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Festa della Liberazione, 25 aprile 2023

L'intervento del sindaco Ianeselli alla cerimonia a Palazzo Geremia

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Coma da tradizione del nostro giornale, il 25 aprile pubblichiamo l’intervento del sindaco di Trento, Franco Ianeselli.
Come sempre si tratta di un intervento che tiene conto del clima che si respira nella ricorrenza di questo 2023 e cita un significativo aneddoto che riporta il dialogo tra due esponenti delle fazioni opposte avvenuta dopo la Liberazione.

Care cittadine, cari cittadini, autorità,

Il 25 aprile che tutti gli anni festeggiamo insieme non è solo una data, non è soltanto un anniversario. Quel giorno della primavera del 1945 è all’origine del nostro alfabeto politico, è la matrice della grammatica civile con cui è stata scritta la Costituzione dell’Italia repubblicana.
Credo che la celebrazione di oggi sarebbe un rito inutile se non riconoscessimo alla Festa della Liberazione questo valore fondativo e validante: fondativo delle nostre istituzioni, validante dei principi che regolano lo Stato e la vita associata.
Validante anche della correttezza del discorso pubblico, caduto in questo ultimo periodo in numerose e insistite sgrammaticature, come se qualcuno avesse l’obiettivo di delegittimare l’antifascismo, di rendere accettabile il revisionismo, di normalizzare le discriminazioni.
 
Questa è dunque l’occasione per ribadire che in Italia per dirsi democratici occorre anche dichiararsi antifascisti.
C’è un noto aneddoto che più di tante parole evidenzia la verità di questo sillogismo.
Un giorno il giornalista e politico missino Giorgio Pisanò, già volontario nella Decima Mas, disse a Vittorio Foa, sindacalista, parlamentare, diventato padre costituente dopo aver passato otto anni di prigionia nelle carceri fasciste: «Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano».
Foa gli rispose: «È vero abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore. Avessi vinto tu io sarei ancora in carcere».
È questa dunque la differenza tra fascismo e antifascismo: il secondo è una garanzia di legalità per tutti, il primo è invece l’affermazione dell’arbitrio antidemocratico e del sopruso liberticida.
 
Di questo dobbiamo essere consapevoli, e non per rivangare vecchie contrapposizioni, ma per rinnegare una volta per tutte i valori di un regime dittatoriale, antisemita e razzista, che ha chiuso il parlamento, vietato gli scioperi, alimentato la corruzione, adottato la violenza come metodo.
E, come non bastasse, ha precipitato l’Italia nell’abisso di una guerra di aggressione dolorosa e insensata.
 
La scelta dell’antifascismo non fu facile fin dall’inizio, ovvero fin da quando nell’Italia degli anni Venti iniziarono le violenze contro i non allineati e i dissidenti.
A quasi cent’anni dalla morte, avvenuta nell’agosto del 1923, è doveroso ricordare don Giovanni Minzoni, il prete emiliano amico dei lavoratori e dei giovani, promotore di cooperative e di gruppi scout, massacrato di botte dalle squadracce di Mussolini.
Poi ci fu l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti e il sistematico annientamento di ogni libertà a colpi di manganello e purghe all’olio di ricino.
A dimostrazione del fatto che, come andava ripetendo Sandro Pertini, il presidente della Repubblica partigiano, «il fascismo non è un’opinione: è un crimine».
 
Se l’Italia riuscì a riscattarsi da quel crimine diffuso, fu solo grazie a una ribellione che, prima ancora che politica o militare, fu morale ed esistenziale come ci insegna lo scrittore-partigiano Beppe Fenoglio.
Fu proprio questo la Resistenza: un’insurrezione delle coscienze, la scelta di una patria diversa, clandestina, invisibile, per la quale decine di migliaia di giovani finirono internati nei cambi di prigionia o andarono a combattere in montagna.
Altri diventarono staffette e sabotatori o aprirono cantine e soffitte a ebrei e oppositori politici.
 
Qualcuno insinua che i partigiani furono pochi e comunque irrilevanti per gli esiti della guerra.
Come ha scritto lo storico Alessandro Barbero, «l'idea che dopotutto la Resistenza abbia avuto poco o nessun peso, in termini strettamente militari, è da relegare nell'armamentario dei luoghi comuni, apparentemente così veri e invece imprecisi e faziosi».
La Resistenza fu infatti il «biglietto di ritorno» dell’Italia nel consesso degli Stati democratici, fu il salvacondotto di De Gasperi alla conferenza di pace di Parigi, fu la premessa ideale alla Repubblica e alla Carta costituzionale.
 
L’antifascismo non è di parte, come molti credono. Non è neppure identificabile con una tendenza politica, visto che la Resistenza comprendeva posizioni assai diverse, che andavano dalle forze della sinistra ai liberali, dai monarchici ai cattolici. Soprattutto l’antifascismo non è una gabbia ideologica che restringe gli orizzonti, ma un’aspirazione alla giustizia, alla libertà e alla fratellanza, è pensare se stessi insieme agli altri, a tutti gli altri, stranieri, ebrei, disabili, atei e fedeli di ogni religione.
Ecco perché, parafrasando Benedetto Croce, ancora oggi, a cent’anni dall’ascesa al potere del fascismo in Italia, non possiamo non dirci antifascisti.

Buon 25 aprile a tutti voi
Franco Ianeselli

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