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A 70 anni dai combattimenti del battaglione «Cividale» in Russia

Per il valore dimostrato dagli uomini e in onore ai tanti Caduti, il comando tedesco e quello italiano ribattezzarono la quota 176,2 in «Quota Cividale».

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Tra l’8 e il 9 agosto 1942 il Battaglione «Cividale», composto dalla Compagnia Comando, dalla 16ª, 20ª, 76ª e 115ª compagnia, acquartierate a Tricesimo e a Nimis (Friuli), partì per la Russia dalla stazione di San Giovanni al Natisone, per giungervi nella seconda metà di agosto.
Dopo alcuni giorni di sosta nei pressi della città di Izjum il Cividale cominciò il suo avvicinamento al Don con marce di una trentina di chilometri al giorno sotto una calura soffocante.
Raggiungendo l’abitato di Pobedinskaja, recuperarono due pezzi anticarro russi che rimpinguarono le dotazioni di armi di accompagnamento della 115ª Compagnia del capitano Mario Crea.
 
Dopo un periodo trascorso in seconda linea, dietro ai battaglioni Tolmezzo e Gemona, gli alpini del Cividale passarono il periodo ottobre-dicembre in linea sul Don nei pressi degli abitati di Dolschnik e Duchowoje dove scavarono trincee, postazioni e ricoveri in attesa della ripresa delle operazioni prevista dopo il periodo invernale.
In particolare, la 16ª Compagnia aveva il compito di presidiare un largo vallone che si affacciava sul Don. Di notte la squadra esploratori della compagnia pattugliava quel tratto di fronte da una postazione ricavata in una casetta in riva al fiume per impedire ai russi di effettuare dei colpi di mano notturni.
 
In seguito al cedimento delle divisioni di fanteria italiane Cosseria e Ravenna, tra il 16 e il 18 dicembre il Cividale venne inviato d’urgenza (parte su autocarro e parte a piedi) nel settore del Kalitwa, a una cinquantina di chilometri più a Sud, per tamponare la falla creatasi oltre lo schieramento alpino.
Dal 20 dicembre 1942 al 3 gennaio 1943, il Cividale rimase in seconda schiera dietro al Tolmezzo e non fu impegnato direttamente nei terribili e furibondi scontri che impegnarono gli altri reparti della Julia sulle basse alture del Kalitwa.
Gli uomini del Cividale però furono costretti a schierarsi all’addiaccio sulla neve, in condizioni ambientali spaventose per il freddo che raggiunse temperature bassissime (anche di -40°) subendo spesso i tiri dell’artiglieria e dell’aviazione russa e alcuni scontri con pattuglie nemiche che provocarono alcune perdite.
 
Nella notte sul 4 gennaio 1943 il Cividale raggiunse le posizioni ai piedi della quota 176,2 tenuta da un reparto tedesco.
Quella piccola altura dai fianchi dolci e allungati, che si ergeva di poco sulle altre quote, avrebbe permesso ai russi, qualora l’avessero occupata, di controllare tutto lo schieramento difensivo e i movimenti della Julia; pertanto doveva essere mantenuta a tutti i costi.
 
All’alba del 4 gennaio i russi attaccarono e i tedeschi dovettero abbandonare la posizione precipitosamente.
Il 1° plotone della 20ª Compagnia, comandata dal capitano Dario Chiaradia di Sacile, partì allora di slancio e rioccupò la collina nonostante il tiro delle mitragliatrici russe che falcidiarono gli alpini del 1° plotone al comando del tenente Benedini.
Subito dopo i russi contrattaccarono e gli alpini, dopo una breve ma accanita resistenza (durante la quale si distinse l’alpino Pietro Lestani di Fagagna che rimase da solo a sparare imperterrito con il suo fucile mitragliatore fino all’esaurimento delle munizioni), ripiegarono trascinandosi dietro i compagni feriti.
 
Verso mezzogiorno la 16ª Compagnia, al comando del capitano Carlo Crosa, appoggiata dagli uomini della 20ª, con un assalto temerario condotto dai plotoni che avanzarono in formazione spiegata sotto il diluviare delle cannonate e dei tiri di mortaio, riprese la collina al prezzo di gravi perdite, tra le quali il sergente maggiore Paolino Zucchi da Collato (Medaglia d’Oro).
Per tutta la giornata gli alpini rimasero abbarbicati alla quota sotto il tiro dell’artiglieria e la posizione fu mantenuta fino all’alba del giorno 5 quando i russi ritornarono all’assalto in massa costringendo gli alpini del Cividale a ripiegare.
 
Immediatamente dopo gli alpini delle due compagnie, trascinati con coraggio e determinazione dai loro comandanti, ritornarono per l’ennesima volta al contrassalto e ripresero la posizione: il capitano Chiaradia fu ferito a morte e gli venne concessa la Medaglia d’Oro per il suo coraggio.
Verso sera, approfittando di una tempesta di neve, i russi attaccarono di nuovo e fecero ripiegare un piccolo reparto tedesco appostato sulla destra della quota e i superstiti della 16ª e della 20ª dovettero abbandonare la collina per non essere accerchiati.
 
A questo punto il Comando di Battaglione fece serrare sotto la 76ª Compagnia (al comando del tenente friulano Aldo Maurich) che si trovava di rincalzo.
Il plotone del sottotenente Gavoglio tentò un colpo di mano, ma la sorpresa non riuscì e gli alpini furono quasi tutti massacrati dal tiro preciso delle armi automatiche russe.
Anche il sottotenente Gavoglio rimase sul campo e gli venne conferita la Medaglia d’Oro per il suo comportamento.
 
La notte tra il 5 ed il 6 gennaio trascorse nei preparativi per un nuovo attacco.
Alle 5.30 tutte le artiglierie italiane e tedesche spararono contro quello che era l’obbiettivo più importante, preparare la collina ad un successivo attacco.
Attacco sferrato da un plotone della 76ª Compagnia, al comando del sottotenente Ferruccio Ferrari, appoggiato anche da lontano da due carri armati tedeschi. I russi superstiti però si difesero disperatamente e respinsero gli attaccanti facendo rimanere sul campo molti alpini, compreso il loro eroico comandante.
 
Verso le 8, i superstiti della 76ª Compagnia, praticamente solo pochi fucilieri e i mitraglieri, attaccarono di nuovo con slancio al comando del tenente udinese Franco Cattarruzzi e appoggiati, questa volta più da vicino, dai due carri tedeschi.
Cattaruzzi fu ferito e il plotone fu trascinato dal sergente Mario Furlan di Sanguarzo che cadde alla testa dei suoi uomini.
L’assalto disperato riuscì a prezzo di numerose vite e finalmente la collina fu riconquistata definitivamente dagli alpini del Cividale.
 
Per il valore dimostrato dagli uomini di questo Battaglione ed in onore ai tanti Caduti, il comando tedesco e quello italiano ribattezzarono la quota 176,2 in «Quota Cividale».
I caduti furono 110 e circa 400 furono i feriti e i congelati di quella battaglia durata incessantemente 3 giorni.
La «Quota Cividale» venne mantenuta dagli alpini fino al 16 gennaio 1943 quando, in seguito al ripiegamento del Corpo d’Armata Alpino, anche la Julia dovette abbandonare le posizioni del Kalitwa così duramente contese agli avversari.
 
Per gli alpini del Cividale iniziò così la terribile ritirata di Russia.
Il Battaglione si ritirò in ordine, nonostante il freddo intenso, fino a Popowka e poi proseguì per Nowo Postojalowka dove fu impegnato in duri scontri il 19 ed il 20 gennaio.
Dopo aver aggirato l’abitato la marcia continuò fino a Nowo Georgiewskij che venne raggiunta nella mattinata del 22 gennaio.
Qui il Cividale fu sorpreso e catturato dai carri armati russi insieme a tutto l’8° Alpini ed al Gruppo Conegliano.
 
Solo una piccola parte del Cividale riuscì a fuggire e a congiungersi alla scia della Tridentina che si aprì la strada della salvezza a Nikolajewka il 26 gennaio 1943.
Dalla ritirata di Russia, che si concluse soltanto nei primi giorni di febbraio, solo in pochi tornarono a casa.
Dei 1.650 alpini del Battaglione che erano partiti, ben 1.000 furono i caduti e i dispersi.
 
Guido Aviani Fulvio

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