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A 80 anni dall’8 settembre 1943. Terza Parte: i nostri soldati

Sordi, nel film «Tutti a casa», telefona al suo colonnello: «Comandante, i tedeschi ci hanno tradito. Ci sparano addosso!» – La strage di Cefalonia

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(Puntata precedente)
 
Abbiamo sottotitolato con la storica battuta di Alberto Sordi, perché rende perfettamente l’idea di quanto la confusione generata da un Governo improvvisato avesse sostanzialmente disfatto il nostro esercito.
L’armistizio di Cassibile era stato preso senza tener conto dei mille problemi che avrebbe creato, anche se il Governo aveva avuto tutto il tempo di organizzarsi.
Secondo l’armistizio, l’Italia doveva consegnare la flotta e gli aerei agli Alleati. Per gli aerei non c’erano problemi, perché ce ne erano rimasti pochi, a fronte di 180mila militari dell’aeronautica…
Quando fu il momento di consegnare le nostre navi – le più belle del mondo di allora, ancorché indebolite dalla mancanza del radar – il ministro della Marina era già nel Regno del Sud e il comandante in capo rimasto al Nord decise che sarebbe stato meglio autoaffondare la flotta. Ma non ci riuscì.
La Corazzata Roma, uscita dal porto della Spezia, fu intercettata dai tedeschi nei pressi della Maddalena e affondata. L’ordine era «Rispondere agli eventuali attacchi»? E così abbiamo sparato agli aerei tedeschi quando questi avevano già sganciato le loro nuove bombe filocomandate. Morirono 1.393 uomini su un equipaggio di 2.021.
Dopo questo terribile episodio, la flotta fu consegnata alle basi alleate del nord Africa. Ai nostri ragazzi fu concesso l’onore delle armi.
 

La Corazzata Roma.
 
E l’Esercito?
L’8 settembre l’Italia aveva arruolato due milioni e mezzo di uomini. Un milione era in Italia e poco meno di 900mila erano distribuiti in vari teatri di guerra: in Francia (230.000), in Iugoslavia (300.000), in Grecia e Albania (350.000) di cui 50 mila nelle isole egee.
Altri 600.000 erano prigionieri, dei quali 125.000 in mano agli americani (di cui 50.000 deportati negli Usa) e gli altri nei vari territori del Commonwealth.
Di quelli presenti in Italia, Rommel ne disarmò senza difficoltà più di 415.000 nell’Italia del Nord, compresi 83 generali. Kesselring ne disarmò più di 102.000 nell’Italia del Sud. Più che comprensibile, vista l’inesistenza di direttive dei nostri comandi.
Ma non fu un’operazione senza spargimento di sangue. Quando i tedeschi si impadronirono dell’Alto Adige, furono accolti da liberatori dalla gente di madrelingua tedesca. I soldati italiani invece vennero disarmati e raccolti in vari campi di concentramento per tenerli sotto controllo.

All’alba del 9 settembre, per impadronirsi delle caserme di Trento, nella maggior parte dei casi spararono alle sentinelle a sangue freddo per poi fare irruzione nei caseggiati. Non sappiamo quanti morirono, ma si trattò di assassinii veri e propri.
In tutto furono deportati in Germania 600.000 soldati italiani, tutti quelli che non vollero arruolarsi per la Repubblica di Salò. Cioè quasi tutti. Veri e primi eroi della Resistenza. 
I nostri soldati in Francia si arresero senza problemi.
Per i ragazzi nelle isole egee invece fu una tragedia immane.
 
A Rodi risiedeva il comandante delle forze armate dell’Egeo, che era l’ammiraglio Inigo Campioni.
Campioni ricevette l’ordine di «arrangiarsi» (il termine non era questo, ma in sostanza era così) e lui fece buon viso a cattivo gioco. Si accordò con i Tedeschi e rimase a dirigere la pubblica amministrazione come un governatore, lasciando il comando militare ai tedeschi.
Quando venne rimpatriato nella Repubblica di Salò, tuttavia, venne processato e fucilato come traditore insieme al contrammiraglio Mascherpa che aveva combattuto contro i tedeschi.

Il generale Antonio Gandin.

Ma le cose andarono peggio nelle isole di Cefalonia e di Corfù, dove avevamo delle guarnigioni il cui compito era rispettivamente difendere l’accesso alla Grecia da Patrasso e l’ingresso nell’Adriatico.
Al momento dell’armistizio il comando italiano aveva inviato al Generale Gandin (eroe di Russia), comandante della Divisione Aqui, il noto ordine «di reagire solo se attaccato».
Se avesse ricevuto ordini precisi, sarebbe stato ampiamente in grado di sostenere la difesa delle isole di sua competenza. Così invece dovette concedere tempo ai tedeschi di rinforzarsi sia in termini di uomini che di armamenti.
Gandin, deciso a resistere, chiese rinforzi all’Italia e il contrammiraglio Galati, comandante di Brindisi, inviò due torpediniere cariche del materiale necessario. Erano navi che Galati non aveva voluto consegnare agli alleati. Ma, intercettato da navi inglesi, fu fatto rientrare a Brindisi.
Gandin si trovò solo e ormai in condizioni di inferiorità. Tuttavia combatté finché non si trovò allo stremo e alla fine dovette arrendersi.
E cosa accade? I tedeschi fucilano 5.000 italiani, trattati come traditori. Tra le vittime tutti gli ufficiali, generale compreso.
Non solo. Mentre i superstiti vennero trasportati via mare come prigionieri, un sommergibile alleato silurò la nave e nell’affondamento morirono altri 1.900 italiani.
Le cifre non sono esatte. Esistono varie versioni e la verità non verrà mai fuori. Ma ci rifiutiamo di discutere sui numeri di una tragedia di questo genere.
Nel dopoguerra, l’Italia ha chiesto di processare i responsabili della strage. I quali però, o morirono prima della sentenza, o ebbero il non luogo a procedere perché gli italiani erano traditori e non nemici.
Era la fine di settembre e la dichiarazione di guerra fu inviata alla Germania solo a metà ottobre…
 

Il ritorno dei caduti a Cefalonia.

Un aneddoto che ci riguarda. Quando i tedeschi ammazzarono gli italiani che si erano arresi, un militare della Wermacht si accorse che un italiano da fucilare parlava tedesco.
Gli chiese chi fosse e lui, in tedesco, rispose che era altoatesino di lingua tedesca.
Il soldato tedesco gli disse allora di buttarsi a terra e di fingersi morto, che lo avrebbe risparmiato.
Lui obbedì e sopravvisse alla strage.
Questo lo sappiamo perché abbiamo avuto modo di conoscerlo in una conferenza tenuta all’Università di Trento sulla strage di Cefalonia, dove era venuto a raccontare la sua avventura che abbiamo riportato.
 
Stessa sorte fu riservata anche ai nostri ragazzi a Corfù. Il colonnello Luigi Lusignani, comandante della piazza, resistette alle lusinghe dei tedeschi e combatté. Quando rimase con soli 200 uomini, depose le armi.
Fu fucilato il 27 settembre insieme ai suoi uomini. Come traditori.

Guido de Mozzzi – g.demozzi@ladigetto.it

(Continua e si conclude domani)

Memoriale caduti di Cefalonia.


 Che fine ha fatto l'autore dell'eccidio di Cefalonia?
L'eccidio di Cefalonia ha tuttora un solo colpevole: il generale Kurt Hubert Lanz
Nato a Entringen il 22 maggio 1896, intraprese la carriera militare fino a diventare Generale comandante delle truppe di montagna.
Nel 1943, quale Comandante del 22º Corpo d'Armata tedesco, coordinò le unità impiegate nella battaglia dell'Isola di Cefalonia e nelle successive massicce fucilazioni di militari italiani inquadrati nella 33ª Divisione di fanteria «Acqui».
Alla fine della guerra venne condannato dal tribunale di Norimberga a 12 anni di reclusione ma, al solito, ne scontò solo tre.
Rilasciato nel 1951, è entrato nel Partito Liberale Democratico in qualità di consulente per questioni militari e di sicurezza.
È morto in tutta serenità a Monaco di Baviera il 15 agosto 1982

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