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«La Piazza per Aria» stavolta è Gardolo – Di Luciana Grillo

Nostra intervista all’attrice Marta Marchi che ha scritto e condotto l’intero programma con Guido Laino

«Il Funambolo», Associazione che coniuga il cinema con le arti, la letteratura con la creatività, oltre a offrire una nuova sede per laboratori di vario genere e una nuova Associazione che ruba il nome a uno dei fratelli Marx - HarpoLab - propone per il terzo anno un podcast sostenuto dal Comune di Trento e dalla Fondazione Caritro, dedicato ai quartieri di Trento, in onda tutti i venerdì alle 12,30 su http://www.sanbaradio.it.
Questa volta al centro di «La Piazza per Aria» c’è Gardolo.
Si tratta di racconti fatti di voci, musica, suoni e interviste, ossia «le voci del quartiere» raccolte da Marta Marchi che ha coordinato, scritto e condotto insieme a Guido Laino l’intero programma, al quale poi hanno offerto collaborazione anche Alberto Mattedi, membro dell’Associazione «La colonia di Gardolo» e del «Gruppo di Roncafort», la Corale «Bella Ciao», l’Associazione «Spazio Piera», Giovanni Melchiori, Stefania Segatta ed Eugenio Zazzara.
Lo scorso venerdì, 10 novembre, presso il trentino Social Tank, a Gardolo, c’è stata una sorta di inaugurazione-presentazione del podcast e dei collaboratori.
A Marta Marchi, che conosciamo come attrice, abbiamo posto alcune domande.

Quando era una bambina, cosa avrebbe voluto fare da grande?
«Da piccola avevo la passione per lo spazio, mi sarebbe piaciuto fare l’astronauta. Durante l’ultimo anno di scuola materna, passavo il tempo a sfogliare libri di astronomia e a studiare i nomi di pianeti e stelle.»
 
Qual è stato il suo percorso di studi?
«Già alle medie desideravo andarmene da Trento e trovare occasioni di studio fuori, per me “fuori” era ovunque non fosse la mia città. Avrei voluto partire con Intercultura per il quarto anno all’estero (tra i paesi avevo individuato Finlandia, Francia e Portogallo) ma i costi erano troppo elevati.
«Fortunatamente la Regione metteva borse di studio a disposizione di trentini e altoatesini per andare in Germania o in Austria a imparare il tedesco. Così ho potuto frequentare la quarta superiore a Vienna in un liceo musicale dove, oltre al tedesco, ho studiato pianoforte.
«La scuola era privata, di stampo cattolico e ricordo la traumatica cena alle 17:30 e la luce che si spegneva per forza alle 22:00!
«L’esperienza, inizialmente faticosissima, ma poi meravigliosa, mi ha portato a desiderare una rapida ripartenza. Così dopo la quinta (frequentavo il Liceo Da Vinci di Trento) ho vissuto 9 mesi in Turchia grazie al progetto EVS (volontariato europeo).
«Al liceo, mi ha segnata il laboratorio teatrale condotto dal Prof. Amedeo Savoia, una vera e propria fucina di teatro civile (abbiamo lavorato sul G8 di Genova, sulle dittature in America latina...) e il laboratorio di teatro organizzato sempre dal Prof. Savoia nel carcere di Trento che mi ha permesso di approfondire il tema e portarlo come tesina all’esame di maturità.
«Mi sono iscritta all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove ho studiato turco e arabo. Degli anni di università ricordo le bellissime trasferte di studio all’estero: un mese nello Yemen, sei mesi di studio all’Università di Damasco in Siria e sei mesi di Erasmus a Istanbul, all’Università del Bosforo, la più prestigiosa della Turchia.
«Dopo l’università, alla ricerca di un’esperienza formativa più concreta e pratica, mi è tornata in mente l’esperienza teatrale e un po’ per caso ho fatto il provino per entrare nell’Accademia teatrale veneta (oggi Accademia Carlo Goldoni). Lì ho frequentato il triennio ottenendo il diploma di attrice.»
 
Come ha reagito la sua famiglia di fronte alla decisione di fare l’attrice?
«Sinceramente non ricordo il momento preciso in cui ho scelto di fare l’attrice. Il mio percorso è stato variegato e mobile e la possibilità di cambiare strada è stata ed è tutt’ora dietro l’angolo.
«La mia non era una famiglia abituata a frequentare i teatri, però c’è sempre stato il sostegno per i percorsi che volevo intraprendere.
«Credo che la mia passione e dedizione non lasciassero spazio a dubbi. La mia famiglia è stata sempre partecipe del mio percorso e, da quando faccio teatro, ha visto una grande quantità di spettacoli e eventi performativi.»
 
Quando ha cominciato a lavorare in teatro?
«Nel 2012, anno in cui mi sono diplomata.»
 
Ha la possibilità di scegliere fra generi diversi (teatro drammatico - classico - comico)? E quali sono state fino ad ora le esperienze più interessanti?
«Dopo alcune esperienze, sono diventata free lance e mi sono imbattuta in progetti teatrali eterogenei. Amo lavorare con colleghe e colleghi diversi e su linguaggi differenti.
«Mi piace pensare che ogni occasione lavorativa sia anche un’occasione formativa. Il lavoro dell’attore richiede un costante allenamento corpo/voce/anima che non può essere svolto solo individualmente, i percorsi lavorativi fungono dunque anche da palestra e studio.
«Sicuramente un lavoro molto ricco e significativo è stato quello pluriennale che abbiamo svolto con Evoè!Teatro su Cechov.
«Dopo vari laboratori di studio su più testi, ci siamo concentrati su “Il gabbiano” che abbiamo messo in scena nella sua interezza.
«Molti dei personaggi femminili di questo autore mi sono ancora vicini, quasi fossero dei pezzi del mio passato… penso a Nina e Arkadina (Il gabbiano), a Sonja e Elena Andreevna (Zio Vanja), a Olga, Mascia e Irina (Le tre sorelle).»
 
Ha mai ricevuto proposte «imbarazzanti»?
«No, non ricordo proposte imbarazzanti. Ci tengo però a citare la nascita dell’Associazione Amleta durante il primo lockdown, per denunciare i casi di discriminazione e violenza nel mondo dello spettacolo e per segnalare e contrastare le disparità di genere.
«Le testimonianze di molestie emerse nella campagna “Apriamo le stanze di Barbablù” sono moltissime, insieme alla difficoltà di denunciare e alle scarse tutele per le attrici.
«Si tratta di un mondo di ampia prevalenza maschile in tutti i settori (direzione, regia, drammaturgia, comparto attoriale, comparto tecnico).»
 
Se ricevesse proposte di lavoro lontano da Trento, accetterebbe?
«Negli ultimi anni (soprattutto a seguito della pandemia) ho rafforzato i rapporti locali e concentrato la mia attività principalmente in regione (a parte le trasferte con spettacoli che prevedono tournée).
«Fare teatro implica una buona predisposizione a muoversi e a pensare a progetti in zone diverse d’Italia. Le produzioni teatrali si sviluppano sempre di più in residenze che coinvolgono territori e teatri diversi.
«A me piacerebbe implementare i lavori fuori Trento che, per quanto lunghi, non superano il mese di impegno a progetto.»
 
Come immagina il suo futuro di donna e di attrice?
«Come attrice da sempre cerco di costruirmi dei piani b in termini lavorativi. Il settore teatrale è precario ed è difficile immaginare una prospettiva. Inoltre, il lavoro in questo settore è sottopagato. Le persone devono quindi sommare molti lavori per arrivare a uno stipendio dignitoso.
«Ho spesso pensato di cambiare vita e reinventarmi in un altro settore, poi ogni volta spuntavano nuove occasioni lavorative e i cambi vita rimanevano solo ipotesi.
«Negli ultimi anni mi sono avvicinata alla pratica dello yoga e sto per frequentare un percorso di abilitazione all’insegnamento. Probabilmente negli anni affiancherò questa attività a quella teatrale.
«Vorrei fare sintesi e integrare le varie competenze acquisite nell’ambito dei laboratori teatrali per l’infanzia; sempre come formatrice, sviluppare confronto e dialogo con colleghe e colleghi; sviluppare, oltre all’attività teatrale, quella legata alla creazione di contenuti audio (podcast) e “La piazza per Aria” va proprio in questa direzione; continuare un percorso di formazione per sviluppare progetti accessibili al pubblico meno abituato a frequentare il teatro.
 
A livello di immaginazione, faccio fatica a pensare al futuro, probabilmente perché sono una persona pragmatica e ancorata al presente.
E non posso che immaginare un teatro aperto e inclusivo con artisti e artiste coraggiosi e visionari.

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