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Lo studio del MUSE: coesistere con i grandi predatori

Un nuovo studio indaga complessità e sfide nelle interazioni tra esseri umani e grandi carnivori a scala mondiale

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Leopardo - Foto di Giulia Bombieri.
 
Lo studio, condotto dal MUSE insieme a una trentina di enti di ricerca internazionali e pubblicato su PLOS Biology, ha raccolto e analizzato 70 anni di segnalazioni relative ad attacchi a persone da parte di 12 specie di grandi carnivori in tutto il mondo.
Identificati i principali fattori che determinano il verificarsi di questi attacchi e le specie principalmente coinvolte (felidi e canidi). Si tratta del primo studio globale su questo tema.
I grandi carnivori da sempre affascinano e ispirano le società umane, ma possono allo stesso tempo costituire una minaccia per le persone che si trovano a dover condividere con loro ambiente e risorse.
 
Seppure si tratti di eventi molto rari, gli attacchi dei grandi carnivori alle persone rappresentano una delle sfide di conservazione e coesistenza più complesse, in quanto possono influire, direttamente o indirettamente, anche sulla conservazione dei grandi carnivori stessi.
Gli animali coinvolti in questi eventi, infatti, vengono spesso abbattuti o rimossi durante o dopo l’incidente. Inoltre, anche grazie all’attenzione mediatica che attirano, questi eventi possono influenzare drasticamente le attitudini delle persone nei confronti delle specie coinvolte.
È quindi prioritario riuscire a ridurre questo tipo di incidenti e - a tal fine - risulta fondamentale acquisire conoscenze approfondite sulle dinamiche e sui fattori che possono aumentarne il rischio.
 
In alcune regioni del mondo, inclusa l’Europa, i grandi carnivori stanno ricolonizzando i loro areali storici, a seguito di diverse trasformazioni sia ambientali che socioeconomiche.
Questo ritorno ha portato popolazioni di grandi carnivori a insediarsi in aree in cui gli habitat sono frammentati e occupati da città, strade, terreni agricoli, e altre attività umane. In queste aree, i conflitti possono essere particolarmente aspri, poiché le persone non sono più abituate a convivere con i grandi predatori.
In altre aree del mondo, invece, le popolazioni di grandi carnivori sono in declino a causa dell'espansione delle popolazioni umane che causano distruzione, frammentazione e degrado degli habitat. In entrambi gli scenari, la stretta coesistenza che ne deriva comporta inevitabilmente un aumento delle interazioni con le comunità locali.
 

Orso bruno - Foto di Vincenzo Penteriani.
 
In un nuovo studio pubblicato sulla rivista PLOS Biology la ricercatrice del MUSE, insieme a diversi altri esperte ed esperti internazionali, ha raccolto e analizzato oltre 5.000 casi di attacchi alle persone registrati tra il 1950 e il 2019.
La ricerca si è concentrata sulle specie di grandi carnivori terrestri maggiormente coinvolte in questo tipo di conflitti, tra cui anche tigri, leoni, orsi e lupi e ha considerato solamente quelle interazioni in cui il contatto fisico con l’animale ha portato al ferimento o alla morte della persona coinvolta.
L’indagine ha evidenziato interessanti differenze negli scenari e nelle frequenze in cui avvengono queste interazioni negative.
Differenze legate sia alla diversa ecologia delle specie considerate, sia al contesto socioeconomico e ambientale locali.
 
Gli attacchi avvenuti nelle aree cosiddette ad alto reddito, come ad esempio Europa e Nord America, si sono verificati più comunemente mentre le persone coinvolte stavano svolgendo attività ricreative, come escursionismo, campeggio o passeggiate con i cani, mentre quasi il 90% degli attacchi registrati nelle aree geografiche a basso reddito si è verificato durante attività di sostentamento come l'agricoltura, la pesca o il pascolo del bestiame.
 
«Felidi e canidi – spiega la ricercatrice del MUSE Giulia Bombieri – sono risultati i gruppi di specie maggiormente coinvolti in attacchi predatori, i più letali per le persone, mentre gli attacchi da parte di orsi sono quasi sempre difensivi, per esempio nei casi in cui questi vengono inavvertitamente sorpresi a distanza ravvicinata, oppure in difesa dei cuccioli o di fonti di cibo.
«La maggior parte degli attacchi mortali è stata registrata nei Paesi a basso reddito, nei quali si è verificata gran parte degli attacchi predatori da parte di grossi felidi come leoni e tigri.»
 

 
Notevoli differenze sono state riscontrate anche nelle circostanze e frequenze di attacchi da parte della stessa specie in aree geografiche diverse, a dimostrazione di come il contesto ambientale e socioeconomico umano siano fattori determinanti nel definire la tipologia di rapporti e interazioni tra persone e grandi carnivori.
Secondo autrici e autori, gli approcci per ridurre questo tipo di conflitti dovrebbero quindi essere adattati non solo alle specie, ma anche al contesto socioeconomico e ambientale in cui si opera.

Appare chiaro che nei Paesi ad alto reddito, dove la maggior parte delle interazioni con i grandi predatori avviene quando le persone entrano in aree frequentate dai grandi carnivori per svolgere attività ricreative e dove gli attacchi sono soprattutto una conseguenza di comportamenti inappropriati da parte delle persone, campagne di educazione rivolte a visitatori e residenti nelle aree con grandi carnivori sui comportamenti da adottare possono risultare efficaci per ridurre in maniera importante questo rischio.
 
Al contrario, nei Paesi a basso reddito, dove la coesistenza con i grandi carnivori è per lo più involontaria e obbligata, e gli attacchi di tipo predatorio sono più frequenti, le strategie per migliorare la coesistenza tra comunità locali e grandi predatori sono sicuramente più complesse e rappresentano una sfida importante.
 
Leggi l’articolo in PLOS Biology a questo link.
Provenienza degli autori: Italy, Spain, Iran, Turkey, Germany, India, United States of America, Mexico, Tanzania, Venezuela, Russia, Nepal, Kenya, Malaysia, Japan.

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