50 anni fa moriva Gianni Caproni, Conte di Taliedo
Il pioniere dell'Aria era nato a Massone nel 1886, aveva studiato alle Reali di Rovereto, si era laureato a Monaco di Baviera e specializzato a Liegi
Giovanni
Battista Caproni (a sinistra
nella foto insieme al fratello) era nato a Massone (Arco) il 3
luglio 1886, morì a Roma il 27 ottobre 1957. Esattamente 50 anni
fa.
Il Trentino allora apparteneva all'Impero Austro Ungarico e il
comune allora era quello di Oltresarca. I genitori erano benestanti
quanto bastava per dare al figlio un'adeguata istruzione. Frequentò
le scuole a Rovereto e conseguì la laurea in ingegneria al
Politecnico di Monaco di Baviera a 21 anni, nel 1907. Durante un
master a Liegi, dopo aver assistito a una dimostrazione dei
Fratelli Wright, si innamorò del volo.
Tornato ad Arco studiò la realizzazione del suo primo velivolo a
motore, il Ca.1. I suoi aerei si sarebbero quasi sempre chiamati
così, con il «Ca» seguito dal numero di serie.
La sua famiglia era di solide tradizioni irredentiste, per cui
Gianni si trasferì con loro in Italia prima ancora di completare il
suo primo «Ca». Il posto era Taliedo, paese dove poi venne fondata
la Caproni e il cui nome andò ad accompagnare il titolo ci conte
che gli venne conferito quando conseguì il successo che tutti
conosciamo.
Il suo Ca1 venne distrutto nell'atterraggio e, pensando che
l'incidente fosse dovuto all'inesperienza del pilota, Gianni decise
di far crescere insieme all'industria l'addestramento al volo.
Quindi fondò la Scuola di Aviazione Caproni. Verso la fine del 1910
Caproni si trasferì a Vizzola Ticino, presso Varese, dove proseguì
lo sviluppo di biplani, con i modelli dal Ca2 al Ca7.
I primi successi li ebbe dal Ca7 a Ca16, che vennero
prodotti in piccole quantità. Del Ca9 esiste un documento
cinematografico che lo riprende mentre sorvola la città di New
York, città già enorme e provvista dei suoi famosi ponti, ma ancora
priva dei grattacieli che l'avrebbero caratterizzata nel periodi
tra le due guerre mondiali.
Nel 1913 Caproni realizzò il prototipo Ca18 per partecipare ad un
concorso indetto dal Regio esercito Italiano, ma l'aereo non venne
scelto. Trovandosi così in difficoltà economiche, quello stesso
anno dovette cedere l'azienda allo Stato Italiano, dove peraltro
rimase come direttore tecnico.
Va segnalato che l'Austria, alla quale apparteneva la sua terra di
origine, gli aveva offerto ponti d'oro in cambio del trasferimento
delle sue attività al servizio dell'Impero, ma l'Italiano Caproni
rifiutò.
Per lo stato Italiano progettò e costruì un sacco di modelli e
unità, inventando di fatto l'arma da bombardamento. Fondamentale fu l'aiuto di Giulio Douhet,
allora comandante del Battaglione Aviatori, che riuscì ad imporre
la tecnologia di Gianni Caproni. Sono di quell'epoca i biplani Ca32
(300 hp), il Ca33 (450 hp, nella foto sopra), il Ca.44 (600
hp, nella foto di
fianco) e i triplani Ca40.
La Grande Guerra dimostrò la bontà dei trimotori Caproni, che
furono utilizzati dall'Intesa in Italia, in Francia, in Inghilterra
e Stati Uniti e prodotti all'estero su licenza. Gianni Caproni fu
anche tra i pionieri dell'aereo da caccia, nel 1914 (Ca18 e
Ca20).
Sempre più convinto delle capacità dell'aeroplano e del suo
utilizzo come trasporto civile, cercò di adattare a tale utilizzo i
trimotori da bombardamento. Tra i progetti più avanzati, il Ca.60,
un gigantesco idrovolante triplano a scafo per 100 passeggeri, con
8 motori, destinato a rotte transatlantiche, le cui foto si
ammirano tuttora al museo della Boeing a Seattle. Il velivolo compì
un breve volo il 4 marzo 1921, ma rimase distrutto in un incendio
poco dopo mentre era in riparazione.
Negli anni tra le due guerre mondiali, grazie al principio per cui
l'aeronautica era un'arma «fascistissima», Caproni riuscì a
costituire nuovamente la fabbrica di famiglia, che divenne presto
un vero e proprio gruppo industriale, con più di 20 consociate (Isotta Fraschini
compresa). Per questo indiscutibile successo nel 1940 venne
nominato Conte di Taliedo. (Nella foto a sinistra lo
stemma)
Era la vigilia del Secondo conflitto e, pur sapendo che sarebbe
stato un conflitto di macchine, era contrario alla guerra. Lo Stato
italiano, peraltro, dalla Caproni preferì acquistare sempre i suoi
famosi biplani, preferendo sia bombardieri e aerosiluranti di altre
marche italiane (il più famoso fu il "Gobbo maledetto") che caccia
ad alte prestazioni. Tra questi ultimi, i Macchi C202, dotati di
armamento più pesante e soprattutto di maggiore semplicità
costruttiva, vennero preferiti al magnifico RE 2000 (Caproni da
"Reggiane") che aveva caratteristiche decisamente ai livelli dello
Spitfire e del Messerschmit.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, i principali stabilimenti
della Caproni si trovavano nella Repubblica Sociale Italiana e di
conseguenza si trovò costretto a produrre per le forze armate
repubblichine. Fu in quel periodo che Caproni iniziò a progettare e
collaudare i suoi primi mezzi d'assalto per la X Mas e fu allora
che realizzò quello che sarebbe stato il primo aereo a reazione
italiano. Essendo dipendente dai motori di produzione tedesca,
questi prototipi non vennero mai messi in produzione.
Alla fine della guerra venne spiccato un ordine di arresto nei suoi
confronti per aver collaborato con le forze occupanti tedesche e
per aver favorito il regime fascista. Caproni si mantenne latitante
fino al 1946, anno in cui venne assolto in fase istruttoria per non
aver commesso il fatto.
Dopo il proscioglimento, Caproni tentò di riorganizzare il suo
gruppo industriale. Ma ormai non c'era più nulla da fare. La sua
assenza aveva minato l'andamento aziendale e poi il trattato di
pace imponeva all'Italia di non produrre più motori per aerei.
Insomma, per la Caproni, già indebitata per l'inevitabile crollo
delle ordinazioni, fu il disastro. Nel 1951 il gruppo Caproni
fallì. Rimase in piedi per qualche tempo lo stabilimento di Gardolo
(Trento) che produceva motociclette «Capriolo», ma poi chiuse anche
quello.
Un peccato, perché l'ingegnere aveva sempre avuto un occhio di
riguardo per la sue gente di origine, dal punto di vista lavorativo
ma anche della formazione, sia tecnica che culturale. Della sua
incredibile vita ha lasciato un patrimonio culturale davvero
notevole.
Innumerevoli i suoi amici in tutto il mondo, che lo rimpiansero
quando, il 27 ottobre 1957, morì. Aveva solo 71 anni.
Il trattato di pace del 1945 non aveva vietato al nostro Paese la
produzione di elicotteri, dato che per quel tipo di velivolo non
era ancora stato ipotizzato il successo che avrebbe avuto col
tempo. La società produttrice di elicotteri Agusta divenne così in
breve un gigante nel settore, tanto che alla fine decise di
acquistare i capannoni della Caproni di Taliedo. Gli eredi Caproni
li vendettero, ma si presentò allora il problema di trovare una
sistemazione dei cimeli storici del grande ingegnere trentino che
venivano conservati in quei capannoni.
Gli amici trentini dei Caproni si diedero da fare per trovare nella
provincia di Trento dei capannoni adatti per conservare
dignitosamente quei reperti, e fu così che nacque la magnifica idea
di fare un museo. Una cinquantina di aeromobili, trentamila reperti
di varia natura, una decina di migliaia di disegni industriali e un
centinaio di migliaia di libri e documenti, avrebbero trovato posto
nel Museo
dell'Aeronautica G. Caproni, costruito dalla Provincia
autonoma di Trento di fianco all'aeroporto intitolato a suo
nome.
I lavori cominciarono agli inizi degli anni '90 e la prima parte
venne terminata nell'ottobre 1992. Ma la realizzazione della
seconda parte si fermò a seguito di un'inchiesta generata nel clima
di Tangentopoli di quegli anni. L'indagine portò a un processo che
non approdò a nulla, ma il raddoppio del Museo non venne più
portato avanti.
Tuttavia sappiamo che, prima o poi, il museo destinato a conservare
la memoria dell'illustre Trentino verrà completato. E' il minimo
che la nostra gente deve a un personaggio come Giovanni Battista
Caproni, conte di Taliedo, conosciuto in tutto il mondo e ammirato
pioniere del volo.
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