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Cavalese conferisce cittadinanza onoraria ad Alexander Wiesel

Aquila di San Venceslao conferita ad Alexander Wiesel «Straordinario testimone del Novecento»

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Nel tardo pomeriggio di oggi, presso l'affollato Palacongressi di Cavalese, Alexander Wiesel, ebreo ungherese classe 1917, è stato insignito del doppio riconoscimento di cittadino onorario di Cavalese e dell'Aquila di san Venceslao, massima attestazione di stima, eccezionale segno dell'amicizia della terra trentina verso un uomo che ha riassunto nella propria vicenda umana i drammi del Novecento europeo.
A consegnare i riconoscimenti il sindaco di Cavalese Silvano Welponer e il presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti.

«Avere tra i nostri cittadini una persona come l'ingegner Wiesel è per noi un onore - ha detto Welponer consegnando l'attestato - come può esserlo avere tra di noi un esempio vivente dei valori della libertà e della pace.»
Anche Dorigatti ha sottolineato la straordinarietà di questo personaggio, amico della terra trentina,
«uomo che ha sacrificato i propri anni migliori per un sogno di pace».

In un commosso crescendo di passaggi, Dorigatti ha espresso il proprio grazie, a nome dell'assemblea legislativa, a una figura «figlia dell'Ebraismo, una delle fondamentali radici della nostra complessa identità di cittadini d'Europa» e ha consegnato quell'Aquila di San Venceslao che è riprodotta in un'opera del maestro Othmar Winkler e che costituisce «il segno dell'amicizia di questa terra, posta al confine fra la cultura mediterranea e quella nordica».

«Sappiamo che i simboli hanno solo la funzione del racconto - ha concluso il Presidente. - Ebbene, nel donare quest'Aquila noi vogliamo dire non solo delle nostre diverse storie, ma soprattutto del loro intrecciarsi, nel segno dei valori dell'uomo e della libertà.»

A tracciare un accurato profilo del personaggio, scandito da precise memorie della vita di Wiesel, è intervenuto Renzo Fracalossi, che ha pronunciato un'applauditissima «laudatio in honorem», accompagnata da ininterrotti cenni d'assenso dello stesso Wiesel.

Ma l'applauso più lungo ed affettuoso è naturalmente spettato allo stesso Alexander Wiesel che ha preso il microfono (foto) ed è intervenuto in chiusura a dire il proprio grazie per un riconoscimento che non si aspettava.
Si commuove, Wiesel, e fa una lunga pausa quando parla della madre e della sua intera famiglia sterminata dalla Shoah.
Si illumina, Wiesel, quando parla della valle di Fiemme e del Trentino, una terra che dal 1948 frequenta con assiduità, «una terra laboriosa, distinta e operosa, con un ambiente sano e pulito, nel quale in questi lunghi anni sono venuto a recuperare forza ed energia».

«Voi producete tante mele - dice tradendo il proprio umorismo yiddish - e chissà se il paradiso di cui si parla nella Bibbia non sia proprio questo.»
Da oggi Cavalese e il Trentino hnno un cittadino in più: novantaquattro anni portati benissimo, anche «grazie all'aria buona di questa valle».
Un novantaquattrenne che prima di salutarti, quando gli chiedi se ti può far avere qualche foto, ti chiede l'indirizzo email.

ALEXANDER WIESEL

Nasce in Ungheria nel 1917 ed è quindi cittadino ebreo dell'Imperial -Regio Governo Ausburgico.
Si trasferisce, da ragazzo, nel neo costituito stato cecoslovacco e vive a Praga frequentando gli studi superiori.
A seguito degli accordi di Monaco, le truppe naziste occupano i Sudeti e la Boemia, imponendo anche lì quel regime di terrore e di discriminazione antisemita che è forse la caratteristica più spaventosa dell'imperialismo razziale nazionalsocialista.
Alexander Wiesel riesce, nel 1939, a lasciare il Paese con destinazione ufficiale Haiti, ma, per una strana coincidenza della storia, sbarca invece ad Haifa, nei territori sottoposti al protettorato inglese sulla Palestina.

Si tratta di un evento che incide in modo straordinario sulla vita di Alexander Wiesel, il quale allo scoppio della seconda guerra mondiale si arruola volontario nel «Palestine Regiment» nucleo embrionale dell'esercito inglese, dal quale prenderà poi forma la Brigata Ebraica, agli ordini del Feldmarshall Bernard Law Montgomery, con la quale, dopo l'armistizio del 1943, Alexander Wiesel, ufficiale della Brigata e nella stessa pluridecorato con 5 medaglie al valore e menzione all'Ordine del Giorno dell'VIII Armata britannica, sbarca a Siracusa e risale tutta la penisola italiana, contribuendo con valore militare straordinario alla liberazione dell'Italia dal giogo nazifascista.

Dopo molte esitazioni il governo britannico aveva autorizzato la formazione di una brigata di circa 5.000 volontari ebrei da inviare in Europa.
Molti fra questi ragazzi sono veterani dell'Haganah, l'organizzazione segreta negli anni trenta si batte contro arabi ed inglesi per dare un senso allo Stato ebraico di cui si vagheggiava già allora la costituzione.
Sono soldati agguerriti, addestrati, coraggiosi e portano la stella di David cucita sulla manica dell'uniforme a dimostrazione che gli ebrei non sono solo vittime predestinate, ma che hanno la stoffa del combattente che discende dalla tradizione maccabea.

La fine della guerra trova Alexander Wiesel ancora in Italia.
E' un ufficiale valoroso, carico di onori, ma altrettanto privo di notizie sui suoi familiari.
Tutti - tranne uno, suo cugino, che si chiama Elie Wiesel e che sarà premio Nobel della letteratura mondiale - sono evaporati nell'immane, infinita tragedia della Shoah.
Tutti.
Alexander Wiesel è solo, si trova a Bari dove conosce una ragazza e di lei si innamora e la sposa, vivendo nel capoluogo pugliese fino ad oggi.

Dal 1946 al 1985 è titolare di un'importante industria farmaceutica; presidente della categoria chimico-farmaceutica dell'Associazione Industriali di Bari e consulente della Camera di Commercio di Bari.
E' fondatore e Presidente dell'Associazione Italia-Israele di Bari e membro del Consiglio nazionale della stessa.
Presidente della Camera di Commercio Italo-Israeliana; Tesoriere della Associazione Industriale di Bari e responsabile della commissione comunale licenze di commercio del comune di Bari.

Nel 1948 inizia a passare periodi di riposo a Cavalese. Si innamora dell'universo dolomitico e quindi è poi ospite della Val Gardena, del Cadore e dell'Ampezzano, ma è Cavalese che rimane nel suo cuore e, ininterrottamente, dal 1975 ad oggi vi passa consistenti periodi di ferie e riposo.
Stringe conoscenze ed amicizie sul territorio della Magnifica Comunità e forse contribuisce all'indispensabile allargamento di orizzonti culturali ed umani che arricchiscono ancor prima chi li riceve di chi lo offre.

Alexander Wiesel è un testimone straordinario del secolo breve.
Egli ha attraversato l'orrore del Novecento, raccontandolo attraverso la sua esperienza umana e culturale, con una modestia e senza alcun vanto, secondo una tradizione aerica che è componente stessa della cultura profetico ebraica e della migliore storia letteraria dell'Europa.
Uomini come Alexander Wiesel danno un senso all'umanità del nostro tempo, perché ne hanno interpretato la parte migliore, quella cioè che non si è piegata di fronte alla paura, che non si è abbandonata al gorgo del dramma e che ha raccontato ciò che è stato in allora, affinché non debba più ripetersi.
Il rapporto di Alexander Wiesel con Cavalese è il rapporto di un figlio con una terra amata; di un uomo della Mitteleuropa che cerca in una realtà autonoma ed evoluta, come quella cavalesana, i molti sensi delle plurali appartenenze dell'uomo al territorio.

I legami che si costruiscono, nel tempo, fra individui e storie collettive sono ben testimoniati proprio dal rapporto di unicità che lega Wiesel a Cavalese.
Si tratta solo in apparenza di vicende disgiunte e fra loro lontane, mentre in realtà sono proprio luoghi come Cavalese che costituiscono, soprattutto per i figli del grande caos urbano, arcadia felice e quindi scrigno dell'essenza dell' uomo che, nella quiete montana, ritrova il dialogo con se stesso.
Così è accaduto ad Alexander Wiesel, perché altrimenti non si spiegherebbe questo costante ritorno, questo indissolubile rapporto, quest'affetto che si rinnova magicamente ogni anno.
Cavalese diventa così città del mondo, secondo la lezione di Tolstoji, perché è abitata anche da cittadini del mondo come Wiesel, che la rendono più consapevolmente radicata nella sua propria storia ed, al contempo, proiettata verso il futuro.

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