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Il Festival di Sanremo è partito con la predica di Celentano

È venuto a diffondere la sua Verità. E a sputtanare «l’Avvenire» e «Famiglia Cristiana». E Aldo Grasso

Il Festival di Sanremo è partito ieri con una serata decisamente controcorrente.
L’attrezzatura elettronica di voto non funzionava, il che non è poco, ma il bello è stato Celentano che ha rappresentato sostanzialmente se stesso.
Il molleggiato (o l’ex molleggiato, dato che preferisce star fermo e bere acqua) ha parlato di Dio, dei preti e dei frati. Ha sputtanato l’Avvenire e Famiglia Cristiana («che dovrebbero chiudere definitivamente, subito») e, già che c’era, si è tolto un sassolino dalla scarpa dando dell’idiota ad Aldo Grasso del Corriere della Sera («… Ci rattristiamo se un deficiente come Aldo Grasso scrive idiozie sul Corriere della Sera…»).
Poi è seguito un finto litigio tra Celentano e Pupo, per arrivare a una conclusione logica, generica e scontata dei «se» e dei «ma».
Ma cosa avrà mai spinto Adriano a mettere il sedere nei calci?
 
Comunque sia, non sappiamo quanto Celentano abbia divertito il pubblico con queste sparate, che è l’unico metro di misura da adottare in questi casi.
Noi non ci siamo divertiti a sentire il «Re degli ignoranti» a parlare di Dio (o meglio del suo modo di vedere le cose), perché sono argomenti che non andrebbero affrontati a Sanremo e perché, francamente, della sua Verità non sappiamo cosa farcene.
Ma è stato bello sentirlo cantare e questo può giustificare la sua predica naif.
Chi non l’ha presa bene è stato il collega Aldo Grasso, che sul Corriere.it contrattacca il molleggiato sparando a zero contro tutti (Rai e Sanremo), arrivando a invocare l’intervento di Monti.
Un po’ scontata la reazione di Grasso.
«Il Festival è solo una festa del vuoto, del niente, della caduta del tempo e non si capisce, se non all'interno di uno spirito autodistruttivo, come possano essersi accreditati 1.157 giornalisti (compresi gli inviati della tv bulgara, di quella croata, di quella slovena, di quella spagnola, insomma paesi con rating peggiore del nostro), come d'improvviso, ogni rete generalista abbassi la saracinesca…»
In questa maniera, il collega del Corriere della Sera dà importanza alla predica di Celentano, al punto che verrebbe da pensare che anche il suo duello a distanza non sia altro che la versione Celentano-Pupo pilotata da remoto.
 
Con riferimento ai 62 anni di Sanremo trascorsi all’insegna della canzone italiana, non ci sfugge come sia sempre stato lo specchio dei suoi tempi.
Il Vola colomba fu premiato nel 1952, quando era ancora in corso l’esodo degli Italiani dall’Istria e dalla Dalmazia. L’anno dopo fu la volta di Vecchio Scarpone, che a distanza di soli sette anni dalla fine della Guerra mondiale, già ne cantava la nostalgia…
Ci volle l’indimenticabile Domenico Modugno con il suo Volare del 1958 per dare una sferzata di ottimismo alle nostre canzoni.
Per poi arrivare allo stesso Celentano, che non vinse la prima volta a Sanremo nel 1966 con Il ragazzo della Via Gluck (una delle canzoni di maggior successo della musica italiana), ma che vinse tutte quelle dopo per cui gli fu vietato di partecipare ancora.
E così, a 46 anni di distanza, rieccolo nei panni del Salvatore
Che dire? Che il Festival di Sanremo noi non l’avremmo guardato se non fosse venuto Celentano.
Così non avremmo pubblicato questo commento se Grasso non avesse a sua volta scritto il suo.
 
GdM

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