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Premio «Alcide De Gasperi-Costruttori dell’Europa»

Cerimonia Premio De Gasperi a Simone Veil

Il premio «Alcide De Gasperi-Costruttori dell'Europa» giunge quest'anno alla sua terza edizione e la giuria completa in qualche modo, con l'assegnazione del riconoscimento a Simone Veil, una trilogia che ricorda da vicino il motore iniziale della dinamica europea. Anche qualsiasi studente universitario che affronta un corso base di storia contemporanea apprende che all'origine di questa grande avventura ci furono Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman, dunque un italiano, un tedesco e un francese. Ora questo premio ha già onorato nelle sue precedenti edizioni un grande tedesco, Helmut Kohl, a cui si lega il processo conclusivo che ha riportato in Europa la Germania tutta intera e che ha aperto la via per il ricongiungimento ideale con la parte orientale del nostro continente, separata a lungo dalla guerra fredda. E' stata poi la volta di un grande italiano, Carlo Azeglio Ciampi, che è stato centrale nel continuare in Italia quell'opera di inserzione nell'Europa che iniziò De Gasperi nel nostro tormentato dopoguerra.
Ora la giuria del premio ha voluto che il riconoscimento andasse ad una personalità della Francia, perché si è giudicato importante non perdere quella memoria storica che è radice del presente, importante richiamare la necessità che anche nel non facile passaggio attuale si avesse davanti la consapevolezza che le svolte storiche camminano sulle gambe degli uomini e delle nazioni che accettano di fare da battistrada.
La motivazione del premio spiega bene la particolare pregnanza della figura di Simone Veil, una personalità che incarna in modo forte le vere radici storiche da cui nasce l'avventura europea. Certo noi possiamo andare molto indietro e sfumare queste radici in culture comuni, in dialoghi fecondi che si sono avuti fra uomini illuminati e anche nella condivisione di un contesto dato dal cristianesimo che ha saputo nella sua storia essere momento di attrazione, rielaborazione e sintesi delle precedenti culture greca, latina, giudaica, ma pure di tante esperienze che venivano da radici meno letterariamente elaborate dei popoli del nostro continente.
Tuttavia, senza negare l'arricchimento che può venire da questa prospettiva di lungo periodo, la radice prima dell'Unione Europea è stata trovata per così dire nelle ceneri del continente, quelle che fisicamente lo coprivano alla fine della Seconda Guerra Mondiale. E' stato in questa grande apocalisse storica che quelli che davvero meritano di essere chiamati «spiriti magni» hanno trovato le ragioni per affermare che la garanzia del ripetersi di una tragedia di queste dimensioni non poteva che essere nel disegnare una nuova forma istituzionale che incarnasse la via della pace e dello sviluppo.
Come a quelle tragiche conseguenze si era arrivati nella incapacità di dominare il rapporto tra stato-nazione e stato-potenza, così ora si doveva operare per produrre una istituzione che, senza rinnegare quel che di buono vi era nelle ritrovate identità nazionali, le correlasse in un rapporto di solidarietà reciproca e additasse loro quell'obietto che oggi si descrive con la felice formula di «Europa potenza civile».
Simone Veil ha avuto il suo tragico battesimo politico nel momento più oscuro del sonno della ragione europea, in quel terribile contesto chiamato brutalmente "soluzione finale" e che tale sembrò essere davvero, ma non nel senso voluto dai folli carnefici che la pianificarono, ma nel senso della fine del banale orgoglio della razionalità europea come capace da sola di dominare il mondo.
In un contesto come quello odierno che tende troppo a rimuovere e dimenticare, a ridurre grandi tragedie a rappresentazioni opache senza capacità di sfidare le nostre coscienze, è dovere di tutti coloro che con ruoli e responsabilità diverse servono la res publica affermare con chiarezza che non si deve rimuovere e dimenticare, perché la pace, come ci ha ricordato un grande Pontefice, è opera della giustizia e la prima giustizia è la nostra responsabilità verso il passato.
Siamo in una terra che la storia ha attraversato più volte scrivendo pagine importanti: pagine di dialogo fra civiltà diverse, di ibridazione fra culture concorrenti, come si addice a chi vive lungo una grande via di congiunzione dei diversi "mondi" europei. E, concedetemi un po' di localismo, i dialetti delle nostri valli sono pieni di parole prese in parte dal latino/italiano, in parte dal tedesco, in parte dal francese. Ma altre volte le ibridazioni storiche che hanno percorso questa terra hanno scritto pagine tragiche.
Quest'anno ricorre anche il 90° della fine della prima guerra mondiale e non occorre che ricordi cosa questa ha significato per il Trentino. Si celebra l'evento con mostre ed iniziative, ancora una volta per dire che noi non dimentichiamo, pur avvertendo che non si tratterà di un ricordo retorico e nazionalistico, ma di una riflessione piena di rispetto e di pietas davanti ad una grande tragedia storica.
Simone Veil è pienamente dentro questa storia così drammatica e complessa, anche se essa si identifica, dopo la notte di Auschwitz, con l'alba della ricostruzione e della rinascita.
Oggi non siamo per fortuna in condizioni così scopertamente tragiche, ma viviamo pur sempre una fase di passaggio difficile e complicato che semina angoscia e sgomento nelle nostre popolazioni, che dopo più di mezzo secolo di prosperità si chiedono se i nostri figli continueranno in quel trend che sino a ieri aveva garantito alle nuove generazioni un futuro migliore di quelle che le avevano messe al mondo. Perché tacere di fronte a tutto questo?
Se noi diciamo che l'Europa è la più forte risposta su cui possiamo fare conto per guardare con più fiducia al futuro, per uscire da quella crisi di cui spesso si parla, dobbiamo sapere che questa risposta è disponibile per noi, perché persone come Simone Veil hanno combattuto e lavorato sodo per mettercela a disposizione.
Forse nel momento attuale la «risorsa Europa» non è pienamente apprezzata, anzi circolano molte forze antitetiche, talora in maniera consapevole, talora in modo inconscio e confuso, le quali forze invitano se non a buttare a mare quell'Unione Europea che abbiamo davanti, a congelarla in una ristretta dimensione di libero mercato che lasci una falsa libertà d'azione a quelli che vengono presentati nei vecchi panni dei presunti interessi nazionali.
Non è certo questa la dimensione in cui si è mossa Simone Veil, di cui la motivazione del premio ricorda la decisione, davvero emblematica, di chiedere una sospensione nella sua posizione di giudice costituzionale per battersi per il sì nel disgraziato referendum francese del 2005, dove invece prevalse il no al Trattato Costituzionale Europeo.
Davanti alla memoria storica della prima e seconda guerra mondiale, che entrambe morsero le carni della nostra terra, possiamo davvero dire che il nostro europeismo non può essere di maniera e neppure quello di entusiasti senza senso della realtà. L'Europa è una costruzione e questa si basa sul paziente lavoro quotidiano, su una «pedagogia dell'Europa» come ama dire un altro grande francese, Jacques Delors. Essa deve trovare un momento forte nella rappresentanza delle sue istituzioni a partire dal Parlamento Europeo.
Di questo sono profondamente convinti tutti coloro che hanno dedicato riflessione ed azione alla vicenda ormai plurisecolare del costituzionalismo europeo, quella vicenda che fu così cara ad Alcide De Gasperi che ne era e se ne sentiva parte integrante. So bene, e sarebbe miope fingere che non esista questo problema, che ci sono grandi discussioni sulla reale portata della rappresentatività del Parlamento Europeo che l'anno prossimo andremo a rinnovare. Le discussioni possono essere proficue, ma al patto che, come ci ricordava sempre De Gasperi, esse siano costruttive, siano orientate a farci fare dei passi avanti.
Quel che sappiamo, e che Simone Veil ci ricorda con la sua stessa presenza nella qualità di presidente per un lungo periodo del primo Parlamento Europeo eletto a suffragio universale, è che in Occidente non c'è legittimità politica senza rapporto con poteri fondati su quella rappresentanza che deriva dalla sovranità del popolo. Dobbiamo trovare la forza e il modo per riaffermarlo perché altrimenti l'Europa non troverà la sua strada e il posto che le spetta nel contesto della grande transizione storica che viviamo.
Non si tratta di proporre rituali, passaggi burocratici o cose simili. Si tratta di dare sangue, gambe e contenuto ad una rappresentanza che deve divenire la sede in cui le classi dirigenti europee imparano a costruire, nel confronto e nel lavoro comune, un idem sentire de re publica (consentitemi di riproporvi questa bella formula classica). Del resto così è accaduto anche nella costruzione degli stati nazionali.
Qui siamo in una terra di confine e dunque siamo, vorrei dire, Europei per necessità oltre che per vocazione. Non certo perché ci vergogniamo della nostra identità trentina, di cui anzi andiamo molto fieri, ma perché siamo consapevoli che essa cresce e si arricchisce solo se potrà essere giocata e fatta valere in un contesto più vasto.
Ancora una volta grazie al Premio c'è l'occasione di ribadire che questa è la grande lezione che ci ha lasciato in eredità Alcide De Gasperi, mai dimentico o vergognoso di essere figlio di questa terra, mai disposto a chiudersi in questo localismo dimenticandosi che il suo orizzonte era l'orizzonte dell'Europa.
Simone Veil ci ricorda, per altri percorsi umani e culturali, questa stessa lezione. Ce la ricorda anche, ed è un punto che non voglio dimenticare, come donna. Se c'è stata una rivoluzione in questo ultimo mezzo secolo essa ha riguardato l'avvento della questione femminile al centro della scena. E' stato un progresso culturale che ci ha arricchito tutti e che salutiamo come una delle conquiste dei nuovi orizzonti che si sono aperti dopo le due grandi guerre. In questo campo c'è molto da lavorare, non solo fra noi, ma anche, e non mi pare secondario, in quanto terra di destinazione delle migrazioni quale l'Europa è diventata, accogliendo popoli che possono ricevere da noi questo messaggio di progresso culturale verso la posizione e i diritti delle donne, così come noi possiamo ricevere da loro una più attenta valutazione di altri valori che forse abbiamo un po' messo in sordina, quali per esempio l'impegno nel miglioramento delle proprie condizioni di vita attraverso la accettazione di un percorso anche di sacrificio.
Se questa occasione potrà servire a riattivare la nostra capacità di riflessione su quanto la storia, intesa in senso forte, ha da insegnarci e su quanti segnali il presente ci manda pur in forme a volte criptiche, avremo, credo, reso il vero omaggio che la nostra terra, il Trentino e l'Italia, continua a voler dare al suo grande figlio Alcide De Gasperi. E lo avremo fatto ancora una volta nell'occasione di rendere omaggio a chi, come Helmut Kohl, Carlo Azeglio Ciampi, Simone Veil, ha continuato la sua opera di costruttore dell'Europa.

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