Tornano le polemiche nella memoria dell’8 settembre 1943
Il Paese sembra ancora diviso. Forse i 65 anni che sono passati sono troppo pochi. O forse il problema è solo politico
Forse il problema è puramente
politico, dato che quello che aveva detto Violante a suo tempo,
oggi non può essere detto da La Russa. Ma fatto sta che le
polemiche sorte sulle parole pronunciate dal ministro per
commemorare la fatidica data dell'8 settembre del 1943 ci fanno
pensare che i 65 anni passati da quei tragici fatti siano del tutto
insufficienti per vedere le cose con serena obbiettività.
Se nel celebrare la fine della Grande Guerra ci si è finalmente
ricordati che non c'erano solo dei vincitori ma anche dei vinti,
scoprendo che avevano rigorosamente tutti la stessa medesima
dignità, questo è dovuto al fatto che gli anni passati sono 90 e
che di conseguenza la memoria non alberga più nei cuori e nelle
menti di chi ha vissuto quei tempi, ma sta (forse) per sempre
depositata nei documenti della memoria storica.
Ci è voluto dunque il trascorrere di quasi un secolo perché si
riuscisse a vedere con la medesima pietas i soldati di
entrambe le parti e, ancora più importante, la popolazione civile
alla stregua di quella militare.
Pare invece che sia ancora troppo recente il ricordo di quanto
accadde in quel (non abbastanza) lontano periodo della Guerra
Civile, quando i Tedeschi imposero il sorgere di una Repubblica
sociale italiana. È fin troppo facile con l'occhio di oggi capire
che i buoni stavano da una parte e i cattivi dall'altra. Ma
dobbiamo cercare di fare uno sforzo e renderci conto che la Storia
non scrive sempre pagine troppo semplici ma, soprattutto, che una
prima stesura di queste viene scritta di getto dai vincitori.
Non possiamo dimenticare che la Repubblica Italiana è sorta dalla
Resistenza e, se questo ci rende onore nei confronti del mondo
libero, ci rivela intolleranti verso coloro che hanno sofferto in
uguale maniera ma stando dalla parte sbagliata.
Dobbiamo cercare di evitare di usare il metro per stabilire chi
fosse stato più feroce e chi più eroico, chi più libertario e chi
più vile. Possiamo invece provare a fare un atto di umiltà e
calarci nei panni di coloro che hanno indossato la divisa
sbagliata.
Se arrivava la cartolina-precetto a un ragazzo residente nella
Republbica Sociale, cosa doveva fare? Davvero tutti noi ci
saremmo dati alla macchia? Saremmo tutti saliti in montagna a
combattere l'invasore Tedesco e il bieco fascista? Sono più che
certo che la maggior parte della gente fosse lealista
allora come lo è oggi: lo stato chiede, il cittadino risponde.
Forse una mamma avrebbe spinto il figlio a scappare, probabilmente
un padre avrebbe detto a suo figlio di obbedire. E questo non solo
perché un ventennio di propaganda aveva fatto credere nel sogno
fascista e nella capacità militare germanica, ma proprio perché è
giusto credere nello Stato.
Non vogliamo assolutamente provare a pensare che cosa sarebbe
successo in Europa se a vincere la Seconda guerra mondiale fossero
stati i regimi totalitari. È un po' come pensare che cosa sarebbe
successo se l'Europa cristiana avesse perso la battaglia di
Lepanto. Impossibile: non potevamo perderla, secondo la nostra
cultura, perché se l'avessimo persa la nostra cultura sarebbe stata
quella degli altri vincitori.
Però possiamo guardare la Spagna. È uscita da una dittatura
fascista in maniera morbida e democratica e solo adesso, a
settant'anni, fa i conti con il passato. Ora che c'è democrazia,
gli Spagnoli iniziano a prendere in considerazione i combattenti
che nel 1938 avevano perso la rivoluzione. È un po'
l'opposto di quello che stiamo facendo noi, solo che dalla loro
hanno il sostegno dell'opinione pubblica e del mondo democratico.
Eppure la Guerra civile spagnola è stata mille volte più feroce
della nostra.
Come abbiamo detto più volte parlando di foibe e di lager, non ci
sono vittime di serie A e vittime di serie B, non ci sono eroi di
prima e di seconda categoria. Ci sono solo vittime ed eroi. La
storia giudicherà i fatti, non le persone.
Chiunque si sia trovato a servire il proprio Paese, da una parte o
dall'altra, ha diritto alla medesima massima considerazione
soprattutto da parte di chi, essendo nato dopo, ha avuto la fortuna
di evitarla.