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Il 10 giugno di 100 anni fa veniva ucciso Giacomo Matteotti

Nato da una famiglia di origini trentine, rappresenta la forza vincente della resistenza

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Giacomo Lauro Matteotti era nato in provincia di Rovigo il 22 maggio 1885, da una famiglia originaria di Comasine in Val di Pejo. Quindi trentina.
Il padre chiuse l’attività di commerciante di materiali ferrosi e acquistò i terreni espropriati alle parrocchie, raggiungendo una buona posizione economica.
La famiglia ebbe 7 figli, quattro dei quali morirono in tenera età e altri in età maggiore. Tutti si impegnarono in politica, militando nel Partito Socialista Italiano.
Nel 1916 Giacomo si sposò con Velia Titta con rito civile, dalla quale ebbe tre figli, due dei quali divennero deputati socialisti.
Non fu arruolato per combattere nella Grande Guerra in quanto figlio unico di madre vedova. Fu sempre sostenitore della neutralità italiana.
 
Matteotti fu eletto in Parlamento per la prima volta nel 1919 nel collegio di Ferrara e fu poi rieletto nel 1921 e infine nel 1924.
Nel 1922 Matteotti fu espulso dal Partito Socialista insieme a tutta la corrente «riformista», e fondò il partito Socialista Unitario.
Il 6 aprile 1924, il Partito Socialista Unitario ottenne il 5,9% dei voti, diventando così il secondo partito d’opposizione.
Come si ricorderà, le elezioni del 1924 - volute da Mussolini due anni dopo la Marcia su Roma – avvennero in un clima di intimidazione, generato dalle stesse bande fasciste che avevano contrastato le bande rosse.
Molti parlamentari di minoranza protestarono per la poca credibilità dei risultati delle elezioni, ma solo Matteotti pronunciò il suo famoso discorso denunciando le violenze, le illegalità e gli abusi commessi dai fascisti per riuscire a vincere le elezioni.
 
«[...] Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. [...] L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. [...] Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà... [...] Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse»
 
Terminato il discorso disse, rivolgendosi a Giovanni Cosattini, seduto accanto a lui, indirettamente ai suoi compagni di partito: «Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.»
 

L'auto in cui fu ucciso Matteotti.
 
Qui gli storici si dividono. Alcuni dissero che il suo assassinio fu ordinato dal Duce, altri che il Duce si limitò a chiedere di trovare il modo di farlo star zitto.
Non che cambi molto, sia ben chiaro, ma un morto ammazzato dai fascisti sarebbe stato un serio problema per Mussolini. E comunque, anche se Mussolini era entrato nelle Istituzioni, i suoi squadristi non avevano mai smesso di agire con la forza contro ogni contestazione. È stato il problema di molti dittatori. Una volta raggiunto il potere, cosa fare delle mande che ti hanno aiutato?
Fatto sta che alle ore 16 del 10 giugno 1924, Matteotti uscì di casa dirigendosi verso la Camera dei deputati per preparare il suo intervento sull'autorizzazione dell'esercizio provvisorio del bilancio statale.
Giunto sul lungotevere incrociò una Lancia Trikappa nera in sosta con a bordo alcune persone: ad attenderlo era la squadra fascista di Amerigo Dùmini, che rapì il deputato caricandolo in auto.
Il rapimento andò male. Matteotti non intendeva arrendersi e si ribellò con tutte le sue forze. Per farlo star zitto, uno dei rapitori prese una lima senza manico e colpi più volte Matteotti. Uno di questi colpi uccise il deputato.
Di fronte a questo imprevedibile incidente Dumini e i suoi cercarono un posto dove seppellirlo alla meno peggio. Secondo alcuni storici, se avessero voluto ucciderlo non lo avrebbero assassinato in auto e comunque non avrebbero cercato di sbarazzarsi del corpo.
 
La mattina successiva la moglie Velia, preoccupata dalla prolungata assenza del marito, decise di avvisare i suoi più stretti compagni di partito tra cui FilippoTurati e Giuseppe Emanuele Modigliani, che la sera dell'11 giugno denunciò la scomparsa di Matteotti al
questore Cesare Bertini, già avvertito dell'accaduto dal capo della polizia Emilio De Bono.Nello stesso momento fu avvertito dell'accaduto anche Benito Mussolini, e nel pomeriggio del giovedì 12 giugno la notizia divenne di pubblico dominio.

L'assassino materiale di Matteotti.

Il giorno successivo Mussolini tentò di rassicurare l'aula sull'accaduto, ma le opposizioni in segno di protesta diedero inizio all'astensione dai lavori parlamentari. Mussolini, messo in chiara difficoltà, fece avviare le indagini e già il 14 giugno iniziarono i primi arresti, per poi proseguire nei giorni successivi. Durante gli interrogatori, Albino Volpi confermò l'assassinio del deputato e raccontò cosa successe durante la lotta nell'abitacolo dell’auto.
 
Il 27 giugno le opposizioni commemorarono ufficialmente la morte di Matteotti dando ufficialmente inizio alla «secessione dell'Aventino», e in tutta Italia molti lavoratori si astennero dal lavoro per circa dieci minuti.
Il corpo di Matteotti fu ritrovato solo il 16 agosto nelle campagne del comune di Riano, a circa 20 km dal centro di Roma, e il 21 agosto la salma arrivò a Fratta Polesine dove si svolsero i funerali.
Mussolini si assunse la piena responsabilità dell’accaduto e annunciò di assicurare alla giustizia i colpevoli.
Dumini fu arrestato il 12 giugno 1924 alla Stazione di Roma Termini, mentre si accingeva a partire per il nord Italia e tradotto nel Carcere di Regina Coeli.
Nella valigia che trasportava, furono trovati indumenti insanguinati appartenuti al deputato Giacomo Matteotti, scomparso due giorni prima.
Tra il 16 e il 24 marzo 1926 si svolse il processo contro Dumini e le altre persone implicate nell'omicidio.
La vicenda giudiziaria si chiuse con tre assoluzioni e tre condanne (tra cui lo stesso Dumini) per omicidio “preterintenzionale” tutte a cinque anni, undici mesi e venti giorni, di cui quattro anni condonati in seguito all'amnistia generale del 1926.
 
Uscito di prigione, Dumini iniziò la carriera di ricattatore, pretendendo dal partito premi, ricompense e il pagamento delle spese processuali.
Poco dopo la sua scarcerazione si presentò alla presidenza del Consiglio, pretendendo di parlare con Mussolini: «Sono qui per lavarmi dal sangue di Matteotti».
Il Tribunale di Viterbo lo condannò, il 9 ottobre 1926, a quattordici mesi di detenzione per porto abusivo d'armi e oltraggio a Mussolini.
Nel 1927 fu di nuovo libero, per grazia sovrana e le alte sfere cercano di sbarazzarsi definitivamente di lui mandandolo in Somalia, dove si trasferì nell'estate 1928, garantendogli una pensione di cinquemila lire al mese, che per l'epoca era una somma notevole.
Anche qui, però, Dumini fu arrestato in ottobre, rispedito in Italia e condannato a cinque anni di confino. Tra gli altri luoghi, scontò parte della pena alle Isole Tremiti.
Nel novembre del 1932 fu nuovamente liberato, ma fu nuovamente arrestato il 12 aprile 1933.
Intanto fa sapere a Emilio De Bono di aver consegnato a dei notai texani un manoscritto con la verità sul delitto Matteotti. Il ricatto ancora una volta funziona e viene posto di nuovo in libertà su ordine di Mussolini, con un indennizzo di cinquantamila lire.
Morì nel 1967.
 
Mussolini non uscì indenne dalla squallida uccisione di Matteotti. In un paese democratico come era l’Italia, si sarebbe dovuto dimettere.
Ma, guardandosi intorno, si accorse che al suo posto sarebbero andati personaggi non solo facinorosi come Farinacci, ma soprattutto nessuno in grado governare il Paese. Sarebbe stata la fine del Fascismo.
Per questo motivo, Mussolini cambiò la costituzione per aprire la strada alla sua dittatura.
Decise di sciogliere il Parlamento e, quando alo annunciò alla Camera, i deputati applaudirono.
Da non credere. L’insegnamento di Matteotti si era perduto, come fumo che soffia nel vento.

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