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«I due presidenti» – Quarto capitolo

Spy story di Guido de Mozzi

IL PERIODO DEI DUE PRESIDENTI


PERSONAGGI

MARCO BARBINI
IMPRENDITORE ITALIANO

GINA BARBINI
MOGLIE DI MARCO

SAOUL GROWE
AGENTE SPECIALE DELL'FBI

JILL MOORE
AGENTE NSA

JEFF FLIT
CAPO OPERAZIONI NSA

A. CHITTUM E P. VINERY
AGENTI NSA

ROLAND GARCIA
VICEDIRETTORE AIR & SPACE SMITHSONIAN ISTITUTION

GREGORY LEVITAN
DIRETTORE DEL MUSEO DI DAYTON

MANNY LARSEN
CAPO DELL'UFFICIO STORICO DELL'USAF

COLONNELO KENNETT, MRS DOLAN, MR JACOBS
DELL'ARCHIVIO STORICO DEL PENTAGONO

GEORGE BUSH
PRESIDENTE USA USCENTE

BILL CLINTON
NUOVO PRESIDENTE USA

A mia Madre
che mi ha insegnato ad amare,
a mio Padre
che mi ha insegnato a scrivere.





Capitolo 4.


Uscii dal bagno che stava finendo una telefonata di servizio.
"Continuo avere l'impressione che stiate esagerando la situazione." - Le dissi quando finì.
"Verificavo adesso lo stato delle cose. Noi due veniamo tenuti sotto controllo dal Bureau, e..."
"Beh, se è così, devo dire che sapete fare il vostro lavoro perché non me n'ero accorto. Come sei entrata nell'FBI?"
Ci fu una piccola pausa. Evidentemente stava pensando alla versione più adatta alle circostanze.
"Sono loro che ti cercano. Se vai bene all'università di legge, se parli più di una lingua, se sei di provata solidità morale..."
"Di solito di cosa ti occupi?"
"Fin'ora di bambini e di donne. Anche il nostro è un mondo di uomini. Tu sei il primo uomo che ho per le mani." - Sorrise.
"Stai facendo carriera, eh?"
"E a te piacciono le donne in carriera, vero?"
"Centrato." - Divenni serio. - "Tu sei capace di spiegarmi qualcosa di più sulla storia in cui sono coinvolto?"
Girò lo sguardo altrove cercando argomenti.
"Non posso dirti nulla di più di quello che sai."
"Ripetimelo lostesso."
"Conosco il trucco. Mettere insieme due verità per filtrare quello che rimane. Mi dispiace."
"Potrei sempre rifiutare la tua presenza."
"Hai ragione. Se preferisci avere un agente maschio..."
"Fanculo."
"Ecco, bravo. Senti." - Mi disse a riprova che le mie opinioni non le importavano gran che. - "Dimmi i tuoi programmi per il pomeriggio e per la sera. Meglio ancora se mi dici anche cosa intendi fare domani."
"Se vuoi, inizio comunicandoti il programma che ho in testa per stasera."
"Inizia da dove ti fa comodo."
La guardai paziente, e allora capì il senso.
"Oh, al diavolo. Sii serio."
"Va bene. Tra un'ora andiamo alle Relazioni Esterne del Museo, come hai sentito anche tu."
"Quanto ci staremo?"
"Un paio d'ore, se ci riesce. Cioè se mi lasciano mettere mano ai programmi disponibili."
"E poi?"
"Sono libero. Ahia... Siamo liberi. Si fa per dire, comunque, perché a seconda di come va all'Air & Space mi programmo i giorni successivi. Penso che andrò anche a Deyton..."
"E' bene che lo decidi subito, perché devo programmarmi."
"Jill. Se tu fossi un uomo, ti direi che non me ne importa nulla dei tuoi problemi di programmazione."
Arrossì e distolse lo sguardo: sapeva di avere una rendita di posizione col fatto di essere una donna. E' l'aspetto positivo del vivere in un mondo gestito da uomini.
"Sì. Domani mattina andremo alla NASA e alla Federal Aviation Administration. Nel pomeriggio visiteremo tutti i Gift-Shop dei vari Smithsonian. E siamo a giovedì. Ci manca un solo giorno lavorativo, il venerdì, poi gli uffici pubblici chiudono. Non so come vuoi passare tu il fine settimana, ma io ho voglia di giocare a golf a casa mia, a Fort Lauderdale in Florida. Ci starò il sabato e la domenica."
"Hai intenzione di tornare a Washington, dopo?"
"Direi di no, a meno che non si presenti la necessità..."
"Suggerisco di andare giù al bar. Prendiamo un caffè, così io riesco a parlare un attimo con i miei colleghi."
"Sono in albergo?" - Jill non rispose. Stranamente, la loro presenza mi dava un maggior senso di pericolo. Con la sola giovane Jill invece pareva un gioco.
Andammo al bar attraversando il salone, scatenando pettegolezzi sulla mia compagna. Neanche uno sguardo per me. Al bancone ordinammo un paio di caffè. Dopo un po' si aggregò un altro cliente. Era un collega di Jill. Ridemmo e scherzammo per consentire loro di scambiarsi alcuni pareri che non riuscivo ad afferrare.
Ad un certo punto lui mi rivolse la parola con l'espressione di chi ha in testa una furbata.
"Che ne dice di venire a giocare a Golf con me e i miei amici sabato e domenica? Potremmo fare uno skin-game al Navy & Army Golf Club. E' un circolo esclusivo..."
"Sì, lo conosco, vi ho giocato. E' a un paio di miglia dopo il Pentagono. E' molto bello..."
"Affare fatto, allora?"
"No, grazie. E' troppo freddo qui a Washington." - Sorrisi affabile. - "Tornerò proprio a casa, in Florida. Giocherò al mio circolo con i miei amici. Se vuole venire anche lei..."
Mantenne il sorriso, ma non rispose. Tornarono a chiacchierare tra di loro. Quando finimmo il caffè, Jill mi fece presente che era ora di andare allo Smithsonian.
Salutai il suo collega, facemmo un salto in camera a prendere i montoni e quindi uscimmo in taxi con lo stesso rito della mattina: fischio tremendo del portiere e taxi indolente che avanza di due metri.
Passammo un paio d'ore in pace. Forse Jill si annoiò. Cercava di dare l'impressione di essere molto interessata ai risultati delle mie ricerche. Mi chiedeva se stavo trovando qualcosa e se questo fosse utile al nostro lavoro.
Alla fine le dissi che avevo trovato solo tracce utili per l'ulteriore ricerca che avrei fatto a Deyton, negli archivi dell'USAF. - "Sempre che mi lascino mettere il naso." - Le dissi.
"Se vuoi mi interesso io." - Disse.
"Ci penserò, grazie. Anzi, ci ho già pensato. Pensaci tu, grazie."
Tornammo in albergo con i videodischi e una fila di floppy disk ad alta densità. Appena in camera lei si tolse le scarpe e io accesi il mio computer portatile. La tensione americana è solo 110 Volts, ma avevo con me il trasformatore giusto.
Iniziai a caricare alcuni floppy, ma mi resi conto che ci sarebbe stato da lavorare per un'intera giornata, se volevo trovare ciò che mi interessava.
"Se vuoi andare a fare due passi..." - Le dissi stirandomi.
"No. La mia consegna è di non lasciarti mai fino a nuovo ordine, a meno che non mi faccia sostituire."
"Dio mio, mi mancherebbe solo di avere un uomo tra i piedi. Magari che divida il letto con me!"
"E se mi sostituissero con un'altra collega?" - Mi chiese con civetteria.
"Beh, non sarebbe più mia moglie."
"Potrebbe essere la tua segretaria."
"Meglio la mia amante allora."
"Hai un'amante?"
"Amo mia moglie."
"Questo l'avevo capito. Ma qualche contatto mi risulta che tu ogni tanto ce l'abbia."
"Solo qualche contatto."
Feci due conti sui tempi. - "Senti. Se mi dai una mano, possiamo finire per le 8 o le 9 al massimo."
"Cosa vuoi che faccia?"
"Isolami tutti i files che riportano dati direttamente o indirettamente riferibili al 1943. Io intanto leggo questi grazie al programma che mi hanno dato."
Ci mettemmo al lavoro. Lei finì prima di me.
"Cosa stai cercando?"
"Il cliente mi ha chiesto qualche rapporto su alcune missioni alleate durante la guerra."
"Missioni aeree?"
"Sì, di bombardamenti aerei."
"Cosa gli servono?"
"Vogliono dedicare un'ala dell'esposizione al 1943, con tutto ciò che riguarda l'aviazione alleata nella Seconda Guerra Mondiale. Quest'anno è il 1993, il 50° anniversario della Caduta del Fascismo e della svolta della guerra..."
"Trovato nulla di interessante fin'ora?"
"Qualcosa, ma nulla di trascendentale. Però, vedi qui." - Indicai il monitor del portatile. - "Indicano tutta una serie di missioni alleate compiute sul Nord Italia nel '43. Raccogliendo tutte queste informazioni, tra qualche giorno potremmo approfondire solo quelle che sembrano meritevoli di attenzione."
Alle 8 decidemmo di smettere e di andare a cena. Mi consigliò un locale in Georgetown, vicino all'Università.
Doveva essere un freddo della Madonna, perché il portiere nero di turno stava all'interno. Appena ci vide mise alla bocca il fischietto e fece per chiamare il taxi. Per fortuna si accorse in tempo di non essere all'aperto ed uscì prima di emettere il fischio diabolico. Le donne in sala erano già tutte in vestito da sera ed attendevano il loro momento; non avevano attenzioni per noi.
Anche il ristorante dove eravamo andati era nell'interrato di un palazzo. Washington non può avere edifici più alti del Campidoglio e deve sfruttare anche il sottosuolo.
Io scelsi l'aragosta del Maine e lei i gamberi imperiali. Pagai io, ovviamente, perché lei era una donna. Per un attimo mi chiesi se fosse giusto che lei mi lasciasse pagare, dato che stava lavorando per il suo Governo.
"Hai fatto campagne pubblicitarie importanti?"
"Sì. E' un lavoro che dà grandi soddisfazioni, se lo fai bene."
"Sai che sarebbe piaciuto anche a me lavorare in pubblicità?"
"Lo si dice sempre, prima."
"E tu, come ci sei entrato?"
"Pensavo di arricchirmi e di trovare donne a volontà."
"E invece?"
"Mi sono arricchito e ho trovato donne a volontà."
"E allora, di cosa ti lamenti?"
"Mi lamento perché non sono le cose più importanti della vita."
Giunse il momendo di tornare a casa e ci venne in mente che avremmo dormito assieme. Nonostante tutto, la situazione era interessante. Indubbiamente intrigante. In taxi cercò di stemperare la tensione.
"Hai mai fatto campagne elettorali?"
"Ahi. Questa è una domanda professionale, vero?"
"No. Scusami. E' che qui a Washington le agenzie di pubblicità non vivono di altro..."
"Sì, ho fatto campagne elettorali."
"Sono andate bene?"
"Sì."
"Persone o partiti?"
"Persone. Di vari partiti."
"Gente importante?"
"Ho fatto eleggere il sindaco della mia città."
"Però!"
"Ed un paio di Senatori."
"Wow! E ti sono stati riconoscenti?"
"Utili, vuoi dire? No. Non ho mai avuto un incarico grazie ai miei candidati. Sai, nelle campagne elettorali ho sempre voluto i soldi anticipati..."
"Li vogliono anche qua. Tutto il mondo è paese."
Arrivammo all'albergo.
"Ben tornato dott. Barbini. Signora contessa..." - Anche il portiere del conservatore Sheraton Carlton non dà più una chiave ma una schedina magnetica che puoi tenere in tasca. Evitammo così possibili imbarazzi, anche se le signore rimaste in sala capivano a distanza che non dovevamo essere marito e moglie. Precedetti Jill per non guardarla in faccia. Anche lei non cercava il mio sguardo.
Entrati in camera le chiesi se voleva andare in bagno prima lei. Mi disse di precederla pure mentre lei verificava la chiusura delle porte e delle finestre, controllava altre cose, faceva una telefonata. Quando uscii, mi disse che avrebbe dormito sul divano.
"Niente affatto." - Le dissi. O dormi con me o te ne vai in un'altra stanza."
"Allora dormi tu sul divano." - Mi disse non troppo convinta di potermelo chiedere.
"Non ci penso nemmeno. Questa è camera mia. Se non ti va, ti faccio avere un'altra stanza." - Alzai la cornetta. Mi fermò.
"Tu va' a letto. Io resterò sveglia per alcune ore e mi farò dare il cambio da un collega."
Mi avvicinai a lei e la guardai in faccia. Lei mi sostenne lo sguardo.
"Hai paura che io ti violenti?" - Le chiesi seriamente.
"Neanche un po'." - Mi disse altrettanto seriamente.
"Allora, credimi, puoi venire a letto con me. Non ho mai scopato con una donna che non lo volesse fare, e dovreste saperlo."
Ci guardammo in silenzio.
"Lo so." - Disse poi. - "Mi fai una promessa?"
"Assolutamente no. Se tu vorrai fare l'amore, puoi stare certa che lo farò. Ma se non lo vorrai, non ti toccherò neanche con un dito."
Entrò in bagno. Credo che ci fosse rimasta una mezz'ora.
Comunque, quando tornò io stavo dormendo il sonno del giusto.

Avevo chiesto la colazione per le 6.30, e quando il cameriere ai piani bussò alla porta, lei balzò dal letto con la Beretta in mano e si mise in piedi davanti a me come per proteggermi da possibili colpi provenienti dalla porta. Chiese chi fosse. Io le guardai il culo, coperto da un pigiama maschile leggero. Sotto non si vedeva lo slip e pensai soddisfatto che ne fosse senza.
"Non sei male." - Le dissi in italiano mentre il cameriere cercava di spiegarsi attraverso la porta. Lei si scostò, prese il primo accappatoio a portata di mano, il mio, se lo mise, mi fece andare in bagno ed aprì la porta. Dopo un paio di minuti la riaprì
"Esci pure." - Mi disse. Poi si accorse che stavo facendo la pipì e mi chiese scusa.
"Prego." - Le dissi prima che chiudesse la porta. - "Se sei curiosa, entra pure..." - Sbatté la porta.
Quando uscii stava portando il caffè alle labbra.
"Dormito bene?" - Le chiesi sornione.
Fece una smorfia scottandosi la gola.
"Non mi hai neanche aspettato per fare colazione con me."
Poggiò la tazza. - "Scusami."
Prendemmo posto al tavolino vicino la finestra. Fuori doveva fare un gran freddo perché c'erano cristalli sul vetro.
"Ho scopato bene?"
"Una delusione." - Rispose vincendo un primo imbarazzo. - "Sei il primo uomo che abbia dormito con me senza neanche cagarmi."
"Allora questa sera ti faccio godere come un facocero."
"Sempre romantico la mattina, eh?"
"Solo se la notte non ho scopato." - Mi avvicinai a lei. Sorrisi. Le baciai la fronte. "Buongiorno Gina."
"Buongiorno Marco.
"Dove l'hai imparato?"
"Dove ho imparato cosa?"
"A dire «cagare o non cagare qualcosa o qualcuno». Credo che sia un modo di dire intraducibile in qualsiasi altra lingua..."
Rise. - "Ho una cugina italiana che viene a trovarmi ogni anno."
La guardai con attenzione. - "Mi piaci."
"Grazie."
"Vuoi fare l'amore con me? Abbiamo tempo, se vuoi."
"Mi sento lusingata."
"Vuol dire che lo facciamo?"
"No. Mettiti qualcosa addosso."
"Scusa." - Dissi. Mi si era mosso e lo si notava sotto il pigiama. Misi l'accapppatoio, il suo.
"Ce l'hai un uomo?"
"Me lo sta chiedendo mio marito?"
"Non vuoi rispondermi, vero?"
Non disse altro.

La giornata passò tranquilla fino alle 6 del pomeriggio. Eravamo tornati in camera con i piedi doloranti per l'enorme quantità di passi che avevamo fatto negli spacci dei vari musei, dopo la visita alla NASA.
Agli Smithsonian avevo comperato qualcosa di significativo per il merchandising dei miei clienti, come il cibo iperenergetico degli astronauti, il programma "I Principi del volo" in floppy disc che avrebbe fatto schiattare d'invidia un museo di casa, e tante altre cose ancora. Alla NASA ci avevano dato un catalogo di filmati sul sistema solare e diapositive dell'Universo da commercializzare nel gift-shop del museo di Guidonia. Alla Federal Aviation Association non eravamo riusciti ad andare. Lo avrei fatto un'altra volta, anche perché mi avevano detto che probabilmente queste cose la FAA le gestisce da Oklahoma City.
Ci eravamo tolti le scarpe con i piedi gonfi e stavamo sdraiati io sul letto e lei sul divano. Tra un po' avrei preparato un paio di drink. Suonò il telefono. Come d'accordo risposi io: poteva essere mia moglie nonostante l'ora, e non volevamo creare pasticci inutili.
"Dottor Barbini?" - Sentii dire in americano.
"Sono io."
"Sono l'assistente del Vice Direttore Garcia."
"Piacere, mi dica."
"Il signor Garcia mi ha pregato di telefonarle non appena fossi riuscito a trovare il software di gestione dell'archivio militare di Deyton."
"Ma va'?" - Questo poteva risparmiarmi il volo a Deyton dell'indomani. - "Posso dargli un'occhiata subito?"
"Sì." - Disse. - "Se passa qui domattina dopo le nove..."
"No." - Dissi secco. - "Domattina è troppo tardi. Se voglio evitare un possibile volo inutile a Deyton, devo vederlo ora."
Vidi Jill alzare le braccia e lasciarle ricadere sfinita.
"Dov'è adesso? Non può attendermi per un quarto d'ora?"
"Beh... Sì... Posso aspettarla un quarto d'ora, se vuole. Dopo però devo andare. Abito in Pennsylvania e ..."
"Volo. Mi dica dove."
"Ha presente l'ingresso degli uffici amministrativi dell'Air & Space?"
"No."
"E' esattamente dietro l'ingresso principale delle sale espositive. Se viene in taxi, le conviene chiedere della NASA..."
"So dov'è. Ci sono stato stamattina."
"...E farsi scaricare là. Deve solo raggiungere la 7th., quella vietata al traffico, e camminare fino al numero 1117."
"Mi attenda."
Mi misi le scarpe con difficoltà. Jill se le era già messe con enormi sofferenze.
"Lasciami andare da solo." - Le dissi sempre più convinto dell'inutilità della scorta. Non mi rispose nemmeno. Si mise il montone e mi precedette nell'ascensore.
"Non dirmelo, lo so dove vai."
"A chi parli?"
"All'ascensore."
"Going down." - Disse infatti l'elevatore.
Jill rimase senza parole.
Al salone d'ingresso le donne del secolo scorso si erano date il cambio con altre di epoche più recenti che tenevano lo sguardo su di me per capire se ero rimasto soddisfatto della mia compagna.
Il nero all'ingresso aprì la porta girevole e cacciò il fischiaccio verso il taxi che aveva già acceso il motore.
"Dove vanno i signori?"
"Alla NASA."
"Porta i signori alla NASA, alla 7th Street. Prendendo la Jefferson Drive. OK?"
"Sissignore." - Mentì il tassista, e si allontanò con tutta calma.
Un quarto d'ora dopo pagavo 8 dollari vicino alla NASA e scendevo senza attendere il resto perché faceva freddo. Ci prendemmo a braccetto e ci spostammo alla vicina 9th. Scendemmo dal marciapiede per attraversare la strada a testa bassa per scansare l'aria cruda.
A metà ci fermammo per far passare un'auto. E quando mi ricordai che la strada aveva la circolazione vietata, fu troppo tardi.
L'auto spense i fari, fece stridere le gomme e con la massima accelerazione provò ad investirci. Ci fu un attimo di confusione tra me e Jill che tuttavia salvò la vita a entrambi: io cercai di salvare lei e lei cercò di salvare me. In una specie di apparente impacciata incertezza, riuscimmo a cadere in terra malamente, lei di pancia ed io di schiena, ma molto lontani uno dall'altro. Quanto bastò, probabilmente, per confondere il pilota che voleva travolgere entrambi; ci passò in mezzo solo sfiorandoci.
L'autista frenò un attimo, forse cercando di pensare alla mossa successiva, ma vedendo Jill che, pur caduta pesantemente, stava già in ginocchio puntando la sua piccola arma, diede un'altra sgommata e se la filò.
Jill sparò 7 o 8 colpi. Corsi da lei.
"Tutto a posto?" - Le chiesi col cuore in gola e la voce stridula per l'emozione.
"Tu piuttosto!" - Disse posandomi la mano libera sulla guancia destra.
"Io sto bene." - Guardai il montone che mi aveva attutito la caduta. Era a posto.
"Non mi sono fatto male, posso ancora giocare a Golf." - Ironizzai.
"Io mi sono un po' ammaccata, ma niente in tutto." - Si alzò prendendosi al mio braccio. Cercò nella borsa una minuscola radio portatile. L'attivò e disse alcune parole.
Non aveva ancora riposto la radiolina che già arrivava un'altra macchina a tutta velocità. Mi misi all'erta, ma mi fece capire che erano i suoi. Scesero, effettuarono una serie di precauzioni tattiche, qualche altra comunicazione via radio e ci fecero salire nella loro auto. In 10 minuti eravamo all'Hotel.
In una saletta riservata ci stavano già aspettando l'Agente Speciale Growe insieme ad un collega.
Gli raccontammo tutto almeno 5 volte. Ci fece ripetere ancora un paio di volte degli inutili particolari. Dovetti ricostruire parola per parola la telefonata che ci aveva fatto cadere in trappola. Mentre parlavamo, Jill aveva tolto il caricatore dalla Beretta, aveva contato i colpi rimasti, li aveva reinseriti aggiungendo quelli che mancavano, aveva tolto il proiettile dalla canna e smontato l'arma. Aveva tolto dalla borsetta un minuscolo necessaire per lubrificare la canna sollevata, l'asciugò con una salvietta di cotone e la rimontò. Inserì la sicura e rimise un proiettile in canna. Ripose la Beretta in borsetta.
"Dottor Barbini." - Disse Growe. - "Allo Smithsonian avevano chiuso gli uffici alle 4 come sempre. Lei c'è cascato come un tordo."
"E' stata colpa mia." - Disse Jill.
"No." - Le risposi. - "Se fosse dipeso da me ci sarei andato da solo."
"Dovevo chiederti i particolari della telefonata."
"Cosa cambiava? Lo sai come sono fatto, ormai."
"E' evidente che l'apparente normalità della situazione vi aveva fatto abbassare la guardia." - Intervenne Growe. - "Come è evidente che l'aver toccato il pericolo da vicino vi impedirà di fare altre leggerezze. Vero?"
"E quali fottute leggerezze avremmo fatto?"
Jill mi mise una mano con dolcezza sulla gamba per farmi stare calmo. Un gesto intimo, ma era solo per non farsi vedere da Growe.
"Il problema è un altro." - Disse questo facendosi molto serio. - "Lei deve aver parlato con la persona sbagliata. Chi conosceva i dettagli della sua ricerca?"
"Voi."
"A parte noi, naturalmente."
"Il mio ufficio."
"E' altrettanto evidente che il suo ufficio non c'entra: questi la seguono molto da vicino. Almeno quanto noi. Giuro che scopriremo come. Domani a Deyton vi portiamo noi. Verremo a prendervi alle 8. Ci vogliono due ore di volo. Ora andate a letto e dormiteci sopra."
Si alzò, ringhiò e uscì. Il portiere non fischiò ai taxi.

Chiesi a Jill come facevano essere sicuri che il mio ufficio non c'entrasse. Io ne ero più che sicuro, ma l'FBI?
"Il tuo ufficio è sotto controllo telefonico e ambientale." - Tagliò corto.
"Dio mio!"
Salimmo in camera. Io andai in bagno a lavarmi le mani e, mentre mi asciugavo, mi venne in mente che Jill si era ammaccata. Dovevo galantemente lasciare il bagno a lei. Uscii e vidi Jill che si era tolta la gonna e seduta sul letto. Cercava di sfilarsi i collant ridotti a brandelli sulle ginocchia.
"Jill, Dio mio! Perché non lo hai detto a Growe?"
"Mi avrebbe sostituita."
"Stronza. Tu devi essere sostituita!"
"Potrebbero darti un uomo." - Ironica.
"Ancora più stronza."
"Se non ti senti più protetto da me perché sono in queste condizioni, mi faccio sostituire."
"Non pensarci neanche, cazzo, ti sei ridotta così per me!" - Mi accorsi che l'incidente ci aveva avvicinati molto.
La aiutai a togliersi le calze. Le guardai le ginocchia attentamente, entrambe avevano subìto abrasioni. Il ginocchio destro era anche gonfio. Si piegò di lato per guardarsi il fianco: aveva un ematoma sull'anca.
Andai in bagno e aprii l'acqua calda della vasca e tornai da Jill. La spogliai con delicatezza e lei mi lasciò fare pur dicendo faccio da me. Anche un gomito era sbucciato.
"Però!" - Osservai ironico. - "Per fortuna avevi il montone..."
"Non è stato facile cadere a terra con la Beretta in mano." - Ammise. Rimasta con la sola biancheria intima, si coprì il seno con il braccio.
"Non guardarmi... Sono senza tette."
"Piantala." - La presi in braccio e la portai in bagno. La feci sedere sullo sgabello. Controllai la temperatura dell'acqua. - "Va benone così. Ce la fai a toglierti mutandine e reggiseno da sola ed entrare in acqua?"
Uscii per andare a prendere il mio beauty e rientrai quando era già nella vasca. Si copriva le tette che diceva di non avere.
"Prendi questa e falla sciogliere in bocca."
Lo fece chiedendomi cosa fosse.
"Un antidolorifico piuttosto forte. Ora resta lì a cuocere finché non arriva la cena."
"Attento quando arriva il cameriere. Cerca di riconoscerlo."
Mi avvicinai a lei, mi chinai e la baciai sulla fronte.
"Starò all'erta io stasera." - Le sussurrai con finta circospezione. - "Tu rilassati, altrimenti domani starai peggio di adesso."
Chiudendo la porta del bagno le vidi una smorfia di dolore.
Cercai nella sua Louis Vuitton la Beretta. La presi e me la misi in tasca. Ma ero certo che per quella sera non correvamo altri rischi.

Mezz'ora dopo la facevo uscire dalla vasca tenendole l'accappatotio aperto davanti a lei.
"Ce la faccio da sola, sai. Grazie."
"Mettiti sul letto e fatti vedere. Ho sempre con me una fila di medicinali. Qui in USA non ti danno nulla senza uno straccio di ricetta. Ho creme di tutti i tipi. Per botte, contusioni, lacerazioni, dolori articolari, slogature, torcicolli..."
"A cosa ti servono?" - Chiese meravigliata.
"Per ogni evenienza. Sai, gioco a golf e basta una sciocchezza per rovinarti una vacanza..." - Mi accorsi che per un estraneo poteva sembrare una stronzata. - "In ogni caso ho tutto quello che serve."
Misi sulle ginocchia una certa quantità di crema per contusioni. Sentì bruciare solo un po' all'inizio perché l'acqua bollente aveva già fatto gran parte del lavoro. Spalmai un'altra crema sull'ematoma dell'anca e la massaggiai fino all'assorbimento. Quindi mi occupai del gomito, che ormai era solo poco più che arrossato.
"Ecco fatto." - Dissi alla fine. - "A cena."
"Hai una mano felice."
"E un palato delicato. Guarda." - Mostrai la zuppiera con zuppa di pesce, del salmone affumicato pepato con olio e cipolle, del burro e del pane integrale caldo. - "Non so se il salmone sia selvaggio o meno..." - Dissi. - "Invece, mi spiace ma... niente champagne."
"E perché?"
"Perché l'alcol non fa bene dopo un trauma."
Mangiammo di gusto. Alle 10 eravamo a letto. Le misi in bocca un'altra compressa.
"E questa cos'è, dottore?"
"Un Lexotan. Ti farà l'effetto di un sonnifero senza esserlo."
"Non posso. Devo restare cosciente."
"No. Non dormiresti. Probabilmente non dormirò neanch'io, ma tu devi prenderla. Ci dovremo alzare alle 6, quindi abbiamo 8 ore a disposizione. Prendila, e falla sciogliere in bocca." - Lo fece.
Quella sera le piaceva essere coccolata. Rimasi un po' a guardarla mentre dormiva. Le avevo fatto mettere una camicia da notte molto leggera e sentivo il calore del suo corpo che accendeva il mio. Allora la lasciai e mi allontanai un po'. Spensi la luce.
Rivolsi il pensiero a mia moglie e mi addormentai.

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