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Il gioco delle immagini di Tomaso Marcolla

Niente fronzoli, solo il necessario, quello che serve a spiegare in grafica temi e squilibri del nostro tempo

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La nostra esistenza ha la possibilità o meglio la necessità di raggiungere le cose, farle proprie per poi collocarle in un tempo preciso, strappandole all’anonimato, privandole del vuoto che le circonda e dando loro una dimora stabile. Siamo oltremodo costretti a visitare solo spazi marginali per i quali ci siamo in qualche modo preparati, anche se resta impenetrabile e lontano l’orizzonte, proponendoci timide escursioni nelle vie e spazi laterali, con scorciatoie e deviazioni inevitabili.

Il vero amore è una quiete accesa, scriveva Ungaretti ed è, e rimane, il modo migliore per accostarsi alle cose, alle forme dell’arte, alle occasioni d’amore, al vivere.
Le molteplici tecniche, gli spunti e stimoli vari hanno un rapporto stretto tra sentire e prendere, tra contaminazione e certezza, tra intonazioni emotive e rappresentazione immaginaria.
Tutt’altro che convenzionale, Tomaso Marcolla, con la sua concretezza e astrattezza trasfigurata, ci suggerisce un percorso concettuale da intraprendere.

Non per niente, una parte preponderante della sua produzione, quella che lo gratifica maggiormente con puntuali riconoscimenti internazionali, riguarda gli accostamenti (solo apparentemente audaci) tra immagini e simboli, tra fotografia e computer grafica, tra la varietà infinita dei mezzi di elaborazione digitale e il sentire estetico.
Così restiamo affascinati dal suo essere essenziale e incisivo allo stesso tempo, così apprezziamo l’uso del soggetto incastonato in spazi più precisamente delimitati.

Niente fronzoli, solo il necessario, quello che serve a spiegare (anche in maniera cruda) temi e squilibri del nostro tempo.
Non c’è concorso internazionale di grafica che non lo veda protagonista a dimostrazione della capacità profonda sull’uso di quel linguaggio lindo e universale che ormai lo caratterizza da diversi anni.

Roberto Fonte


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