Tra gli autori il giornalista e scrittore trentino Carlo Martinelli Altri autori: Alberto Brambilla, Gino Cervi, Stefano Corsi Emiliano Fabbri, Antonio 'Cecu' Ferrari Stefano Fregonese, Claudio Gavioli, Renzo Gherardi Giulio Giusti, Franco Loi, Carlo Martinelli Valerio Migliorini, Francesco Parigi, Claudio Rinaldi Davide Rossi, zio Aramis (Gianni Bertoli) zio Athos (Andrea Maietti)
Ci sarà anche Enzo Bearzot, il commissario tecnico che portò
l'Italia alla conquista del Mundial in Spagna nel 1982,
alla presentazione nelle prossime settimane a Milano, del libro
«Un coro per il Vecio» pubblicato dalla casa editrice
trentina Curcu & Genovese (120 pagine, 10 euro).
Si tratta di un'antologia (il sottotitolo è «Diciannove voci
per Enzo Bearzot») che ospita racconti e ricordi del gruppo di
«em bycicleta», presidio di fabulazione sportiva; una
poesia di Franco Loi, poeta milanese; un'intervista di Gianni Mura,
cronista sportivo di Repubblica. Tutti insieme fanno
appunto un coro per Enzo Bearzot, il Grande Vecio del
calcio italiano.
Un libro che è anche regalo per gli ottant'anni del
commissario tecnico, nato nel 1927 e che conquistò la Coppa del
Mondo di calcio grazie a un gruppo di grande forza morale. Si
tratta di un omaggio, dicono quelli di «em bycicleta». Il presidio
di fabulazione sportiva è nato in un'osteria di Lodi nel
dicembre del 2003, è un nome collettivo che «raccoglie sognatori e
balenghi uniti in un'idea di sport diversa da quella proposta dallo
spettacolo business di questi anni e dunque sport come metafora di
vita, fonte di favole, nutrimento dei brevi sogni dei poveri che
siamo stati, ora che il rischio è di diventare miserabili di mente
e di cuore». Dal settembre 2007 em bycicleta si è unito al
blog di Carlo Annese, Quasi Rete, pubblicato tra le pagine web di
Gazzetta.it (quasirete.gazzetta.it).
Tra le diciannove firme dell'antologia anche quella di Carlo
Martinelli (nella
foto), giornalista e scrittore trentino che ha scritto il
racconto «Nella nuvola di Manritte».
Gli altri autori sono: Alberto Brambilla, Gino Cervi, Stefano
Corsi, Emiliano Fabbri, Antonio 'Cecu' Ferrari, Stefano
Fregonese, Claudio Gavioli, Renzo Gherardi, Giulio Giusti, Franco
Loi, Valerio Migliorini, Francesco Parigi, Claudio Rinaldi, Davide
Rossi, zio Aramis (Gianni Bertoli), zio Athos (Andrea Maietti). La
postfazione è di don Luigi Pozzoli, il sacerdote milanese che da
anni condivide una grande e consolidata amicizia con Enzo Bearzot.
Carlo Martinelli
Nella nuvola di Magritte
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25 settembre, sera. I nipoti si
danno un gran da fare. Tagliano, incollano, ripiegano: sul tavolo
carta da regalo, un rotolo di nastro dorato, un elegante astuccio
in legno.
Il nonno intuisce. Sa già. Eppure qualcosa gli sfugge. C'è anche un
foglio enorme, una sorta di lenzuolo bianco tutto stampato. È
l'ingrandimento di un articolo di giornale. Non c'è titolo, né
immagini. Solo una lunga teoria di parole.
Non visto, il nonno inizia a leggere.
Sulla tela un'immagine dipinta in modo così verosimigliante da non
lasciare dubbi. Rappresenta sicuramente un oggetto chiamato pipa.
Una didascalia da abbecedario afferma però che no, "Ceci n'est
pas une pipe". A questo proposito scrisse il filosofo Michel
Foucault nel saggio omonimo «Paragonato alla tradizionale
funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente
paradossale. Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha
bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo
familiare). Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare un nome,
lo dà negando che sia tale». La didascalia contesta dunque il
criterio di equivalenza tra somiglianza e affermazione e afferma
che la pipa del quadro è solo la rappresentazione di un oggetto
tangibile che non ha niente a che vedere con essa.
René Magritte (1898-1967), grande protagonista del surrealismo,
dipinse più volte durante la sua vita il quadro con la pipa e la
sua didascalia; la prima volta nel 1926, l'ultima negli anni '60.
Vari i titoli: dal classico Questo non è una pipa a
L'alba agli antipodi, passando per Il tradimento delle
immagini e I due misteri. Mentre in alcune versioni
il quadro è composto semplicemente dalla realistica raffigurazione
di una pipa corredata da una didascalia che contraddice quanto
sopra, in altri il motivo appena descritto appare su di un quadro
(o una lavagna) appoggiato a un cavalletto mentre in alto aleggia
fluttuante una pipa più grande, grigia e indefinita. In questa
versione il mistero s'infittisce: cosa significa la grande pipa
grigia? Sta a simboleggiare l'idea platonica di
"Pipa", aleggiante nell'iperuranio, o è solo un
dispositivo per confondere ancor di più chi guarda? Qual'è insomma
la vera pipa? Nessuna delle due ovviamente. Il messaggio di
Magritte è in fondo abbastanza chiaro, ovvero: attenzione,
rappresentazione non significa realtà, l'immagine di un oggetto non
è l'oggetto stesso! La pipa del quadro non si può fumare così come
le mele delle nature morte non si possono addentare… Foucault vide
nell'arte di Magritte degli elementi ancora più rivoluzionari che
nell'astrattismo di Klee o Kandinskj. Apparentemente lontani, i tre
artisti hanno in comune - secondo il filosofo - l'aver scardinato
il sistema gerarchico, vigente nell'arte, tra realtà,
rappresentazione e significato, in particolare Magritte è impegnato
a «separare scrupolosamente, crudelmente, l'elemento grafico
dall'elemento plastico: se ad essi accade di trovarsi sovrapposti
all'interno del quadro, come una didascalia e la sua immagine, è a
condizione che l'enunciato contesti l'identità esplicita della
figura e il nome che si è pronti a darle».
Nonno Enzo scuote la testa. Che lo prendano pure in giro, i nipoti.
Questa è una pipa, eccome se lo è. E nella nuvola di fumo che
s'alza, lenta, lui continua a vedere quel che sempre ha visto.
Una nuvola di fumo.
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