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I 50 anni dell’Autostrada del Brennero/ 3 – Ricordi di 40 anni fa

Un'arteria che ha sconvolto la strategia difensiva militare di una vallata. Il segreto di un'antica strada romana

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Per chi non c'era, forse è difficile da credere. Eppure negli anni '50-60 l'autostrada era simbolo di status. Le città che erano collegate da un'autostrada erano mille volte più importanti di quelle sprovviste. Per questo, quando si iniziò a parlare dell'A22, sembrava anche a noi Trentini di essere a due passi dal successo, solo che i tempi erano così lunghi che non eravamo certi di riuscire un giorno vederla e poterla percorrere.

I primi ricordi operativi che ho, risalgono all'alluvione del 1966.
I due anni precedenti, il '64 e il '65, avevano visto l'Adige sopportare piene davvero inusuali ed entrambe le volte gli argini si erano rotti nel lato destro del fiume, prima di Trento, a monte della Vela.
Per chi, come il sottoscritto, abitava alla Vela, non ci sono stati grandi problemi, o almeno non come nel 1942 (ancora non c'ero) e nel 1952 (c'ero e me la ricordo ancora), quando il Bondone raccolse in una giornata tanta acqua da riuscire a far esondare tutti i torrenti che scendevano a valle dalla montagna. Ma negli anni successivi era stato il grande fiume a rompere, allagando le campagne della zona «Laghetti», nome che la diceva lunga di per sé. Ma il centro abitato era stato risparmiato, protetto proprio dagli argini del torrente Vela.
Nel 1966, invece, alla terza piena consecutiva dell'Adige, le cose andarono diversamente. L'Autostrada aveva appena potenziato gli argini a monte di Trento e il fiume non riuscì a farsi strada in una breccia. Le campagne della Vela era salva. Ma non la città. Infatti, salvata la curva a monte, l'Adige ruppe l'argine alla curva successiva, Cristo Re. In meno di un'ora la città fu allagata, ma in compenso il livello del fiume si abbassò e i genieri non furono costretti a brillare il vecchio ponte di legno di San Giorgio, costruito dai Tedeschi durante la guerra quando si distrusse quello ad una sola arcata di san Lorenzo. Il vecchio ponte sarebbe stato abbattuto poco tempo dopo per far posto a quello attuale in cemento.
Capimmo che là dove c'è un'autostrada, i fiumi vengono tenuti ben imbrigliati.

Nella foto di fianco, il viadotto in costruzione di Colle Isarco.

Quando partii per il servizio militare, tre anni dopo l'alluvione, l'autostrada era già finita nel tratto fra Trento e Bolzano, ma le parti più complesse erano ancora in alto mare. O meglio in alta montagna.
Quando, dopo il corso ad Aosta, venni trasferito prima a Vipiteno e poi a Fortezza, mi trovai nuovamente a contatto con i cantieri dell'A22. Prestavo servizio in un battaglione d'arresto, il Valchiese, il cui compito era quello di fermare un'eventuale avanzata nemica proveniente dal Brennero. Lungo l'asse dell'Isarco c'erano decine di fortificazioni nella montagna, ben mimetizzate tra finte rocce e improbabili ghiacciai. Ognuna di queste aveva dei piani e dei tempi prestabiliti di resistenza. Una specie di «Vallo Italico» vero e proprio, che siamo riusciti a tenere rigorosamente segreto.
Come si può immaginare, il sorgere di un'autostrada in una vallata «fortificata» non poteva che sconvolgere l'intero sistema difensivo del nostro Paese. E difatti, anche questo nessuno lo sa, il sistema alpino d'Arresto Valchiese venne smantellato sette anni dopo (e con lui, a onor del vero, tutti i battaglioni d'arresto). Per questo adesso possiamo parlarne

La prima volta che andai con una squadra di alpini a ispezionare una fortificazione di Colle Isarco, scesi con i miei ragazzi per ben 1.100 scalini scavati nella roccia per arrivare a una camera di tiro con una bocca da fuoco da 120. La tenuta era stagna e gli inservienti al pezzo avrebbero dovuto indossare la maschera antigas per non morire avvelenati dai gas dei proiettili esplosi col cannone.
Aperto il portellone di finta roccia, rimasi allibito. Pochi metri davanti a me, e quindi davanti alla bocca da fuoco, c'era uno dei massimi piloni del viadotto di Colle Isarco. Il cannone, se mai avesse dovuto servire, avrebbe potuto sparare solo sul cemento armato. Del tutto inutile, anche perché i piloni portavano comunque con sé le camere predisposte per un'eventuale autodistruzione.
Tornato al comando chiesi spiegazioni al Colonnello comandante, il quale si limitò semplicemente a suggerirmi di non preoccuparmi…

Quando venni trasferito a Fortezza, ebbi un altro contatto ravvicinato con l'Autobrennero.
Anche in quell'area c'erano ovunque servitù militari strategiche e molto più importanti che a Colle Isarco. I ragazzi del mio distaccamento dovevano sorvegliare la zona in modo che nessun civile potesse mettere piede nelle zone vicine alle fortificazioni.
Nessuno, ovviamente, a parte i tecnici che lavoravano per l'Autostrada. Noi dovevamo accertarci sempre che le persone al lavoro avessero i regolari permessi e che non ficcassero il naso là dove non dovevano.
In quel periodo una società controllata dalla Del Favero Spa di Trento stava cercando di costruire un viadotto che doveva attraversare il lago artificiale di Fortezza. Due ditte precedenti erano fallite perché i piloni non avevano retto agli effetti dell'invaso quando veniva svuotato. Del Favero aveva deciso di farlo una volta per tutte, secondo due tecniche diverse a seconda del fondale dove dovevano sorgere i piloni. La prima parte era rocciosa, la seconda fangosa. In entrambi i casi avevano bisogno di un'impresa subacquea che facesse il lavoro più difficile, la posa di mine nel primo tratto e il congelamento del fango nel secondo.


Il viadotto di Fortezza, com'è oggi, visto da Nord.

Il caso aveva voluto che a fare quel lavoro fosse stato chiamato un caro amico, che con me e altri Trentini aveva fondato il circolo «Rane Nere», finalizzato a diffondere la disciplina del nuoto subacqueo. Va ricordato che allora non c'erano scuole di subacquea e chiunque avesse avuto qualcosa da insegnare doveva diffonderlo agli amici associati. L'amico che aveva di più da insegnare era Giambattista Corradello, ora titolare di un'impresa di lavori subacquei di importanza internazionale, specializzata a interrare sul fondo marino tubi per il trasporto del petrolio o del gas naturale.
Se oggi Corradello dirige qualcosa come 200 dipendenti, allora faceva personalmente i lavori più difficili. Quello che fece a Fortezza, per uno come me che le bombole le usava solo per fare pesca subacquea (allora era permesso) era davvero da ammirare. Corradello scendeva in un buco del diametro di 80 centimetri pieno di fango, piazzava l'esplosivo sul fondo, tornava fuori con i cavi collegati al detonatore, si piazzava in un posto sicuro e faceva brillare la mina. Poi la macchina dell'impresa edile infilava nel buco una trivella e asportava il materiale sbriciolato nel fango.
Questo lavoro lo facevano in continuazione, alternando esplosioni a estrazioni, mentre noi impedivamo che curiosi potessero introdursi nell'area militare. E ci siamo riusciti, dato che anche Corradello non era venuto a sapere che tutt'intorno al cantiere ci fossero campi predisposti ad accogliere mine anticarro e con i Cannoni di Navarone a proteggere l'accesso di Bressanone.

Giambattista Corradello, che è stato recentemente nominato Cavaliere al merito della Repubblica, lo abbiamo incontrato qualche settimana fa per chiedergli in prestito una macchina fotografica subacquea per fare il servizio a Miss Giugno (vedi). Con l'occasione, ci ha anche dato delle fotografie dell'epoca, che ormai appartengono alla preistoria della sua azienda, relative proprio al cantiere di Fortezza.
Le mostriamo qui di seguito. Anche se sono rovinate dal tempo, vi si possono notare alcuni particolari curiosi, come ad esempio il giovane Corradello che teneva legati alla vita dei candelotti di plastico.
Ricordando quei tempi, l'imprenditore trentino afferma di aver trovato una strada romana sul versante occidentale del fondo del lago di Fortezza. Duemila anni prima, ama sottolineare, qualcun altro aveva costruito una strada per collegare l'impero romano alle regioni germaniche.
«Da sempre - osserva Corradello con legittima ammirazione professionale, - il Nord e il Sud d'Europa hanno avuto necessità di un collegamento strategico. Sono contento di aver collaborato alla costruzione dell'arteria più moderna dell'asse Berlino-Palermo.»
Ma ne riparleremo ancora quando intervisteremo Corradello per conoscere la storia del suo successo imprenditoriale.

G. de Mozzi

Precedenti articoli in Pagine di Storia.


Il cantiere sull'A22 all'altezza del lago di Fortezza nella primavera del 1970.


Giambattista Corradello (a destra) mentre collega i fili al detonatore dell'esplosivo.


A sinistra il subacqueo mentre sta per scender nel buco. A destra l'assistente cala l'esplosivo.


L'operatore sta facendo brillare la mina.


A sinistra, la macchina che scava il foro verticale nella roccia. A destra, particolare della trivella.


La trivella che veniva fatta scendere nel foro per estrarre i detriti dopo l'esplosione.

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