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Si è spento a Roma Oscar Luigi Scalfaro, aveva 93 anni

Emerito Presidente della Repubblica, fu il più strenuo difensore della Costituzione

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Si è spento a Roma Oscar Luigi Scalfaro, emerito Presidente della Repubblica.
Nato a Novara il 9 settembre 1918, aveva compiuto 93 anni.
Divenne magistrato, ma dedicò la sua vita alla politica.
Fu eletto deputato ininterrottamente dal 1946 al 1992, quando, durante la sua presidenza della Camera dei deputati, fu eletto Presidente della Repubblica.
In precedenza era stato Ministro dell'Interno nel Governo Craxi I.
Era senatore a vita aderente al Partito Democratico.
 
Ancora dodicenne Scalfaro si iscrisse alla Gioventù Italiana di Azione Cattolica, appartenenza che ha sempre ostentato e sin da giovanissimo partecipò all'attività dell'Azione Cattolica, in un periodo in cui questa organizzazione veniva avversata dal fascismo.
Si laureò in Giurisprudenza nel 1941 all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ed entrò in magistratura nel 1943, prestando giuramento di fedeltà al fascismo.
Il 26 dicembre 1943 sposò a Novara Maria Anna Inzitari (1924-1944), dalla quale ebbe una figlia, Mariannuzza Giannarosa, nata a Novara 27 novembre 1944.
 
Dopo il 25 aprile 1945 fece richiesta per entrare nelle Corti d'Assise straordinarie, istituite con giuristi volontari il 22 aprile su richiesta degli angloamericani per porre un freno ai processi sommari del dopoguerra contro i fascisti, talora degenerati in veri e propri linciaggi.
Queste corti vennero chiamate Tribunali speciali.
Nel luglio 1945 sostenne con altri due colleghi la pubblica accusa al processo che vedeva imputati per «collaborazione con il tedesco invasore» l'ex prefetto di Novara Enrico Vezzalini e i militi Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno e Raffaele Infante.
Dopo tre giorni di dibattimento venne chiesta per i sei la condanna a morte,che venne eseguita il 23 settembre successivo. I condannati non vennero uccisi alla prima maldestra raffica dell'inesperto plotone di esecuzione e sui corpi si accanì poi un gruppo di donne.
In veste di pubblico ministero presso queste corti, Scalfaro ottenne un'altra condanna capitale. La condanna tuttavia non fu eseguita a causa dell'accoglimento del ricorso in cassazione del condannato Stefano Zurlo. Ricorso suggerito, a quanto sostiene Scalfaro, dallo stesso Scalfaro.
Come membro dell'Assemblea Costituente Scalfaro si impegnò poi affinché fosse eliminata la pena di morte dalle leggi della Repubblica Italiana.
 
Alle elezioni per l'Assemblea Costituente si presentò candidato come indipendente nella lista della DC, dopo che a livello nazionale era stato deciso l'appoggio aperto della gerarchia ecclesiastica e delle organizzazioni cattoliche al partito, in funzione di resistenza alla possibile conquista del potere da parte dei social-comunisti (Fronte popolare).
Fu eletto con oltre quarantamila preferenze, un numero rilevante per i tempi e superiore al risultato ottenuto da personaggi politici del collegio come Giuseppe Pella e Giulio Pastore.
Lasciò la toga per la politica nel 1946: fu eletto a Torino, fra i più giovani nelle file della Democrazia Cristiana, all'Assemblea Costituente che doveva redigere una nuova Carta Costituzionale.
Anticomunista e antifascista, si iscrisse finalmente alla DC e partecipò alla battaglia politica del 1948 senza abbandonare per questo l'Azione Cattolica che, presieduta da Luigi Gedda, appoggiava la DC con Comitati Civici istituiti per l'occasione; ottenne oltre cinquantamila preferenze.
 
Politicamente, Scalfaro fu schierato all'ala destra della Democrazia Cristiana.
Pur avendo sempre goduto di grande stima (ricambiata) da parte di Alcide De Gasperi, il suo punto di riferimento fu Mario Scelba, che durante il suo governo lo chiamò a ricoprire il suo primo incarico di governo nel ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e al Turismo e spettacolo.
Questo incarico gli procurò molte noie e molta pubblicità. Nelle competenze del sottosegretario c'era anche quella censoria nei confronti dei film, la cui ammissione al circuito nazionale poteva essere negata se considerati contrari alla pubblica decenza od ammessa solo a condizione che alcune scene (poche o tante che fossero) venissero tagliate.
In risposta al suo operato in tale campo vi fu un fiorire di attacchi ironici da parte della stampa laica che lo gratificò dei nomignoli più bizzarri e sarcastici. Contro di lui si spesero penne come Giovannino Guareschi e Curzio Malaparte.
 
Coerente alla sua concezione anticomunista, all'inizio degli anni sessanta Scalfaro si oppose fermamente alla cosiddetta apertura a sinistra cioè all'ingresso del Partito Socialista Italiano nella compagine governativa.
In questa battaglia interna al partito ebbe come alleato Giulio Andreotti e la sua corrente.
L'alleanza con il partito di Pietro Nenni, auspicata dall'allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, fu poi realizzata da Amintore Fanfani e da Aldo Moro a partire dal 1963.
L'avvento del centrosinistra segnò il declino definitivo del suo referente Mario Scelba e nell'aprile del 1969 Scalfaro fondò, all'interno della DC, una sua corrente, «Forze libere», ma la scarsa adesione al congresso del partito svoltosi a giugno di quell'anno (meno del 3% dei voti e quattro seggi) non fu incoraggiante: la corrente verrà sciolta ufficialmente quattro anni dopo.
 
Ricoprì l'incarico di Ministro dei Trasporti nel primo governo presieduto da Giulio Andreotti nel 1972 e quello di Ministro della Pubblica Istruzione nel secondo governo Andreotti lo stesso anno.
Nel 1972 polemizzò aspramente contro i socialisti, il cui neo segretario Francesco De Martino auspicava per il governo equilibri più avanzati, cioè l'ingresso del PCI nella maggioranza di governo.
Si batté altrettanto vigorosamente contro l'approvazione della legge Fortuna-Baslini, che introdusse il divorzio in Italia e fu un sostenitore del ricorso al referendum abrogativo della stessa legge, nel quale, tuttavia, vinsero i NO e per questo fu alleato di Amintore Fanfani che aveva promosso la consultazione elettorale abrogativa.
 
Come esponente dell'ala destra della DC ricoprì comunque molte cariche di governo anche nei primi anni del centrosinistra ma nella seconda metà degli anni settanta la sua figura nel quadro politico generale rimase un po' in ombra, ed in quel periodo ebbe come unica carica istituzionale la vicepresidenza della Camera dei deputati (da ottobre 1975), che mantenne per quasi otto anni.
Nel 1977 fu tra i firmatari, insieme a Mariotto Segni, Severino Citaristi, Giuseppe Zamberletti, Bartolo Ciccardini e un altro centinaio di esponenti democristiani, di un documento con il quale si chiedeva al partito di abbandonare la linea politica portata avanti dal segretario Benigno Zaccagnini e di chiudere, contrariamente alla linea intrapresa (e che andava in direzione del cosiddetto compromesso storico), qualsiasi apertura nei confronti del Partito Comunista Italiano.
 
Nell'agosto 1983 fu chiamato da Craxi a ricoprire una delle cariche più delicate e prestigiose del governo: la titolarità del ministero dell'Interno, carica che mantenne ininterrottamente fino al luglio del 1987.
Il suo periodo al Viminale fu segnato da eventi di una certa gravità, fra i quali la Strage del Rapido 904 (dicembre 1984), l'omicidio da parte delle Brigate Rosse dell'economista Ezio Tarantelli (marzo 1985) e appunto la recrudescenza dell'attività della mafia che nel 1985 tentò l'omicidio del giudice Carlo Palermo e uccise importanti esponenti delle forze dell'ordine in Sicilia.
 
Eletto Presidente della Camera dei deputati il 24 aprile del 1992, restò per poco tempo in questa carica.
Francesco Cossiga si dimise da Presidente della Repubblica nello stesso mese e l'elezione del successore si trascinò in una serie di votazioni parlamentari senza risultato (Forlani e Vassalli non raggiunsero il quorum).
La strage di Capaci dette uno scossone alla vita politica italiana e Scalfaro, sino ad allora considerato un outsider nella corsa al Quirinale, fu eletto alla massima carica istituzionale del Paese subito dopo il tragico evento.
Il 25 maggio 1992 Scalfaro fu eletto Capo dello Stato (al sedicesimo scrutinio) con 672 voti, espressi dai democristiani, dai socialisti, dai socialdemocratici, dai liberali, dal PDS, dai Verdi, dai Radicali e dalla Rete.
La Lega Nord diede 75 voti al suo candidato Gianfranco Miglio, il Movimento Sociale 63 voti a Cossiga, mentre Rifondazione Comunista diede 50 voti allo scrittore Volponi.
 
Si è trattato di una delle presidenze più controverse della storia repubblicana. Benché fortemente sostenuto dai partiti politici sopravvissuti al turbine di Tangentopoli, ha ingenerato forti contrapposizioni, fronteggiate con una decisione che nessuno avrebbe saputo prevedere da un politico approdato quasi per caso al Quirinale.
Cominciò con il nominare Giuliano Amato presidente del consiglio, avanzando riserve nei confronti dell'autocandidatura di Craxi, che non aveva ancora ricevuto nessun avviso di garanzia.
 
Nel 1993 scoppiò lo «scandalo SISDE», relativo ad una gestione di fondi riservati che aveva tutta l'aria di essere stata gioiosamente disinvolta.
Partita dalla bancarotta fraudolenta di un'agenzia di viaggi i cui titolari erano funzionari del servizio segreto del Viminale, un'inchiesta della magistratura fece emergere fondi neri per circa 14 miliardi depositati a favore di altri 5 funzionari.
Ci furono l'intervento del Consiglio Superiore della Magistratura per dissidi fra il magistrato che indagava e il suo procuratore capo, quello della commissione parlamentare d'inchiesta sui servizi segreti, presieduta da Ugo Pecchioli e quello del ministro dell'Interno Nicola Mancino.
Tutti si misero a indagare sull'operato del Servizio, mentre a San Marino venivano individuati altri 35 miliardi di uguale sospetta provenienza.
 
La sera del 3 novembre 1993 Scalfaro si presentò in televisione, a reti unificate e interrompendo la partita di Coppa Uefa tra Cagliari e la squadra turca del Trabzonspor, con un messaggio straordinario alla nazione nel quale pronunciò l'espressione «Non ci sto».
Parlò di «gioco al massacro» e diede una chiave di lettura dello scandalo come di una rappresaglia nei suoi confronti della classe politica travolta da Tangentopoli.
Nei giorni successivi i funzionari furono indagati per il reato di attentato agli organi costituzionali, accusa dalla quale furono prosciolti nel 1996 per decorrenza dei termini.
Nel 1994 quei funzionari furono poi condannati, dimostrando la fondatezza della accuse di Scalfaro.
 
Nel 1999, concluso il settennato, Scalfaro fu denunciato da Filippo Mancuso per presunto abuso d'ufficio relativamente al suo periodo come Ministro dell'Interno e sempre sull'ipotesi di illecita percezione dei detti 100 milioni al mese.
Circa l'effettiva percezione vi erano state diverse versioni di Malpica e la denuncia di Mancuso provocò numerose prese di posizione, come quella di Oliviero Diliberto (in quel momento Guardasigilli), il quale ricordò che la Procura di Roma aveva comunicato il 3 marzo 1994 che «nei confronti dell'onorevole Scalfaro non sussiste alcun elemento di fatto dal quale emerga un uso non istituzionale dei fondi».
Lo stesso Scalfaro, del resto, nel maggio 1994, durante una visita al santuario di Oropa, aveva ammesso la percezione di tali fondi.
«Sfido chiunque a dimostrare che chi è stato ministro dell'Interno, e non solo io, ha dato una lira fuori dai fini istituzionali».
 
Dopo le elezioni del 1994, in seguito alla vittoria elettorale del Polo delle Libertà, al momento in cui Silvio Berlusconi stava predisponendo la lista dei ministri, Scalfaro ritenne sgraditi alcuni nomi tra cui spiccava la nomina di Cesare Previti (che era indagato ma non ancora condannato) ancora al Ministero della Giustizia, spostato alla Difesa e sostituito da Alfredo Biondi nel ruolo di Guardasigilli.
Quando Scalfaro svolse le consultazioni, in un famoso discorso di fine anno invitò Berlusconi ad un passo indietro, promettendo che il nuovo governo avrebbe avuto un incarico a termine e un presidente di fiducia dello stesso Berlusconi.
Questi scelse il suo Ministro del Tesoro Lamberto Dini e assistette nell'anno successivo al progressivo spostamento dell'asse del governo così nato verso il centro-sinistra, che vinse le successive elezioni.
 
Queste e altre circostanze sono riconducibili, comunque, al cosiddetto ribaltone del dicembre 1994, quando convinse la Lega a lasciare Forza Italia di Berlusconi.
Fu allora che nacque nel Centrodestra una diffusa ostilità verso il Capo dello Stato, accentuata dopo la vittoria del centro-sinistra nelle elezioni del 1996.
Si ricorderà in particolare la famosa legge sulla «par condicio», termine da lui stesso impiegato in più di una pubblica esternazione, per affermare l'esigenza della parità delle armi comunicative sulle reti televisive per tutti gli attori politici. Fu vista come un attacco alla potenzialità più dirompente del sistema mediatico di Berlusconi.
 
Nell'ultima parte del settennato gli attivisti giovanili di Alleanza nazionale contestarono il Capo dello Stato nei suoi viaggi nelle città italiane.
Mentre la sua caratteristica più gelosamente custodita era stata l'affermazione di un ruolo super partes, agli attacchi ricevuti rispose invocando sempre più esplicitamente il sostegno dalla maggioranza di governo.
Ne derivò un ruolo più dipendente da quest'ultima, coronato dal fatto che appena divenuto senatore a vita votò la fiducia al secondo governo D'Alema, cioè ad un Presidente del consiglio da lui stesso nominato per il primo mandato.
 
È stato l'unico Capo dello Stato della storia d'Italia a non aver nominato alcun senatore a vita, a causa di un problema legato all'interpretazione della Costituzione, per cui i senatori a vita potevano essere in totale cinque e non a disposizione di ogni Presidente della Repubblica. 
Terminato il suo mandato da Capo dello Stato, Scalfaro divenne Senatore a vita in quanto ex Presidente della Repubblica, aderendo al gruppo misto.
 
Nel corso della XIV Legislatura ha presentato numerosi disegni di legge riguardanti l'emigrazione e ha manifestato il dissenso soprattutto per la proposta di riforma costituzionale avanzata dalla Casa delle Libertà e dal terzo governo Berlusconi.
Da senatore a vita si è dedicato soprattutto a girare l'Italia, partecipando a numerosi incontri sulla difesa della Carta costituzionale, il no alla guerra e l'impegno dei cattolici in politica.
Il 19 maggio 2006, come già aveva anticipato, ha votato la fiducia al governo Prodi II. Durante la XV Legislatura ha votato più volte in favore del governo Prodi e della maggioranza di centrosinistra, anche in occasioni determinanti e con voti di fiducia.
 
Nel 2007 ha aderito al Partito Democratico, pur non iscrivendosi, ed è stato presidente del Comitato pro Veltroni-Franceschini nel Lazio per le primarie del 14 ottobre 2007.
È morto il 29 gennaio 2012 a Roma, all'età di 93 anni.
 
Si ringrazia Wikipedia per la grande quantità di informazioni che ha offerto sulla figura del Presidente Scalfaro.
Anche la foto è stata ricavata dall'Enciclopedia virtuale.
La versione originale della ricostruzione della biografia di Oscar Luigi Scalfaro è visitabile tramite il seguente indirizzo web.

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