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Due timidissimi «sauri piumati» al MUSE

Due giovani basilischi hanno trovato casa al museo, cresciuti e accuditi dallo staff fin dai primi giorni di vita

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Da oggi, due giovani basilischi abitano un ampio terracquario al secondo piano del MUSE.  I due esemplari hanno otto mesi di vita e sono appena stati inseriti nella vasca, pronti per incontrare il pubblico. Ancora un po’ timorosi, ci vorrà del tempo perché si abituino all’andirivieni di visitatori e visitatrici curiosi e comincino a fare capolino con maggiore frequenza tra la vegetazione della loro nuova casa per farsi ammirare e conoscere.
«Basilisco» è anche il nome di una creatura leggendaria, un essere letale, capace di pietrificare con il solo sguardo e uccidere con il fiato. Dal punto di vista dell’aspetto, il basilisco mitologico è stato descritto in molti modi diversi: gli antichi greci lo ritenevano un piccolo serpente con la cresta, altri lo credevano un animale enorme, altri ancora una lucertola con ali spinose, testa e zampe di gallo e coda di serpente.
 
Quello che possiamo ammirare oggi al MUSE è invece il basilisco piumato (Basiliscus plumifrons), una lucertola che vive in centro America e che ha ereditato solo il nome – che significa «piccolo re» - dalla creatura mitologica.
I due esemplari (che sono fratelli), sono giunti al museo provenienti da un allevatore del Veneto e sono in realtà, già da mesi, ospiti della struttura. In uno spazio appartato e dedicato alla cura degli animali vivi, sono stati cresciuti e accuditi dalla referente del museo che si occupa degli animali, mentre il loro terracquario veniva allestito e in attesa che crescessero in dimensioni e diventassero più confidenti e più inclini a farsi osservare.
 

 
«All’inizio – spiega Francesca Rossi – erano molto timorosi e tendevano a restare nascosti o a fuggire nella vegetazione alla vista di un estraneo. Li abbiamo ospitati all’interno di un terrario allestito con zone d’acqua e piante per ripararsi ad una temperatura di 22°C con una zona di basking a 35 °C in cui potevano riscaldarsi. E li abbiamo alimentati con piccoli grilli (Acheta domestica). Adesso che siamo in febbraio, hanno raggiunto i 35 cm di lunghezza, è comparsa una piccola cresta dietro la nuca ad entrambi e stanno diventando più confidenti. Restano sempre molto vicini ma dimostrano già due caratteri diversi, uno è ancora timoroso e fugge a nascondersi, l’altro invece rimane tranquillo ad osservarci.»
 
Anche se hanno ormai 8 mesi non è ancora possibile stabilire il sesso dei due esemplari. Entrambi mostrano solo due piccoli abbozzi di cresta sulla testa, elemento che differenza i maschi dalle femmine e che si forma molto lentamente. Tra qualche mese, la femmina avrà solo una piccola cresta in corrispondenza della nuca mentre il maschio ne avrà tre: una sulla testa, una sulla schiena e una lungo la coda.
 

 
  PERCHÈ AVERE DEI BASILISCHI AL MUSEO? 
L’acquario marino e il terracquario al piano dedicato alla geologia e alla nascita delle Dolomiti, rappresentano l’ambiente che oggi domina nei settori geografici nei quali nel triassico si stavano formando le Dolomiti e costituiscono un “analogo ecologico”. Nelle aree tropicali - ieri e oggi - c’è sovrasaturazione di carbonati, che in passato venivano fissati da batteri e alghe, oggi dai coralli. Ciò spiega la presenza nel museo dell’acquario marino. Seguendo questo ragionamento, tra gli isolotti tropicali - sub tropicali del triassico medio delle Dolomiti, in ambienti vegetati di bassa costa, vivevano notosauri, tanistrofei e altri rettili oggi completamente estinti. In ambienti analoghi in Centro e Sud America vivono oggi dei rettili legati agli ambienti acquatici come i basilischi che possiamo ammirare al museo.
 
  IL LORO TERRACQUARIO 
Il terracquario che ospita i giovani basilischi rappresenta un ambiente tropicale dove la porzione di terra e tronchi è circondata da acqua, una sorta di isolotto vegetato. La restante parte di vegetazione cresce in verticale sulle pareti di sfondo del terracquario a rappresentazione di quegli ambienti tropicali tipici delle pareti rocciose umide, vicino a cascate o in luoghi soggetti a gocciolamento.
 
«Sono state create due pareti verdi seguendo i principi del Vertical Garden e ispirandosi ai lavori realizzati dai grandi del settore come Patrick Blanc - ci racconta Francesco Blardoni, botanico del museo che ne ha curato la realizzazione assieme a Jessica Zanotti. Per quanto riguarda le specie vegetali piantumate abbiamo dovuto operare una scelta legata alle specie capaci di adattarsi all’alta umidità e con un apparato radicale capace di sopportare un substrato perennemente intriso d’acqua (una sorta di coltivazione in idroponica). Le piante utilizzate provengono da diverse parti del mondo, dall’endemismo italiano Soleirolia soleirolii alla Scindapsus officinalis dell’Himalaya, alla Cyperus diffusus delle foreste subtropicali dell’Asia, alla Paracostus englerianus dell’Africa, ad alcune bromelie del Sud America e carici della Nuova Zelanda».
 
Una vegetazione di fantasia che ricongiunge vari continenti, una sorta di ricostruzione della Pangea che ci fa riflettere sulla deriva geografica delle specie, sui loro adattamenti simili seppur in contesti molto lontani e sui cambiamenti climatici avvenuti durante la storia della terra, tanto da dover immaginare le Dolomiti come un mare tropicale con isole coperte di vegetazione lussureggiante.

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