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Prima guerra Mondiale. 90 anni fa la battaglia della Bainsizza

Dal 17 agosto al 12 settembre 1917, vennero sparati 3 milioni di proiettili di piccolo calibro, 500.000 di medio, 50.000 di mortaio. - Gli austriaci ebbero 10.000 morti, 45.000 feriti, 30.000 dispersi. Gli italiani 40.000 morti, 108.000 feriti, 18.000 dispersi

La Bainsizza è un altopiano arido e desolato tra i fiumi Idra e Isonzo, ai margini della Venezia Giulia, ora in territorio sloveno. Fortificata dagli austriaci e difesa da due campi trincerati di Tolmino e dell'Hermada, fu teatro di una delle più sanguinose battaglie della Prima guerra mondiale, combattuta dal 17 agosto al 12 settembre 1917. L'esercito italiano compì, inutilmente, una delle più brillanti azioni tattiche dell'intero conflitto.

L'«episodio» dell'Ortigara, costato due mesi prima la perdita, tra morti e feriti, di 24.000 italiani e 12.000 austriaci, aveva portato il solo risultato concreto di rassicurare il comando italiano che nel settore trentino non esistevano pericoli immediati di attacchi austriaci.
Il generale Cadorna poté così dedicarsi all'organizzazione di una nuova battaglia sull'Isonzo, l'undicesima della serie. Fece convergere sul fronte isontino il più grande numero di uomini e materiali che fosse mai stato visto prima: 51 divisioni con 5.200 pezzi di artiglieria.
Il piano studiato da Cadorna prevedeva una duplice azione attorno al fiume Vipacco. A nord le truppe italiane si sarebbero dovute muovere dall'altipiano della Bainsizza per raggiungere quello di Tarnova. Più a sud, sul Carso, si sarebbero dovute portare sull'altipiano di Comen e conquistare il monte Hermada. In questa maniera avrebbero accerchiato le postazioni austriache attorno a Gorizia.
Ma il generale Capello, comandante della Seconda Armata collocata a nord dello schieramento italiano, suggerì alcune modifiche. Secondo Capello era meglio estendere più a nord il campo d'azione, in direzione della testa di ponte di Tolmino. Non era una modifica da poco, perché - pur mantenendo lo stesso numero di uomini e mezzi - invece di due operazioni se ne attivavano tre: Tolmino, Bainsizza e Carso. E iniziò proprio a nord l'offensiva destinata al primo fallimento. Dopo i primi successi e la cattura di 600 prigionieri, l'offensiva infatti si bloccò a Tolmino. Poco dopo anche sul Carso l'iniziativa italiana fu presto bloccata.
Gli storici rimproverano a Capello di non aver fatto convergere le sue truppe verso il centro, cioè verso l'altipiano della Bainsizza che era l'obbiettivo originale e primario dell'intero disegno strategico di Cadorna, dove le truppe guidate dal Generale Caviglia avevano invece registrato l'unico vero successo dell'operazione. Per qualche sua stana convinzione, Capello invece continuò la spinta (inutile) verso Tolmino.
Dal canto suo Caviglia, con notevoli sforzi, poté allargare il cuneo sulla Bainsizza. Ma, trovandosi sguarnito sulle ali destra e sinistra, la sua posizione venne bloccata in una sacca.

Se a nord ci eravamo andati a impelagare a Tolmino, anche a sud avevamo l'«indomabile bestia» dell'Hermada. Friz Weber la definì così nel suo famosissimo libro «Tappe della disfatta», perché da lungo tempo era divenuta una fortezza gigantesca. L'«indomabile bestia», doveva resistere a qualunque costo, perché rappresentava la chiave di volta dell'intero dispositivo di difesa austriaco. Su mille metri di linea si trovavano trenta chilometri di trincee, camminamenti, ripari, osservatori blindati, dozzine di caverne, nidi di mitragliatrici e migliaia di artiglierie. Battuta da tre lati, specialmente da punta Sdobba (una lingua di terra intersecata da canali, dove su pontoni e su piazzole di cemento erano postate settanta batterie di grosso e medio calibro, difficili da colpire), l'Hermada resistette agli assalti delle fanterie italiane che muovevano attacco dalle loro linee.

La Bainsizza, dicevamo, è un altipiano che scende con fianchi ripidi sull'Isonzo da una parte e sul solco del fiume Idria dall'altra, portandosi così a ridosso della piana di Gorizia. L'operazione prevedeva come primo scalino la conquista del Kuk-Vodice, da dove si doveva dare l'assalto al bastione principale e superarlo, per poi scendere nella conca di Vrh per salire poi sulla parte settentrionale della Bainsizza.
L'avanzata è stata profonda, 12 chilometri, e il nemico è stato messo in rotta. Nella notte sul 24, però, si sottrasse alla nostra stretta e i nostri soldati si trovarono indecisi, impreparati come tutti gli eserciti di allora a reagire di fronte a un vuoto lasciato dal nemico in fuga. E questo bastò a dare al nemico il tempo di imbastire una nuova linea, sulla quale la spinta dei nostri alla fine si infranse. I rincalzi e l'artiglieria nessuno seppe organizzarli per tempo. Pur avendo fatto questa strepitosa avanzata, che ci portava al vallone di Chiapovano, ci si arrestò per insufficienza logistica.
In questa fase, mirabile fu l'opera dei genieri che gettarono ponti e passerelle sull'Isonzo, battuti dal tiro delle batterie e delle mitragliatrici austeriache; splendido l'ardimento dei fanti e degli alpini che forzarono il passaggio del fiume, ridotti a servirsi anche di un solo ponte, quello di Dopplar e di una stretta passerella. Da questi ponti, la sera del 19 agosto, passarono alla sinistra dell'Isonzo la brigata «Ferrara» e due battaglioni alpini, il «Pelmo» e l' «Albergian». Ma la situazione non era così disperata per gli Austriaci, perché stavano arrivando riserve provenienti dal fronte russo, disimpegnato dalla firma dell'armistizio. Capello questo non lo sapeva e, esaltato più del necessario dal successo, ordinò addirittura alla cavalleria di lanciarsi all' inseguimento del nemico «in rotta». Ma i versanti che dalla sinistra dominano la conca di Tolmino, non erano stati conquistati e la sera del 25 agosto ogni attacco venne respinto.
In sintesi, quanto accadde alla Seconda Armata di Capello era la ripetizione di quanto già accaduto all'austriaco Conrad nel corso della Strafexpedition: lo sfondamento non era stato seguito dalla elefantesca macchina di un esercito di trincea.

Il 26 agosto il Comando Supremo dovette dare l'ordine di sospendere momentaneamente le operazioni. Ordine che divenne definitivo il 29, quando risultò impossibile spostare la Terza Armata, soprattutto per difetto di munizioni… Il consumo era stato superiore ad ogni previsione. Dal 18 agosto ai primi di settembre (quando si cessò di combattere anche sul Monte Santo) gli austriaci avevano sparato 1.500.000 di colpi di piccolo calibro, 250.000 di medio calibro, 22.000 di mortai e uguale era stato il consumo da parte italiana.
Le perdite furono gravissime: gli austriaci denunciarono 10.000 morti, 45.000 feriti, 30.000 dispersi, 28.000 ammalati, oltre 150 pezzi d' artiglieria. Gli italiani lamentarono 40.000 morti, 108.000 feriti, 18.000 dispersi, ben più del doppio della inutile battaglia dell'Ortigara.
Ma stavolta almeno si poterono vantare notevoli vantaggi territoriali. Il dispositivo di difesa austriaco scricchiolava paurosamente. Tanto vero che il Comando in capo dovette confessare all'alleato tedesco di non ritenersi più in grado di sostenere una nuova battaglia difensiva.
La Germania avvertì la minaccia e decise di intervenire massicciamente. La vittoria della Bainsizza doveva costarci di lì a poco, la sconfitta inattesa di Caporetto.

Nelle immagini: in alto il quadro delle operazioni belliche dal 1916 al 1917; in basso la battaglia dell'Hermada in un dipinto di A. Malipieri (1934, Museo del Risorgimento, Roma).

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