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«Il drago d'oro» di Roland Schimmelpfennig

Sabato 30 marzo all’Auditorium Fausto Melotti in Corso Bettini a Rovereto

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«Il Drago d’oro» è uno spaccato crudele e intricato della società di oggi: una favola nera, surreale, complessa.
Al centro della scena un ristorante thai-cino-vietnamita, «Il Drago d’oro».
In cucina cinque cuochi cinesi, forse vietnamiti, forse una famiglia, accalcati tra wok bollenti: il più piccolo, quello nuovo, ha mal di denti.
Fuori e dentro il ristorante s’intrecciano altre figure, volti della società in cui viviamo: un negoziante, due hostess, un uomo in camicia, una donna in rosso, un pilota, una coppia di giovani, un vecchio... Vittime e carnefici del mondo d’oggi: un microcosmo definito dalla legge del possesso, basato sull'accumulo, sul trionfo della merce; oggetti da comprare, usare e buttare via.
«È una società di persone sole, di consumatori bulimici, di spettatori assuefatti, dagli orizzonti corti e frammentati.» [Alexander Langer]
 

 
 IL PROGETTO ARTISTICO 
Il progetto nasce dopo un periodo di ricerca e studio della drammaturgia contemporanea europea al fine di indagare l’ampio e dibattuto tema dell'Identità all’interno dei suoi confini.
Identità in via di definizione in un’epoca di sparagmòs sociale: lo squartamento morale e fisico della società, la sua disgregazione e dissoluzione nei rapporti umani in un clima di allerta e terrore dove le cellule impazzite vagano senza regole e controllo.
Un’epoca di grandi migrazioni e disuguaglianze sociali dove la ricerca di profitto e l’individualismo sfrenato sembrano essere un denominatore comune.
L’intento di lavorare su queste tematiche ha portato la compagnia a individuare e scegliere il drammaturgo tedesco Roland Schimmelpfennig, autore capace nelle sue opere di farsi portatore della complessità della società di oggi in modo crudo ed evocativo allo stesso tempo.
«Il Drago d’oro», testo inedito in Italia, è proprio questo: uno spaccato crudele e intricato della società di oggi, un microcosmo di relazioni, incontri, coincidenze, dinamiche famigliari, giochi di potere, violenze.
La violenza sembra essere l’unica forma di evasione dalla prigione che la società stessa ha costruito per i suoi individui, costretti a lottare, ad apparire, a sfruttare e sopraffare l’altro al fine di sentirsi, in uno stato di costante sopravvivenza, vivi.

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