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Storie di donne, letteratura di genere/ 237 – Di Luciana Grillo

Irmgard Keun: «Figlia di tutti i paesi» – È la sua storia: quando raggiunse il successo, i suoi romanzi vennero censurati dal nazismo e visse in esilio in Olanda e Belgio

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Titolo: Figlia di tutti i paesi
Autrice: Irmgard Keun
 
Traduttrice: Stefania De Lucia
Editore: Artemide 2011
 
Pagine: 1.119, Brossura
Prezzo di copertina: € 20
 
Una bambina perennemente in viaggio, praticamente senza radici, figlia di uno scrittore perseguitato, racconta con ingenuità libera da pregiudizi il suo girovagare con la mamma, la vergogna di vivere in hotel dei quali non si sa chi, quando e come pagherà il conto, gli abiti inopportuni, leggeri quando servirebbero quelli invernali, il camminare per non essere aggredite dai morsi della fame… di città in città, di confine in confine (ma cos’è un confine? «All’inizio ho pensato che i confini fossero degli steccati di giardino, alti fino al cielo… un confine non è un pezzo di terra… non è qualcosa che si può calpestare»).
 
Per la piccola Kully, come sostiene la curatrice, «l’esilio diventa una condizione permanente», ogni città è solo un luogo di sosta temporanea, «la dimensione temporale del romanzo, specialmente nella figura della madre, è data dall’attesa», ogni esperienza è un insegnamento: «…io so che un bambino si inserisce meglio in un paese straniero quando non è troppo educato. Questo naturalmente gli adulti non possono saperlo, perché non giocano con i bambini stranieri» dice Kully, che cerca di guardare i suoi genitori come una piccola saggia adulta: «Qualche volta mio padre ci ama e qualche volta non ci ama per niente. E quando è così, mia madre e io non possiamo farci proprio niente… Dobbiamo stare solo zitte e aspettare… Mia madre aspetta più di me perché gioca pochissimo, non ha né amiche, né amici».
 
È una bimba saggia, Kully, vorrebbe vivere in una famiglia qualsiasi, in un luogo qualunque, ma insieme alla mamma e al papà.
E vorrebbe anche contribuire all’assai magro budget familiare, vendendo i suoi piccoli tesori, allevando di nascosto nelle camere d’albergo animaletti gravidi come i porcellini d’India e i loro potenziali cuccioli… ma c’è sempre un qualche addetto che «fa pulizia».
Le città che la piccola tocca sono tante, da Bruxelles a Praga, da Salisburgo a Parigi, da Amsterdam a Bordighera, fino alla lontana New York, e tantissime sono le esperienze di Kully che sa godere di ciò che provvisoriamente le capita.
 
È felice per la neve abbondante in Polonia, quando «sono corsa giù di nascosto e mi sono rotolata nella neve», osserva con curiosità gli uomini che «baciavano la mano di mia madre e le facevano i complimenti», si rammarica quando «i nostri cappotti invernali sono rimasti a Salisburgo, a un banco dei pegni», è consapevole che «nessuno deve sapere che mio padre è qui. Ha un altro nome ed è arrivato in Olanda con un passaporto belga. Non è nemmeno più uno scrittore, ma un decoratore, un tappezziere, ma fa solo finta», è sorpresa perché «c’è un cappotto anche per me, è da parte di Madame Rostand, lo ha fatto all’uncinetto con la lana colorata. Quando lo indosso sembro un cuscino di lana colorata per il divano», è un po’ contrariata quando suo padre le dice che è in arrivo un fratellino: «Non capisco perché tutt’a un tratto dobbiamo avere un altro bambino, ma loro dicono che ormai non si può fare più niente. E costerà anche tanti soldi, soldi che noi non abbiamo».
 
È saggia e disincantata, anche quando «gli adulti vogliono spiegarmi che si può arrivare in paradiso. Non sopporto quando gli adulti credono che i bambini siano così stupidi da crederci. Quale persona razionale rimarrebbe a vivere sulla terra tra preoccupazioni e problemi se potesse starsene in paradiso, e per giunta senza bisogno di soldi?», è nostalgica quando ricorda il Natale in Germania, a casa della nonna, e albero, luci, canzoni, o l’arrivo a Parigi, dove Place de la Concorde «luccicava d’argento» o il viaggio verso l’Italia, «la terra dove fioriscono i limoni», dove «la spiaggia non è fatta di sabbia, ma di bellissimi sassolini bianchi e splendenti».
 
Questa, dunque, la vita di una bambina cosmopolita che su una nave che sembra un castello va da Rotterdam in America con il padre, mentre la madre per una serie di malintesi non arriva in tempo al porto: «Pensavo sempre a mia madre…questa volta non aveva nemmeno più me da proteggere. Immaginavo che stesse piangendo e che fosse agitata…di notte ha sempre così tanta paura…».
Avventure e disavventure si susseguono, la piccola sembra la vera adulta della famiglia che non sa provare nostalgia per un luogo, ma si sente felice quando si ritrova con i suoi genitori.
 
L’autrice racconta in realtà la sua esperienza perché quando diventò una scrittrice di successo i suoi romanzi vennero proibiti dalla censura nazista e lei visse in esilio in Belgio e Olanda, e lo fa con una incredibile grazia, riuscendo persino a far sorridere lettrici e lettori.
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Precedenti recensioni)

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