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«Finalmente a casa»: i deportati trentini nei lager

Presentato in sala Depero lo straordinario volume «Almeno i nomi»

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«Ora sono finalmente tornati a casa…», è stato detto con un’immagine vivida, che ha colpito i cuori.
Duecentodue numeri, diventati duecentodue nomi, poi volti, storie di trentini, anime inghiottite dai campi di sterminio nazisti.
E’ questo lo straordinario risultato della ricerca storica presentata dentro la solenne cornice di sala Depero, a palazzo della Provincia, davanti a una folla di nipoti, di cugini, anche di figli con le lacrime appena trattenute agli occhi.
Il Presidente del Consiglio, Bruno Dorigatti, che l’anno scorso salì sul treno della memoria e raggiunse Auschwitz con gli studenti delle scuole trentine, ha appoggiato con entusiasmo il lavoro editoriale del Laboratorio di Storia di Rovereto.
 
S’intitola «Almeno i nomi», il volume di 274 pagine pubblicato dall’editrice Temi.
E’ una ricostruzione senza precedenti delle vicende di 202 civili trentini deportati nel Terzo Reich tra il 1939 e il 1945.
Giovanni Tomazzoni, coordinatore della ricerca, oggi ha raccontato che da anni il gruppo roveretano scava nel pozzo nero della guerra e della tragedia nazista.
Con quest’ultima fatica, si è partiti da tracce a volte labilissime, per comporre con fatica le tessere di un mosaico sbiadito e a rischio di estinzione definitiva.
 
Nomi e cognomi sono emersi dai fogli matricolari dei detenuti del carcere di Peschiera, annotazioni tanto burocratiche e fredde, quanto preziose, sono state rinvenute in archivi come quello vastissimo dell’International Tracing Service di Bad Arolsen, da qualche tempo aperto agli studiosi e dal primo gennaio passato alla diretta gestione della Germania.
Ecco allora le «transportlisten», ecco gli elenchi dei deceduti. E di lì ai brandelli di memoria – a qualche foto che parla da sola - conservati per settant’anni dentro le case dei trentini, dai parenti custodi di un passato cui si vuole ancora dare un futuro.
 
Proprio così ha detto Dario Venegoni, vicepresidente di Aned, l’associazione nazionale degli ex deportati, formulando un grandissimo elogio per la ricerca dei roveretani.
«E’ un libro che segna una svolta nella storiografia sulle vittime dei lager, un lavoro che alza enormemente l’asticella e di fronte al quale molte pubblicazioni, anche recenti, inevitabilmente appassiscono. Nessuno si era spinto a questo livello, a me non resta che ringraziarvi, che invitare i parenti dei deportati alla fondazione di una sezione trentina di Aned. Voglio però anche incoraggiare il Laboratorio di storia di Rovereto a fare un altro passo, ricostruendo com’è doveroso anche le sorti di tutti i disgraziati passati dal lager di Bolzano, ma non tradotti in Germania.»
 
Su quest’ulteriore terreno d’indagine – l’ha chiarito l’ingegner Tomazzoni – il particolarissimo «esercito popolare» di storici del Laboratorio si sta già peraltro spingendo, tant’è che si confida (si sogna) di poter presentare tra un paio d’anni un nuovo volume, che riaccenda la luce su molte altre storie apparentemente perdute.
Intanto c’è questo punto fermo, «Almeno i nomi».
 
Per prenderne possesso c’è chi oggi è arrivato fin da Evry, dintorni di Parigi: Bernard Nave, per la precisione, con la moglie Odile, aggrappati alla memoria di Virginia, classe 1902, nata a Sant’Anna.
Potenza di internet: Tomazzoni e soci hanno rinvenuto un nome, sono saliti in Vallarsa, hanno scovato dei documenti ereditari, sono risaliti fino oltr’Alpe.

E così anche l’operaia stroncata dal lager di Ravensbrueck «è tornata a casa».
Storie come queste sono state accennate oggi in sala Depero, sfogliando il nuovo libro.
 
Sono rintoccate solenni le parole di Simone Leonardelli fu Giacomo, da Montagnaga di Piné, che prima di scomparire nel mattatoio di Mauthausen, invia lettere dalle tappe della sua via crucis.
E scrive ai suoi cari: «Fate il vostro dovere sempre». E ancora: «Dio ci aiuterà, coraggio».
 
Il volume che porta i «marchi» del Laboratorio di storia di Rovereto e della Presidenza del Consiglio provinciale di Trento verrà inviato – ha detto il Capo di Gabinetto, Renzo Fracalossi – a tutte le famiglie coinvolte nella ricerca.
Simbolicamente, oggi una copia è stata messa nelle mani di Bruna Trainotti, 87 anni di Ala, sorella del carabiniere Lino, che la tragedia dell’8 settembre 1943 gettò nelle mani del nuovo nemico.
 
Bruna ha preso la parola, ha raccontato che solo nel 1999 – grazie al lavoro editoriale di un giornalista torinese – le prime tracce del proprio caro sono emerse dall’oblio.
Lino era finito a Dora Mittelbau, stroncato in soli quattro mesi dalle condizioni bestiali di lavoro nelle gallerie in cui Hitler «covava» le bombe V1 e V2.
Un traguardo eccezionale, «Almeno i nomi». Ma anche un «work in progress», tappa di una ricerca che – ha detto Venegoni – non finirà mai.
Altre storie si possono scoprire e questo volume le riporterà in superficie.
 
Enrico Paissan, presente in sala Depero stasera, si portava dietro la propria: papà Tullio fu deportato in Germania e morì a Solbad Hall, in Austria.
La storia numero duecentotre…

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