«Diventa ogni giorno più bella, tutta Gerusalemme parla del suo fascino… e Luna, consapevole della propria avvenenza, percepisce gli sguardi bramosi degli uomini che le si incollano addosso, e ne approfitta spudoratamente. La bellezza le dona vantaggi e forza, Luna si sente capace di conquistare il mondo.»
 
E anche quando le condizioni economiche della famiglia peggiorano e Gabriel si ammala, Luna «continua a uscire e divertirsi, ben vestita e truccata, è sempre attorniata da corteggiatori, ride e scherza nei caffè.
«Ma con Luna non ci si può arrabbiare… per lei i problemi non esistono, vede tutto attraverso due lenti rosa e ride… Rachelika darebbe tutto per ridere come lei.»
Bella e non amata dal marito David, anche lei, tanto per perpetuare una tradizione.
Sua figlia Gabriela è molto amata da suo padre David, tra loro come tra mamma Luna e nonno Gabriel c’è un’intesa perfetta…eppure, dice Gabriela, «quel giorno si è definitivamente spezzata l’alleanza segreta, durata anni e anni, fra me e papà, l’alleanza che mi aveva tante volte salvata dalla furia della mamma, che mi liberava dalla sensazione di essere una bambina non amata, non abbracciata e non baciata, l’alleanza che mi aveva sempre garantito che papà era il mio porto sicuro…».
Quando il romanzo si avvia alla conclusione e i nodi si sciolgono, ci si rende conto che la bellezza non ha protetto Luna dal dolore e dal male.
È la prima delle sorelle a morire, è l’unica che non ha sposato l’uomo giusto, è l’unica che non ha saputo cogliere il bene che la vita le offriva.
 
Una volta letto, questo romanzo non abbandona il lettore: ho pianto per Luna come per un’amica alla quale tutti predicevano felicità e successi.
Ma il destino – che contribuiamo a creare con occhi talvolta miopi – ha deciso altrimenti.
 
Luciana Grillo
(Precedenti recensioni)

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