La crisi dei mutui americani si sta avvicinando alle dimensioni della Grande Depressione del '29: siamo a 1.000 miliardi di dollari
Analizziamo le cause e gli effetti della crisi di allora e vediamo di capire che cosa è successo oggi e cosa potrebbe succedere domani
La crisi dei mutui americani,
prevista dagli osservatori per la cifra iperbolica di mille
miliardi di dollari, sembra destinata ad assumere le
caratteristiche e le dimensioni di quella che accadde nel 1929, che
passò alla storia come la Grande Depressione.
Non è certamente una bella prospettiva, dato che gli effetti furono
disastrosi, ma siamo ancora una volta di fronte ad una crisi
generata dall'idea che il denaro e la ricchezza possano essere
generati dal nulla. Se Pinocchio pensava stupidamente di poter
raccogliere i suoi zecchini d'oro seminandoli in un campo, gli
Americani amano correre dietro ad ancora più ridicole
illusioni.
Vediamo che cosa è successo in questi ultimi anni e poi ci
riallacciamo alla crisi del 29 per vedere quali scenari si possano
ipotizzare sull'esperienza di 80 anni fa,
Quando la Borsa agli inizi del 2000 ha rallentato i suoi ritmi fino
a fermarsi, gli Americani avevano abbandonato Wall Street e per
buttarsi sul mattone. Ma non si sono messi ad acquistare immobili
per mettere al sicuro i propri risparmi e incassarne gli affitti,
come accade nel nostro Paese e un po' in tutta l'Europa. No, gli
Americani hanno acquistato case per rivenderle poco dopo
guadagnando sull'incremento di valore registrato in breve tempo,
come in borsa. E così, dato che la domanda fa lievitare i prezzi,
l'immobile ha segnato per qualche anno incrementi assurdo, dove i
furboni continuavano a comperare e vendere case e appartamenti
senza curarsi se il prezzo fosse equo, se l'affitto fosse
proporzionato all'investimento, se il mutuo fosse rimborsabile nel
caso di una pur sempre possibile mancata vendita dell'unità
abitativa.
Questo fenomeno era già capitato in USA negli anni '70, anche se
accadde in proporzioni geograficamente più limitate. In Florida la
speculazione si era innescata in maniera insana finché ad un certo
punto si accorsero che c'erano almeno 200.000 abitazioni invendute
e invendibili. In una notte, mi raccontò un agente immobiliare, si
dimezzarono i prezzi. C'è stato chi ha venduto oggi per ricomperare
l'domani due case di uguali dimensioni con il medesimo importo,
come c'è stato chi si è trovato con l'immobile in mano il cui
valore effettivo risultava meno della metà del mutuo acceso.
Oggi è accaduto lo stesso fenomeno, ma su scala nazionale. Quei
mille miliardi, di cui dicevamo all'inizio, sono l'importo dei
mutui concessi e praticamente non più rimborsabili perché i
proprietari hanno tutto l'interesse che la banca si prenda
l'immobile ipotecato piuttosto che pagarlo per qualcosa che valeva
la metà o un terzo. In altre parole, sei privati hanno perso il
capitale investito, le banche si sono trovate ad essere
proprietarie di centinaia di migliaia di abitazioni invendibili, a
fronte di un migliaio di miliardi prestati.
Insomma, gli aspetti sono molteplici anche se la situazione è
chiarissima. Primo, non è possibile che le banche riescano a
vendere gli immobili di cui sono entrate in proprietà. Secondo, se
riescono a farlo raccoglieranno solo una minima parte della somma
prestata. Terzo, adesso è momento di bilanci: come dovranno esporre
il valore degli immobili e dei relativi mutui?
E adesso torniamo alla «Grande Depressione», come venne chiamata la
crisi che portò al crollo di Wall Street nel 1929. Fu un disastro
economico senza precedenti che sconvolse l'economia mondiale alla
fine degli anni Venti, con gravi ripercussioni anche nel corso del
decennio successivo. All'origine della Grande Depressione ci furono
le medesime contraddizioni che avevano già generato la Crisi del
1873-1895, che la gente ricorda molto meno perché a fine '800 i
fenomeni economico-finanziari e i mezzi di comunicazione non erano
ancora di dimensioni globali. Ma limitiamoci al 29.
Dopo la Grande Guerra 1914-18, gli Stati Uniti conobbero un periodo
di prosperità e progresso trainato soprattutto dal settore
automobilistico, che a sua volta aveva trascinato con sé altri
settori come quello metallurgico, gomma, petrolio, trasporti ed
edilizia.
Sembrava essersi innescato un circolo virtuoso. L'alta produttività
permetteva di mantenere inalterati i salari e i prezzi dei prodotti
sul mercato e questo favoriva a sua volta gli investimenti che
permettevano a loro volta di aumentare la produttività.
Tuttavia, agli investimenti e al continuo aumento della
produttività non corrispose una proporzionata crescita del potere
d'acquisto. Nei primi anni dopo il primo conflitto mondiale, lo
sviluppo era stato infatti sostenuto dai risparmi accumulati negli
anni della guerra e dai bassi tassi d'interesse e non da redditi
nuovi.
Una seconda contraddizione interna all'economia americana era
rappresentata dal sistema finanziario. Non erano posti limiti alle
attività speculative delle banche e della borsa, e continuavano a
finanziare chi voleva compravendere titoli a tutti i costi, non
tanto per ottenere dividendi e dunque profitti reali, quanto per
guadagnare sull'aumento dei valori di borsa.
Si comperava per rivendere, senza preoccuparsi della qualità dei
titoli, senza sapere se le aziende esistevano davvero, senza
mantenere un rapporto dei valori nominali e quelli di quotazione.
Ovviamente, all'aumento della domanda dei titoli si accompagnò
quella delle quotazioni e si innescò un circuito perverso.
A tutto questo va aggiunta l'irresponsabilità degli uomini
d'affari, rappresentanti di holding che detenevano portafogli
d'azioni che avevano interesse affinché i corsi dei titoli si
alzassero. Questi uomini effettuavano dichiarazioni ottimistiche e
spingevano i risparmiatori all'acquisto di titoli. L'aumento del
valore delle azioni industriali, però, non corrispondeva mai ad un
effettivo aumento della produzione e della vendita di beni, tanto
che, dopo essere cresciuto artificiosamente per via della
speculazione economica diffusasi a tutti i livelli in quegli anni,
scese rapidamente alla prima mancanza di acquirenti con
disponibilità e costrinse i possessori a una massiccia vendita, che
provocò il crollo della borsa.
La crisi del '29 coinvolse l'Italia negli anni '30 insieme agli
altri stati europei, ma venne affrontata con abilità da Mussolini
che fondò l'IRI per acquisire le grandi banche in difficoltà (Comit
e Credit, che vennero poi privatizzate solo alla fine della Prima
Republica).
Ma la maggior parte dei ricchi anglo-americani si erano trovati
praticamente sul lastrico nel giro di pochi giorni. La caduta della
borsa colpì soprattutto quel ceto di media borghesia che nel corso
degli anni venti aveva sostenuto la domanda di beni di consumo
durevole e aveva investito i proprio risparmi in borsa, convinti di
aumentare la propria ricchezza solo comperando e rivendendo pezzi
di carta. La loro uscita dal mercato indebolì quindi anche le
industrie produttrici di beni di consumo durevole (come quello
dell'auto) che in effetti valevano ancora. Queste industrie
cessarono di commissionare materiali a quelle operanti negli stessi
settori, le quali dovettero ridurre il personale e ridurre i
salari, provocando una contrazione anche nei settori dei beni di
consumo primario (come quello agricolo).
La situazione era poi aggravata dalla stretta interconnessione che
legava il settore industriale a quello bancario. Infatti nel
momento in cui la borsa crollò, si diffuse un'ondata di panico
devastante tra i piccoli risparmiatori i quali si precipitarono
nelle banche nel tentativo di salvare il proprio denaro. Il ritiro
del denaro dal mercato provocò una crisi di liquidità di
gigantesche dimensioni e il conseguente fallimento di molte banche
che trascinarono nella crisi le industrie nelle quali avevano
investito.
Molte di queste furono costrette a chiudere i battenti o a
ridimensionarsi. I licenziamenti, operati dalle aziende in crisi,
portarono a loro volta ad una elevata diminuzione delle domande di
lavoro, bloccando quasi completamente l'economia americana. La
produzione industriale scese di quasi il 50% tra il 1929 e il
1932.
Alla base di tutto c'erano state l'avidità e l'idea che la
ricchezza potesse essere costruita senza nessun controvalore in
termini reali. Come nella crisi dei mutui dei giorni nostri.
Le autorità economiche e monetarie avevano imparato un sacco di
cose dalla crisi del '29, tanto vero che dopo di allora si
susseguirono momenti di boom e di crack decisamente accettabili e
fisiologicamente inevitabili.
Nel 1929 ci furono migliaia di suicidi, ma i più finirono i propri
giorni nella miseria dopo essere passati da una vita gloriosa ad
una miserabile (come ad esempio gli attori Ollio e Stanlio), solo
perché non avevano pensato di tenersi dei semplicissimi dollari
piuttosto che comperare azioni che sembravano destinate a lievitare
senza soluzione di continuità.
Cosa accadrà adesso non è facile dirlo, ma ne vediamo alcuni
indicatori. Con la crisi del dollaro e degli Usa, saranno
moltissimi i Paesi che ne pagheranno le conseguenze. La recessione
è alle porte e questa, come nel '29, potrebbe avere effetti
devastanti sia nei paesi industrializzati, come in quelli
esportatori di materie prime. Il commercio internazionale diminuirà
considerevolmente, così come i redditi delle persone fisiche, il
gettito fiscale, i prezzi e i profitti.
Le maggiori aree economiche potrebbero essere duramente colpite, in
special modo quelle che basano la loro economia sull'industria
pesante. Il settore edilizio ha già subito un brusco arresto in
America, ma anche in molti altri paesi.
Anche i paesi produttori di petrolio ne dovranno sopportare gli
effetti negativi, per la semplice ragione che investono i loro
profitti nelle aree economiche più avanzate. E per questo ci sembra
un'azione autolesionistica la decisione di non aumentare la
produzione del petrolio, come richiesto per alleggerire il costo
del carburante nel mondo occidentale.
I paesi arabi, e in particolare l'Iran, hanno ragione a lamentarsi
dicendo che gli stati europei guadagnano in tasse sui carburanti
più di quello che guadagnano loro stessi a vendere il greggio. E
hanno ragione anche quando dicono che il prezzo del petrolio è in
realtà molto inferiore a quello di una ventina di anni fa, perché
la svalutazione del dollaro è oggettiva e dimostrata dal cambio con
l'Euro.
Ma non devono dimenticare che se il Mondo Occidentale va male, il
Terzo mondo chiude per inedia.