Storie di donne, letteratura di genere/ 592 – Di Luciana Grillo

Amélie Nothomb, «L’impossibile ritorno» – Una frase che identifica il libro: «Siamo a Kyoto e camminiamo. Non abbiamo bisogno di altro»

Titolo: L'impossibile ritorno
Autrice: Amélie Nothomb
 
Traduttrice: Federica Di Lella
Editore: Voland, 2025
 
Pagine: 120, Brossura
Prezzo di copertina: € 17


Non posso sottrarmi al piacere di leggere i romanzi di Amélie Nothomb, mi sorprendono per la loro apparente semplicità, per i temi sempre attuali eppure per così dire tradizionali, per la spontaneità che li caratterizza… mi sembra di entrare in contatto immediato con l’autrice, di sentirla parlare e di risponderle.
Quest’ultimo suo lavoro, in particolare, mi ha toccato profondamente: racconta di un viaggio in Giappone, Paese dove è nata, dove ha vissuto da bambina, dove è già ritornata da giovane donna. 
Ritorna ancora, quasi cinquantenne, e teme la nostalgia che l’accompagnerà quando il viaggio con l’amica Pep sarà finito.
 
Anche io ho lasciato il mio luogo d’origine, ho abitato in tanti luoghi diversi, ma questo tipo di malinconia lo collego proprio al Giappone, che ho visitato qualche anno fa e di cui ho subito il fascino sottile. 
È il Paese dei ciliegi in fiore e del foliage, delle geishe e del kensho: Amélie per dieci giorni si lascia abbracciare da profumi, suoni, luci che le sembrava di aver dimenticato, ricorda parole e luoghi, pur nel disorientamento che la metropoli le provoca.
 
In realtà Amélie, figlia di diplomatici sempre in procinto di raggiungere altri Paesi, sa che partire può far soffrire molto, tanto che «da adolescente avevo giurato a me stessa che da adulta avrei trovato il luogo assoluto da cui in seguito non mi sarei più mossa… Qualsiasi partenza è un’aberrazione… Partire mi appare sempre come una violenza… La prima partenza della mia vita è stata quella che mi costrinse a lasciare il Giappone all’età di cinque anni. Lo strazio di quel distacco mi ha traumatizzata…», lasciare «il Giappone per trasferirci nella Cina di Mao, vale a dire all’inferno».
 
Prima tappa del nuovo ritorno è Kyoto, «scende la sera. La nostalgia è un sentimento crepuscolare, la mia si fa sempre più spazio dentro di me…». 
Amélie ritrova luoghi e ricordi, ascolta con attenzione un professore che dice ai suoi studenti in gita scolastica: «L’importante quando osserviamo è ritrovare l’armonia che abbiamo dentro di noi». 
I ragazzi ascoltano le parole del «sensei», l’insegnante che in Giappone è stimato e rispettato.
 
Dopo Kyoto, è il momento di andare a Tokyo, dove «ridestarsi significa sentirsi subito percorsi da una pulsazione di energia ritmata da un ronzio urbano ininterrotto». 
Qui incontrano Alice, italiana diventata tokyota, che le accoglie e le accompagna con entusiasmo alla scoperta di angoli affascinanti. 
Ad Amélie sembra di ritrovare suo padre, di averlo accanto nei templi e al caffè, di sentirne la voce e camminando lungo le piantagioni del tè avverte misteriosamente il “kensho”, «l’illuminazione provvisoria secondo la filosofia zen… tutto si apre, il cuore, la testa, ma anche ciò di cui è impossibile immaginare l’apertura e che tuttavia si dilata, il sangue, la pelle, le ossa, per creare un varco a un’energia perfetta, un’abolizione del tempo, passato presente futuro, dello spazio, dei progetti, dell’identità, di me non resta altro che un filo di coscienza felice di essere qui…».
 
Amélie indica anche la data, è il 27 maggio 2023, sabato. 
La domenica 28 accompagna Pep al parco di Ueno, tempo bello e gente che si gode la pace e la luce di questo luogo… se in Europa la domenica è un vuoto e forse anche lugubre, in Giappone «il vuoto è la meraviglia… l’occasione di poter finalmente vivere».
E poi si torna a casa, nella vecchia e comunque cara Europa, «la vita riprende, è il solito disastro», del viaggio non interessa niente a nessuno… Amélie ripensa alla sua vita che è stata un viaggio continuo, abita in un luogo che non ha scelto, ha lasciato l’unico in cui voleva vivere… «Che pensare di questa aberrazione? Non ci capisco niente, per cui ne scrivo». 
 
E chiude questo libro con una frase che può diventare un mantra: «Siamo chiamati a popolare sempre di più il mondo, noi che, in un modo o nell’altro, abbiamo perduto un luogo amato e abbiamo cercato di ritrovarlo, per scoprire l’impossibilità del ritorno». 
 
Luciana Grillo - [email protected]

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