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«Educa»: conclusa a Rovereto la VI edizione del festival

Tanti ospiti, sale affollate e una quarantina di appuntamenti in questi due giorni

Dopo due anni di pausa, è stato accolto con grande entusiasmo il ritorno di EDUCA, il festival dell'educazione che per due giorni si è svolto a Rovereto. Sale, e teatri affollati per Vito Mancuso, Giulio Giorello, Daniele Novara, Marco Rossi Doria, Gustavo Pietropolli Charmet e i molti altri ospiti di fama nazionale hanno accompagnato il pubblico in un percorso che, partendo dal tema «Desiderio e Conflitto» ha affrontato questioni centrali di un'educazione.
Un'educazione che va ripensata e che investe famiglie e scuole, ma riguarda anche lavoro e politiche di conciliazione, gli spazi da abitare, il cibo, le relazioni tra culture, la scienza, la dimensione spirituale e religiosa. Grande adesione anche per la campagna di sensibilizzazione «L'educazione mi sta a cuore» che come il festival ha l'obiettivo di rimettere l'educazione al centro dell'attenzione collettiva, sociale e politica.
 
 Desiderio e conflitto: la sintesi del festival 
«Litigare fa bene!», questa la provocazione con cui Daniele Novara, pedagogista fondatore del Centro per l'educazione e la gestione dei conflitti di Piacenza, ha aperto la VI edizione di EDUCA.
«Ogni giorno ci troviamo in situazioni di contrasto ma le superiamo; siamo toccati solo da quelli che ci fanno rivivere i nodi dolenti della nostra infanzia.
«È importante perciò apprendere fin da piccoli a gestire i conflitti; non fuggire né cercare subito la soluzione individuando il colpevole, ma so-stare e comunicare con gli altri; il dialogo infatti evita che il contrasto diventi litigio e sfoci in violenza.
«Novara ha invitato i genitori e gli insegnanti a non alzare la bandiera dell'emergenza o della tensione, ma a lavorare sulla capacità dei figli e degli studenti.»
 
Il conflitto è stato anche tema del confronto tra il filosofo della scienza Giulio Giorello e il teologo Vito Mancuso che ne hanno discusso guardandolo nell'ottica delle relazioni tra culture e interrogandosi se scienza e religioni siano causa di scontro o possano alimentare il dialogo.
Giorello crea il neologismo scontato di «fascismo religioso»: una forma cioè di totalitarismo generato da fondamentalismo religioso, non solo riferendosi al facile esempio dell'Islam, ma anche a forme più subdole e meno evidenti di forzature di potere e di comportamento individuale nel nome della fede.
Ma in questo modo le religioni vengono schiavizzate dal potere.
«Liberiamo Dio da chi lo vuole asservire a queste tensioni distruttive» è dunque l'appello di Giorello, che aggiunge: «Da uomo senza nessuna chiesa esigo che vengano mantenute tutte le Chiese, perché appartengono alla nostra storia».
La religione in Occidente non é stata all'altezza dello sviluppo della scienza, della cultura, della società. Questa la tesi espressa da Vito Mancuso secondo il quale ci si deve preoccupare del fatto che la religione oggi tenda a una dimensione tutta pubblica e che non si occupi più della dimensione individuale, di quella solitudine dell'uomo che significa raccoglimento in sé.
È qui che la religione deve fare il suo mestiere.
 
Le riflessioni dei due studiosi sono state in un certo senso riprese e approfondite in serata dall'attore e drammaturgo Andrea Baliani, che per due ore ha incantato nel Teatro Zandonai il pubblico con Tracce, un'affabulazione che da anni l'attore propone e che ha riveduto traendo ispirazione dal tema del festival.
L’umanità occidentale - ha raccontato Baliani - ha trasformato la natura intorno a sé, senza chiederne il permesso; ha perso la cultura dell'oralità e la capacità di dare anima alle cose.
«Perché – si è chiesto Baliani – non educhiamo allo stupore delle fiabe, all’irrazionale, all’assurdo, all’ignoto, all’imponderabile e all’indicibile che la vita ci riserva? Le fiabe sono pozzi di misteri, cose da conoscere e sapere.»
Un grande maestro per Baliani sa «sedurre», nel senso di «sviare»: «e-ducare» significa «portar via da», e «i maestri ci sanno proprio sviare e condurre altrove, dove altrimenti non andremmo. Per questo educare è molto più che insegnare una materia».
Di Maestri hanno parlato anche Piergiorgio Reggio dell'università Cattolica di Milano e il filosofo don Marcello Farina: anche oggi maestri del vicino passato, come Don Milani e Hannah Arendt possono suggerire delle vie da seguire, per ridare «potere alla coscienza, dopo aver dato per tanti secoli coscienza al potere», come diceva Don Primo Mazzolari.
Occorre recuperare l’esempio di persone che non si sono accontentate di adattarsi comodamente al proprio tempo segnato dai dogmatismi, anche cattolici, ma hanno provato in prima persona a rivoluzionarlo dall’interno, concentrandosi sulla centralità di chi impara, piuttosto che di chi insegna.
Solo così si riuscirà a ricreare una relazione di sana asimmetria, ad abbattere le frontiere tra la scuola e la vita e costruire giustizia.
 
Di scuola che accoglie e accompagna hanno parlato anche Marco Rossi Doria esperto di politiche educative già sottosegretario all’istruzione e il medico psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet.
Il primo ha evidenziato come l’innovazione del sistema scolastico sia un percorso urgente nel Paese, ma che non sempre il pubblico mette a disposizione il budget necessario.
«Il Trentino questa scelta l’ha fatta, avviando ad esempio il progetto Campus». Per Pietropolli Charmet «è indispensabile ricreare l’alleanza educativa fra scuola e famiglia e che la scuola riacquisti significato simbolico ed istituzionale».
Oggi tutto è in cambiamento anche le due esperienze umane che più rappresentano il desiderio come forza generatrice: la paternità e la maternità. Si tenta di trovare nuove definizioni che lasciano però insoddisfatti: padri in crisi, in fuga, padri - mammo o peluches; e ancora di madri-coccodrillo, madri-narcise.
Secondo Ivo Lizzola - docente dell’Università di Bergamo e autore del libro «La paternità oggi. Tra fragilità e testimonianza» - non esiste più il padre che garantisce e assicura il futuro come era nelle generazioni precedenti.
 
«Oggi è piuttosto il ponte del possibile, colui che testimonia che si può stare in piedi anche un po’ controvento, che sa stare sulla soglia dei tempi nuovi col figlio e accompagnarlo mostrando vulnerabilità».
È questo il terreno su cui oggi i padri possono riconquistare autorevolezza, in un momento come quello attuale in cui è venuta meno la stabilità. Il padre diventa così il presidio della possibilità di rinascere, di sentirsi anche disadattati; invita a raccontare e desiderare.
A differenza del bisogno, che deve essere subito soddisfatto, il desiderio apre infatti il tempo sul futuro, pone lo sguardo sull’orizzonte.
E per quando riguarda le madri?
«Il 75% degli italiani – ha affermato Barbara Poggio dell’Università di Trento – pensa che se le mamme lavorano i figli soffrono. Si tratta del dato più alto in Europa.
«Ci si deve rendere conto che la realtà cambia, che non esistono più categorie predefinite e riconoscere che ci sono molteplici modi essere madri.»
Concorde la scrittrice e illustratrice Arianna Papini: «la mamma dovrebbe essere accolta, accudita e non giudicata. Tutti, dai parenti agli educatori fino alle istituzioni, dovrebbero rispettare l’unicità del rapporto col figlio».

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