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Giorno del Ricordo, l’intervento del sindaco di Trento Ianeselli

«I fatti che commemoriamo oggi per la grande maggioranza degli storici hanno un’evidenza quasi cristallina. Eppure ogni anno è oggetto di polemiche...»

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Cari cittadini, autorità,

Rivolgo il mio primo pensiero alle vittime delle foibe e alle migliaia di profughi che, a causa delle persecuzioni delle milizie comuniste di Tito in Istria e Dalmazia dopo l’8 settembre 1943, hanno dovuto lasciare le loro case, rinunciare alle proprie radici e intraprendere un esodo tanto ingiusto quanto doloroso.
Anche se i contorni della tragedia erano già allora chiari a tutti, quei profughi furono vittime anche quando arrivarono in Italia, Paese che li accolse con indifferenza e a volte anche con fastidio.
 
I fatti che commemoriamo oggi per la grande maggioranza degli storici hanno un’evidenza quasi cristallina. Eppure il Giorno del Ricordo ogni anno è oggetto di polemiche, distorsioni, fraintendimenti.
Talvolta le parole delle diverse fazioni sono così distanti, così incapaci di scalfire le convinzioni dell’interlocutore, da sembrare appartenenti a una lingua individuale, quella che i glottologi definiscono «idioletto» e che è comprensibile solo a pochi.
Credo che questo duello astrattamente ideologico sia uno spettacolo insopportabile per i familiari delle vittime.

Perché al ricordo straziante del trauma della violenza si aggiunge la sofferenza di non essere creduti, di veder sminuita un’atrocità, derubricata tutt’al più a incidente secondario della storia.
Forse è possibile rimediare a questa opacità, che purtroppo caratterizza anche altri avvenimenti del passato, solo tornando a raccontare, ad ascoltare le storie dei protagonisti, nella loro nuda e tragica semplicità.
 
Al termine di questa cerimonia consegneremo la medaglia concessa dal Presidente della Repubblica a Tullio e Chiara Rensi, figli di Aldo, che il 15 maggio del 1944 fu prelevato dalla sua casa di Pedena, in Istria, dalle milizie di Tito per poi sparire nel nulla. Secondo alcune voci sarebbe stato gettato nella foiba di Vines, secondo altre ucciso con una fucilata alle spalle e poi sepolto.
Aldo era fratello di monsignor Pietro Rensi, parroco del piccolo paese istriano di Pedena, autore di un diario prezioso in cui racconta come la Grande Storia si sia abbattuta sul suo paese facendo strage della vita sociale, delle biografie familiari e individuali dei suoi abitanti.
 

 
A Pedena come in gran parte dell’Istria e della Dalmazia i cittadini di lingua croata all’inizio del Novecento vivevano accanto a quelli di lingua italiana senza grandi problemi. Anzi le due lingue non di rado si mescolavano così come le famiglie e i cognomi. Poi il fascismo, l’occupazione tedesca con le spedizioni delle SS, il revanscismo jugoslavo sono passati sul paese come uno di quei tornado che abbattono ogni cosa. Pedena ha perso così l’85 per cento della sua popolazione, uccisa come Aldo Rensi oppure dispersa in varie località d’Italia.
 
I Rensi che ospitiamo qui oggi, figli di Aldo, sono i custodi di una memoria di cui ci dobbiamo sentire tutti responsabili. I loro ricordi luttuosi non sono una faccenda individuale o familiare né una vicenda minore da lasciare negli archivi: riguardano anche noi e rappresentano un memento che ci deve preservare nel presente e nel futuro dalla cecità e dalla violenza ideologica, dalla disumanizzazione del nemico. Fenomeni purtroppo non estranei alle cronache dell’inizio del terzo millennio.
 
Risuona spesso anche in questi giorni una domanda, a proposito dei conflitti di oggi e di quelli di ieri: tu da che parte stai? Simone Weil, una filosofa che ha conosciuto gli orrori della seconda guerra mondiale, ha scritto una frase di cui dovremmo far tesoro:
«Bisogna essere sempre pronti a cambiar parte, come la giustizia, eterna fuggiasca dal campo dei vincitor.»

Abbandonate le posizioni aprioristiche che ci impediscono di vedere e di spiegare la realtà, forse potremo aumentare il nostro grado di comprensione, rendere giustizia alle vittime, pacificare il ricordo e insieme la nostra quotidianità.
Solo così la memoria potrà diventare non uno sterile, infinito duello tra tesi contrapposte, ma una ricerca di senso capace di entrare in relazione con quanto stiamo vivendo. Una memoria che salva, che ci rende più liberi e migliori.

Buon Giorno del Ricordo a tutti voi.

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