Con Ascanio Celestini, chiude Solstizio d'Estate
Il gran finale di Solstizio d’Estate è affidato ad Ascanio Celestini: con la sua ballata dei senzatetto si chiude la ventinovesima edizione

Solstizio d’estate 2019 è giunto all’ultimo spettacolo, ma seguendo la propria anima vagabonda, l’ultima tappa non poteva che essere un nuovo viaggio.
Un viaggio improvvisato fra storie di vita, di fame, di ricerca, di rinascita: «La Ballata dei senzatetto» prezioso monologo di Ascanio Celestini, andrà in scena venerdì 21 giugno alle 21.30 nel giardino di Casa Menestrina a Mezzocorona.
Il barbone di Laika o la barbona di Pueblo, la cassiera del supermercato e la Vecchia, che va a fare la spesa insieme alla prostituta: una ballata in continuo movimento di personaggi, di «ultimi» in cerca d’attore, nati e cresciuti nelle tappe precedenti della produzione di Celestini.
Giobbe l’analfabeta che conosce il grande magazzino a memoria, il magazziniere che odia lo zingaro diventano dunque parti di una narrazione che attraversa tre spettacoli, una trilogia fatta di tanti personaggi che si muovono in un unico ambiente.
Una periferia, che ruota attorno a due parcheggi, quello del supermercato e quello di un grande magazzino pieno di pacchi.
A raccontare, Il narratore per eccellenza: alle volte in scena è ciò che conosce, altre è quel che immagina, mentre le figure si alternano fra loro come carte di un mazzo spaiato, alla ricerca di un posto in un modo che sembra aver dimenticato sè stesso.
L’ascolto della realtà e la sapiente drammatizzazione di volti e storie, che nella periferia vissuta da Celestini brulicano invisibili sotto gli occhi di tutti, diventano nell’oralità del racconto in scena un patrimonio collettivo rimaneggiato tra il passato di Laika e Pueblo, il presente e il futuro dello spettacolo che verrà, rendendo allo spettatore un’esperienza diversa e nuova anche nel ritorno dei temi e dei personaggi.
Non è una replica su copione ma un incontro in un preciso intervallo di spazio e di tempo, tenuto poeticamente in alto dall’autore-narratore, senza il quale le parole e le immagini non diventerebbero teatro, un teatro intimamente civile, sentito e profondamente attuale.
Accanto alla periferia fisica ce n’è infatti una, gretta e sconfinata, umana e tutta italiana, fatta di discorsi da bar e di frasi che se fossero finte farebbero ridere e invece sono tristemente sentite davvero, frutto di convinzioni sulla razza e sul futuro del Paese da buio etico.