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«Stupro: Una battaglia culturale» – Di Lia Giovanazzi Beltrami

Il commento dell’Assessore provinciale alle Pari opportunità sulla violenza di gruppo

Si è tornati a parlare di stupro in questi giorni a seguito di un pronunciamento della Cassazione che stabilisce la possibilità che agli indagati di una violenza sessuale di gruppo possano essere applicate dal giudice misure cautelari diverse rispetto al carcere (in pratica gli arresti domiciliari).
Il dibattito suscitato dalla sentenza - a dire il vero più nell'universo digitale che sui giornali - sta a significare che si è toccato un nervo scoperto della nostra società, e questo non può che essere un bene: per troppo tempo lo stupro è stato considerato un delitto di seconda categoria, e nella nostra memoria collettiva restano ancora oggi inchiodate le immagini di certe inchieste televisive che, già a partire dagli anni '70, cominciarono a portare all'esterno dei tribunali la realtà dei processi per violenza sessuale.
Ed era una realtà fatta di umiliazioni nei confronti della vittima, una realtà da cui emergeva chiaramente il peggio del peggio di una cultura maschilista che vedeva nella donna nella migliore delle ipotesi una preda consenziente.
 
Da allora vorremmo che le cose fossero cambiate, almeno in parte; non fosse altro per il fatto che lo stupro, dal 2009, è diventato un reato contro la persona, mentre prima era solo un reato contro la morale.
E tuttavia anche oggi questo crimine odioso continua a situarsi in una sorta di zona grigia della coscienza della nostra società.
Ancora oggi esiste un ampio bacino culturale pronto se non a giustificare quantomeno a comprendere le ragioni degli stupratori e a mitigare la portata dello sdegno che invece sempre certi atti dovrebbero suscitare.
 
La sentenza di cui dicevamo ha dato adito ad analisi controverse.
Da un lato c'è chi ha fatto notare come essa sia stata presentata dai media - e decodificata dalla maggior parte delle persone - in maniera probabilmente sbagliata: essa infatti non ha stabilito per la violenza sessuale collettiva una pena più mite rispetto alla violenza commessa da un singolo (come molti hanno pensato) ma che per gli indagati di una violenza di gruppo - non quindi per persone già condannate per il reato commesso - possano essere applicate misure di custodia cautelare diverse dalla detenzione in carcere (come la Corte costituzionale aveva già stabilito nel 2010 nei riguardi di un indagato singolo, se non sussiste il rischio che l'indagato fugga, commetta lo stesso reato o inquini le prove).
 
Sul versante opposto si è detto che la sentenza costituisce effettivamente un insulto al reato di stupro collettivo, perché laddove in un reato sussista l’aggravante di tipo associativo la custodia cautelare in carcere dovrebbe essere obbligatoria (lo è per i reati di mafia).
Quindi creare un precedente di non obbligatorietà alla violenza sessuale di gruppo significa attribuire a questo reato una valenza minore, quando semmai la sua valenza (se ha un senso stabilire delle graduatorie in una materia così orribile) è peggiore.
 
Il rischio è, ancora una volta, di utilizzare un approccio anche culturale non corretto, superficiale ed anacronistico; sì, perché il problema è e continua ad essere anzitutto culturale.
 
Lo stupro nasce da una mentalità, da un humus, da un portato storico che dovrebbe essere stato ormai sepolto per sempre ma che invece non muore mai.
Nasce da un'idea della donna come di un oggetto, da una distorta visione della sessualità che è figlia della violenza anziché dell'amore (non a caso il linguaggio abbonda di metafore che associano la sessualità alla violenza).
 
Le leggi giuste, e la loro giusta applicazione, sono il primo passo, ed è necessario continuare a monitorare con attenzione ciò che avviene sia in Parlamento sia nelle aule dei tribunali.
Ma accanto a ciò, è necessario soprattutto purificare radicalmente il nostro mondo da una visione malata e crudele dei rapporti fra uomini e donne.
Lo possiamo fare partendo dalla scuola, dall'educazione che impartiamo ai nostri figli, così come dalle parole che adoperiamo, da tanti piccoli e grandi gesti che riempiono la nostra esistenza e codificano le relazioni fra le persone.
Lo possiamo fare noi donne, ma dobbiamo necessariamente farlo anche assieme agli uomini; e per fortuna, uomini così ce ne sono molti, uomini capaci di guardare dentro se stessi - se necessario facendo i conti con i lati oscuri che si portano dentro - e di giudicare in maniera obiettiva i comportamenti dei loro simili, esprimendo, quando necessario, una condanna della violenza non meno netta di quella espressa da una donna, da ogni donna.
 
Lia Giovanazzi Beltrami

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