Rivivono con la multimedialità le emozioni di Forte Belvedere
Folgaria, Lavarone e Luserna, inaugurato percorso che invoca la pace

Chi ha letto il libro «Tappe della disfatta» (Mursia), scritto dal tenente Fritz Weber che ha passato un anno a forte Verle (uno dei quattro forti austriaci dell'altipiano), non può entrare nel forte Belvedere (Weber lo chiamava Gschwendt) senza provare un senso opprimente di desolazione di fronte all'atroce stupidità umana.
La generica stupidità di una guerra divenuta inevitabile, come il più delle volte, per motivi di Pubbliche Relazioni.
Forse il resto dell'Europa aveva le sue stupide ragioni per farsi la guerra. L'Italia non aveva neppure quelle, dato che l'Impero Asburgico le aveva proposto la cessione del Trentino senza colpo ferire, in cambio della non belligeranza.
La particolare stupidità di una linea di forti, fronteggiata da un'altra linea di forti nemici, che si sono inutilmente presi a cannonate tra loro per un anno intero.
Inutilmente, perché erano installazioni militari d'arresto, da entrambe le parti costruite per impedire al nemico di passare e non per essere forzate da inutili attacchi.
Forte Belvedere-Gschwent è stato costruito tra il 1908 ed il 1914 a quota m.1.155 in località Lavarone-Oseli – Vedi sito Museo Prima guerra mondiale |
Belvedere dunque non ha avuto i feroci bombardamenti che hanno ininterrottamente colpito Verle e Luserna. Quest'ultimo, anzi, ridotto a un cumulo di macerie, in un momento di comprensibile debolezza del comandante, aveva perfino alzato quattro bandiere bianche di resa, mettendo a rischio l'intera ala destra della linea difensiva austriaca.
Per impedire il cedimento, anche forte Belvedere ha dovuto aprire il fuoco sugli alpini che stavano per impadronirsi di Luserna. E i territoriali tirolesi riuscirono ad abbattere le vergognose bandiere bianche.
Quello fu il momento più pericoloso per gli Austriaci dei forti sull'altipiano. E la descrizione che Weber fa della vita dei soldati dentro il forte sotto i bombardamenti italiani è di una durezza terribile.
Le gigantesche difese di cemento armato e acciaio venivano demolite ora per ora a colpi di cannone italiani, mietendo vittime su vittime.
Una volta al giorno passava il carro per raccogliere i morti e i pezzi di quelli che fino a poco prima erano degli esseri umani.
Avevano imparato a riconoscere i proiettili in arrivo distinguendoli dal fischio particolare che ogni calibro provocava.
Quando arrivava il 380, tutti aspettavano il colpo di maglio. La struttura da qualche parte cedeva e qualcuno moriva.
Dopo un mese di combattimenti, i cannoni erano logori e i proiettili non arrivavano più dove si voleva, né da una parte né dall'altra.
Per questo si intensificarono gli attacchi degli alpini, che arrivavano spesso fin sotto i forti, giungendo perfino a piazzare esplosivi alle difese passive delle fortificazioni. E allora partivano le mitragliatrici, le Schwarzlose da fortino.
Decisamente una guerra feroce, per una linea difensiva. Ma non per due popoli che da un secolo esatto erano divenuti nemici a causa di un Congresso di Vienna fatto da politici che avevano una vista molto corta.
La cucina, all'interno del forte.
Oggi, quando siamo arrivati al forte per la cerimonia d'apertura, la nebbia avvolgeva la fortificazione rendendola, se possibile, più cupa.
A fianco dell'entrata, due cannoni Skoda, che c'entrano poco con l'impianto bellico originale. Si tratta infatti di due obici prodotti sì dalla Skoda per l'esercito austro-ungarico, ma modificati nel 1919 per migliorare la balistica del pezzo adottato dal Regio Esercito Italiano che lo prese in servizio con la denominazione 100/17 (calibro/lunghezza della canna).
Insomma, due prede post-belliche, con ogni probabilità acquistate in un secondo tempo dalla proprietà del Fortino.
Uno dei due Skoda 100/15 posti a fianco dell'ingresso del Belvedere.
L'interno del fortino è decisamente impressionante, merita assolutamente visitarlo. Ma attenzione, è possibile perdersi e pertanto sarà raccomandabile addentrarvisi solo con guide autorizzate che si trovano sul posto.
Ci sono centinaia di camminamenti nella roccia e nel cemento armato, scalinate e piccole feritoie, poche stanze, una cucina, tanta umidità.
Il tutto è alleggerito dalla multimedialità che lo «Studio Azzurro» ha potuto applicare per spiegare il funzionamento logistico e bellico della fortezza.
Un plastico animato spiega l'armamento del sistema difensivo, utilizzando immagini statiche e dinamiche, generando suoni capaci di ricreare le sensazioni originali interagento con il visitatore.
Anche in giro per i camminamenti si è accompagnati da analoghi sistemi multimediali. Si è ricorsi anche alla poesia per affiancare i testi originali scritti o pronunciati in tedesco dagli artiglieri.
Non siamo riusciti a conoscere il costo sostenuto per rendere interattivo questo museo territoriale.
Nelle foto qui sopra, corridoi, incroci e scalinate interne.
Nei discorsi di apertura è stato fatto presente che ogni anno 40.000 visitatori (perlopiù tedeschi) vengono a visitare i luoghi della Grande Guerra sugli altipiani. Di qui la logica di investire per rendere più interessante il forte meglio conservato della linea difensiva.
Tutti gli intervenuti hanno tenuto a precisare che il restauro e il rilancio del forte sarà seguito da quello di altri, soprattutto per invocare così il concetto di pace in alternativa alla guerra in funzione dell'imminente centenario della Grande Guerra.
Non sappiamo se il recupero fisico e multimediale del forte porterà a questo risultato.
Quantomeno però coloro che in queste fortificazioni (e attorno a esse) hanno sofferto e sono morti nel momento migliore della loro vita e per ideali che alla lunga si sono sfilacciati, meritano certamente questo e forse tanti altri momenti di ricordo.
G. de Mozzi