Alle ore 2.40 del 25 luglio di 80 anni fa crollava il fascismo/ 2
Con un semplice voto democratico del Gran Consiglio crollava la «dittatura costituzionale» durata più di 20 anni – Parte seconda, il Gran Consiglio
Il Gran Consiglio del Fasciscmo in una foto di repertorio.
(Link alla prima puntata)
Formato fin dal dicembre 1922 a cioè poco dopo la Marcia su Roma - e modificato successivamente più volte, il Gran Consiglio del Fascismo era diventato l’organo costituzionale più importante del Paese.
Oltre che da Duce, era composto di diritto da queste personalità:
- I quadrumviri della Marcia su Roma (Italo Balbo, Emilio De Bono, Cesare Maria De Vecchi e Michele Bianchi);
- Il Presidente del Senato del Regno;
- Il Presidente della Camera dei deputati (dal 1939 era la Camera dei fasci e delle corporazioni);
- I Ministri degli affari esteri, dell'interno, di grazia e giustizia, delle finanze, dell'educazione nazionale, dell'agricoltura e foreste, delle corporazioni (dal 1935 anche della stampa e propaganda e, dal 1937, quello della cultura popolare);
- Il Presidente dell'Accademia d'Italia;
- Il Presidente del Tribunale speciale per la difesa dello Stato;
- Il segretario e i due vicesegretari del PNF;
- Il Capo di stato maggiore della MVSN (Milizia volontaria per la sicurezza nazionale);
- I presidenti delle confederazioni nazionali fasciste e delle confederazioni nazionali dei sindacati fascisti dell'industria e dell'agricoltura.
Oltre ai suddetti membri di diritto, potevano essere chiamati a farne parte ulteriori componenti nominati con decreto dal capo del governo, che duravano in carica un triennio, con possibilità di conferma, ma anche revocabili in ogni momento.
Il Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 in una ricostruzione del Museo delle Cere.
Il Gran Consiglio non era più stato convocato dal 1939 ma, data la situazione, anche a Mussolini parve necessario discuterne ai massimi livelli del partito. Il nemico era in Italia, non c’era tempo da perdere.
La riunione del Gran Consiglio che avrebbe deposto Mussolini fu convocata per il 24 luglio 1943 ed era composta da 28 membri. Eccoli:
Emilio De Bono (quadrumviro), Cesare Maria De Vecchi (quadrumviro), Dino Grandi (presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni), Alfredo De Marsico (ministro di grazia e giustizia), Giacomo Acerbo (ministro delle finanze), Carlo Pareschi (ministro dell'agricoltura e delle foreste), Tullio Cianetti (ministro delle corporazioni), Giuseppe Bastianini (sottosegretario agli esteri), Umberto Albini (sottosegretario agli interni), Luigi Federzoni (presidente dell'Accademia d'Italia), Giovanni Balella (presidente della Confederazione industriali), Luciano Gottardi (presidente della Confederazione lavoratori industria), Annio Bignardi (presidente della Confederazione lavoratori agricoltura), Alberto de' Stefani, Edmondo Rossoni, Giuseppe Bottai, Giovanni Marinelli, Dino Alfieri, Galeazzo Ciano.
Carlo Scorza (segretario del PNF), Carlo Alberto Biggini (ministro dell'educazione nazionale), Gaetano Polverelli (ministro della cultura popolare), Antonino Tringali Casanuova (presidente del Tribunale speciale), Ettore Frattari (presidente della Confederazione agricoltori), Enzo Galbiati (capo di stato maggiore della MVSN), Roberto Farinacci, Guido Buffarini Guidi.
E infine Giacomo Suardo (presidente del Senato del Regno).
Benito Mussolini con il genero Galeazzo Ciano.
Dino Grandi aveva predisposto una mozione di sfiducia nei confronti del Duce e la illustrò in anticipo ai membri del Gran Consiglio e perfino allo stesso Mussolini. Il quale non si oppose: molto probabilmente pensava che non sarebbe passata o che, passando, non avrebbe avuto alcun valore concreto. E magari usciva dal cilindro qualche idea per affrontare la tragica situazione.
Alle ore 17 del 24 giugno 1943, i 28 membri del Gran Consiglio si radunarono nella «Sala del Pappagallo» di Palazzo Venezia, che si trova a fianco della Sala del Mappamondo, dove abitualmente lavorava il Duce.
Tutti indossavano la sahariana nera, l’uniforme prevista dal regolamento.
Sappiamo che qualche membro era andato a confessarsi prima di recarsi al Gran Consiglio e che qualcuno si era portato addirittura delle granate in cartella. Granate che al momento opportuno distribuì ad altri colleghi vicini, ma che non furono mai usate.
Stranamente, il Duce non aveva convocato né le sue guardie del corpo, né i Battaglioni M… Era così sicuro di sé? E, ancora più stranamente, quando il segretario del partito Carlo Sforza fece l’appello e chiese la presenza degli stenografi, Mussolini si oppose. Così non fu redatto alcun verbale e tutto quello che sappiamo proviene dalle testimonianze dei singoli partecipanti, Duce compreso.
Tramite loro conosciamo l’intervento introduttivo del Duce, mentre il testo dell’Ordine del Giorno Grandi è esatto perché era stato redatto, battuto a macchina e distribuito ai partecipanti per la firma.
Ecco cosa disse in apertura Mussolini:
«Ora il problema si pone. Guerra o pace? Resa a discrezione o resistenza a oltranza?... Dichiaro nettamente che l'Inghilterra non fa la guerra al fascismo, ma all'Italia.
«L'Inghilterra vuole un secolo innanzi a sé, per assicurarsi i suoi cinque pasti. Vuole occupare l'Italia, tenerla occupata.
«E poi noi siamo legati ai patti. Pacta sunt servanda.»
Ecco invece il testo dell’Ordine del Giorno Grandi (foto nel testo):
Il Gran Consiglio del Fascismo, riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia in cui più risplende l'univoca fede del popolo italiano, rinnovando le nobili tradizioni di strenuo valore e d'indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate, esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra;
proclama il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l'unità, l'indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l'avvenire del popolo italiano;
afferma la necessità dell'unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;
dichiara che a tale scopo è necessario l'immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;
invita il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l'onore e la salvezza della Patria assumere con l'effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell'aria, secondo l'articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.
Grandi lo pone ai voti e ne ottiene 19 a favore, 8 contrari, e un astenuto.
Grandi aveva suggerito a Ciano, genero di Mussolini, di astenersi. Ma Ciano votò contro il Duce.
Nell’elenco dei partecipanti pubblicato sopra, abbiamo tenuto divisi i favorevoli dai contrari e dall’astenuto andando a capo.
Dopo l'approvazione dell'O.d.G. Grandi, Mussolini ritenne inutile porre in votazione le altre mozioni e tolse la seduta.
«Chi porta questo ordine del giorno al Re?» – Domanda Mussolini.
«Tu.» – Rispose Grandi.
Alle 2:40 del 25 luglio i presenti lasciarono la sala. Per questo la mozione Grandi porta la data del 25 luglio di un Gran Consiglio iniziato il 24.
Giuseppe Bottai.
Sciolta la seduta, tutti se ne andarono, meno Mussolini che andò nel suo ufficio, La sala del Mappamondo, accompagnato da coloro che avevano votato No. Chiese loro la validità costituzionale del documento, ricevendo come risposta che «Ha solo valore consultivo».
Il Duce ripeté che andava sottoscritto l’armistizio con la Russia per impiegare le forze armate solo contro gli alleati occidentali. Era un consiglio rivolto a chi lo avrebbe sostituito?
Quando se ne andarono anche i suoi sostenitori, telefonò alla Petacci per dirle che «È finito tutto, mettiti al riparo».
Tornato a casa, in Villa Torlonia, aggiornò la moglie Rachele.
«Li hai fatti arrestare? – Domandò al marito. – Domani sarà troppo tardi.»
Ma Mussolini non era Hitler.
Grandi invece andò a piedi al suo alloggio in piazza Montecitorio, a lui riservata in quanto presidente della Camera. Lungo la strada incontrò il duca di Acquarone, ministro della Real Casa, che lo stava aspettando per sapere come era andata. Grandi gli fece vedere la copia
del suo ordine del giorno con a fianco le firme dei sostenitori della mozione.
Si trasferirono in una sede diversa e più sicura per discutere sul come procedere. Secondo Acquarone, adesso il Re aveva l’incipit per rimuovere Mussolini. Il nuovo capo del governo avrebbe dovuto essere Badoglio. Grandi si irritò a sentire quel nome ed elencò i motivi per cui era la persona sbagliata. Ma la decisione era stata già presa.
Galerazzo Ciao.
Poi suggerì i nomi dei ministri da affiancare al nuovo capo del governo. Il suo nome non c’era. Rappresentavano tutte le ideologie non fasciste e tra questi nomi troviamo anche Alcide De Gasperi. Come sappiamo, Badoglio avrebbe formato un governo di testa sua.
Grandi fece avere una copia anche al Vaticano, mentre Acquarone corse al Quirinale dal Re per aggiornarlo.
Il Re firmò il decreto che nominava Capo del Governo Pietro Badoglio e lo fece recapitare al maresciallo per la firma di accettazione.
Badoglio ovviamente era informato da tempo sulle intenzioni del Re e non attendeva altro.
Il resto sarebbe accaduto nel pomeriggio di quella stessa domenica.
Guido de Mozzi
(Continua domani con l'ultima puntata)
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