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L’aumento dei tassi costerà alle imprese 15 miliardi

La mossa della Lagarde ha l’effetto del sale sulle ferite, perché mira solo a consolidare l’euro e non a salvare l’economia

Nel 2023 l’aumento dei tassi di interesse costerà alle imprese quasi 15 miliardi in più. La decisione della Presidente della BCE Christine Lagarde è stata assunta per rallentare l’inflazione.
Ma dato che l’inflazione non è generata da un’eccessiva circolazione del denaro nell’Area Euro ma da un aumento incontrollabile dei prezzi di materie prime d’importazione, l’effetto è disastroso perché va ad aggravare i costi.
Un disastro in primis per lo Stato Italiano, perché aumentano gli interessi che deve pagare sull’ingente debito che ha in essere. Quindi per tutti i cittadini che hanno acceso un mutuo con tasso variabile.
Infine, il danno si riversa sulle imprese che si trovano costrette a spendere di più nello sconto commerciale e nei finanziamenti a medio e a lungo termine.
Nel servizio che segue parliamo solo dei riflessi della decisione sulle imprese.

Il tutto per mantenere il valore dell’Euro sul Dollaro? Chapeau Lagarde!

Nel tentativo di raffreddare la spinta inflazionistica, l’aumento dei tassi di interesse deciso dalla BCE in questa seconda parte dell’anno – a cui dobbiamo aggiungere il nuovo incremento che è stato introdotto il 15 dicembre – comporterà, tra il 2023 e il 2022, un aggravio degli oneri sui prestiti alle imprese di circa 15 miliardi di euro. A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Questa stima è stata costruita ipotizzando un aumento medio dei tassi di interesse del 2 percento tra il 2023 e il 2022.
È stato applicato questo incremento alla luce del fatto che quest’anno il valore medio del tasso BCE (ponderato per i giorni) si attesterà attorno allo 0,6 percento; per effetto dei provvedimenti che tra lo scorso mese di luglio e l’inizio di novembre lo hanno alzato dallo zero al due percento.
Pertanto, applicando un tasso di incremento degli interessi medio del 2 percento ai 749,2 miliardi di consistenze degli impieghi erogati alle imprese al 30 settembre scorso, l’anno prossimo queste ultime subiranno un aumento del costo del denaro pari a 14,9 miliardi di euro.

Le regioni più penalizzate da questo ritocco all’insù dei tassi saranno quelle dove sono maggiormente concentrate le attività produttive che si avvalgono dell’aiuto degli istituti di credito; vale a dire la Lombardia (+4,33 miliardi di euro), il Lazio e l’Emila Romagna (entrambe con +1,57 miliardi), il Veneto (+1,52 miliardi) e il Piemonte (+ 1 miliardo).
Quasi 2/3 dei 15 miliardi di maggiore costo del denaro che le aziende dovranno farsi carico l’anno prossimo saranno riconducibili alle imprese del Nord.
Gli aumenti dei tassi di interesse avranno anche delle ricadute negative sulla spesa delle famiglie, sugli investimenti delle imprese e sul costo del nostro debito pubblico.
I nuovi aumenti dei tassi, quindi, potrebbero contribuire a frenare una crescita economica che l’anno prossimo in Italia dovrebbe attestarsi sullo 0,3/0,4 percento.
Una soglia che, molto probabilmente, avrà delle ricadute negative anche sull’occupazione.
 
Il trend crescente dei tassi previsti nel 2023 provocherà anche un altro effetto negativo. Secondo le ultime stime elaborate da Ernest & Young1, in Italia i prestiti bancari complessivi sono destinati a scendere dell’1,8 percento.
A questa contrazione contribuiranno, seppure in proporzioni diverse, tutti i segmenti creditizi.
Quelli ipotecari, ad esempio, dello 0,3 percento, il credito al consumo dell’1,5 percento e gli impieghi alle imprese addirittura del 2,8 per cento. Una contrazione che, purtroppo, interesserà tutta Europa.
Questa criticità, comunque, è destinata a durare poco. Nel 2024, infatti, nel nostro Paese il credito a famiglie e imprese tornerà ad aumentare complessivamente dell’1,3 percento.
 
A livello territoriale, infine, Milano sarà la provincia più penalizzata d’Italia: le imprese ubicate nel capoluogo regionale lombardo dovranno farsi carico nel 2023 di un maggior aggravio dovuto all’aumento dei tassi di interesse pari a 2,3 miliardi di euro.
Seguono le provincie di Roma con 1,4 miliardi, Torino con 567,5 milioni di euro, Brescia con 524,3 milioni e Bologna con 403,9 milioni di euro.
Chiudono la graduatoria a livello nazionale Enna con maggiori costi pari a 9,7 milioni, Isernia con 9,5 e Vibo Valentia con 9,3 milioni di euro.

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