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Nel 141° anniversario di Bezzecca

A tanti anni di distanza è giusto ricordare coloro che hanno fatto l'Italia perché, senza di loro, nessuno avrebbe potuto fare gli Italiani (A lato, il celebre telegramma di Garibaldi)

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Si festeggiano in questi giorni gli eventi che 141 anni fa accaddero nella zona di Bezzecca, passati alla storia con lo storico e simbolico telegramma di Garibaldi «Obbedisco!». Inaugurazioni di cippi, restauri di ossari, programmi commemorativi e tante altre belle cose che senz'altro apprezziamo.
Noi ne avevamo parlato ampiamente un anno fa, quando ricorreva il 140° anniversario, cifra tonda. Ma dato che le nostre autorità trentine si sono prese un po' in ritardo, per cui lo festeggiano quest'anno, dobbiamo nuovamente segnalare i nostri scritti ai nostri lettori. Si trovano ancora in Pagine di Storia il come si svolse la «Terza Guerra di Indipendenza» tragicamente gestita da filettanti, nonché i dettagli dell'avventura di Giuseppe Garibaldi e del generale Giacomo Medici, che insieme compirono inutilmente l'operazione a tenaglia per raggiungere le soglie di Trento dalla Valsugana e dalla Valle dei Laghi.
Qui vogliamo solo riprendere alcuni fatti che secondo noi dovrebbero sempre essere tenuti a memoria nell'anniversario di Bezzecca.

Il Regio Esercito e la Regia Marina d'Italia erano i in piena confusione di crescita, non essendo riusciti ad amalgamare le forze armate di una Patria ancora raffazzonata e disorientata, certamente ben lontana dall'essere una nazione.
Giuseppe Garibaldi (nella foto a sinistra) invece aveva dalla sua l'esperienza e degli ideali ben chiari. Gli diedero un obbiettivo e lo raggiunse. La stessa cosa fece, senza clamori, il "suo" generale Medici in Valsugana. Mentre il grosso del nostro esercito alle porte di Verona si interrogava se valesse la pena procedere verso la Valle dell'Adige, i due generali erano già arrivati alle rispettive posizioni assegnate, a pochi passi da Trento.
Giuseppe Garibaldi l'aveva trovata un po' più dura di Giacomo Medici, se non altro per il nome che portava. Medici era stato senza dubbio sottovalutato dal nemico. Comunque sia, a Bezzecca il generale austriaco Franz Freiherr Kuhn era trincerato dietro a fortificazioni imprendibili, contro le quali nulla avrebbero potuto fare le maggiori forze dell'eroe italiano. Accadde però che Garibaldi venne ferito e il suo esercito, senza la sua guida, sembrava non rispondere alla meglio. Muovendosi poi su una carrozza, Garibaldi risultava ben visibile. Insomma, tanta fu la voglia di successo del generale austriaco, che si decise e abbandonò le fortificazioni per annientare Garibaldi. E così fu sconfitto. Garibaldi poi proseguì scagliando le sue avanguardie verso Rovereto e verso Cadine.
Dall'altra parte della tenaglia, Giacomo Medici (nella foto sotto) ebbe vari scontri a fuoco a Primolano, a Tezze, a Levico. Da lì divise le sue forze per mandarle parte in Valsorda e parte a Civezzano, accampandosi al Ciré di Pergine.
Kuhn a quel punto chiese a Vienna l'autorizzazione di abbandonare Trento per organizzare la difesa dell'Impero a Salorno. Vienna gli negò il permesso perché sapeva che - dopo la sconfitta navale a Lissa - l'Italia avrebbe firmato l'armistizio di Cormons.
Il resto lo sappiamo. Il nuovo confine austriaco venne deciso sulla difensiva, nel senso che se mai l'Italia avesse voluto combattere ancora l'Impero, l'avrebbe trovata dura.

Va da sé che i Garibaldini, una volta conclusa la guerra, si comportarono come ogni altro esercito vincente. Insomma, solo Garibaldi e Medici obbedirono. Ma le cose andarono sicuramente meglio a Bezzecca che a Bronte, in Sicilia, dove Bixio ordinò una rappresaglia di stile nazista. Ma a leggere che «orinavano per le strade», che si ubriacavano e che molestavano le ragazze, francamente ci viene da sorridere.
Ciò che ancora vogliono contestare gli anacronistici separatisti Trentini con la scusa di quei comportamenti e di quelle ragazzate, è l'unificazione all'Italia.
Ma se Isabella Bossi Fedrigotti ha voluto scrivere il suo celebre «Amore mio uccidi Garibaldi!» e Giuseppe Tomasi di Lampedusa ha composto il suo «Gattopardo» (del quale cade in questi giorni il 50° della sua pubblicazione), possiamo dire con una certa sicurezza che il problema sarebbe stato sempre lo stesso per chiunque avesse cercato di fare un popolo mettendo insieme una moltitudine tanto eterogenea di regioni italiane.
Problema che esisterà fintanto che i governi del nostro Paese non torneranno a considerare i propri cittadini con lo stesso rispetto col quale l'Impero considerava i suoi sudditi.

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